Pierluigi Ara

Enrico Fascetti, nulla a che vedere con Eugenio, stesso cognome, è stato un giovane molto promettente del pianeta pallonaro. Il più bravo quando ha cominciato a prendere a pedate la sfera di cuoio militando nelle file del Viola Club della Valle Graziosa, la Scuola calcio fondata da Pietro Notturni, tuttologo di sport ai piedi del Monte Pisano. Notturni, pur avendo nel cuore il Torino, vestiva di viola ben sei squadre di ragazzini. Lui, il Patron, sergente di ferro, stravedeva per il “Moreccio“, al secolo Enrico Fascetti, umili origini, figlio di un fabbro ferraio.

Notturni intuì il valore di quel giocatore in erba, che faceva la differenza. Serio, leale, generoso. Per la verità non possedeva l’esclusiva nell’avere scoperto il talento. Piaceva a tutti quell’adolescente dal fisico prestante, carnagione piuttosto scura e capelli neri, dall’aria sorniona, capace di accendere le fantasie, tutte, per il quale le rappresentanti della quota rosa dimostravano una simpatia prorompente. Lo chiamavano il “bel tenebroso“.

Il Pisa Sporting Club lo fece seguire da vicino e lo volle tra i Pulcini, dove il “Moreccio”, mancino che non disdegnava il destro, fece intravedere alcune delle sue doti di calciatore, impiegato prevalentemente nel ruolo di terzino fluidificante, sulle fasce.

“Mi dissero che ero portato a fare il difensore sinistro di spinta – rievoca con una punta di nostalgia – e mi consegnarono la casacca numero 3. Me la cavavo, ma non nutrivo troppe ambizioni. Invece, a mia insaputa, ero appetito dagli osservatori della Juventus, che mi vollero a Torino. Il Pisa incassò un bel po’ di soldi dalla cessione e anche a me arrivò un discreto gruzzolo, specie dopo che la società bianconera mi fece disputare il Torneo di Viareggio, vetrina d’inverno soprattutto per i giovani in grado di porsi in evidenza. Grandi speranze, poi la inaspettata doccia fredda. Venne fuori una complicazione. Dai test medici risultò un difetto fisico congenito. Non ho mai capito di preciso di cosa si trattasse. Fatto sta che giocoforza scesi dal treno delle ambizioni che, per la verità. per il sottoscritto non ci sono mai state. Non appartengono al mio Dna. Eravamo agli inizi degli Anni Settanta…”.

E la promettente carriera di Enrico Fascetti, il “Moreccio”, si interruppe quasi subito.

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