Domenica mattina, un salto in redazione per prendere la borsa della telecamera, fermata a Battersea per caricare in macchina i colleghi, poi la solita lotta col traffico che, anche nei giorni festivi, non augureresti al tuo peggior nemico.

Giornata di FA Cup, lo storico equivalente della Coppa Italia che occupa un posto speciale nei cuori degli appassionati di calcio inglesi. Semifinale, partita secca, di fronte il lanciatissimo Manchester City del vate un poco appannato Pep Guardiola e il sofferente Arsenal dell’altro monumento del calcio d’oltremanica, Arsene Wenger. La gara, come da tradizione, si giocherà nella casa del calcio che conta, Wembley.

Arriviamo circa tre ore prima del calcio di inizio, quindi il traffico non è ancora folle, ma parecchie strade del quartiere attorno allo stadio sono già chiuse da tempo. Il messaggio è chiarissimo: se non vuoi passare metà della giornata incolonnato, meglio se prendi i mezzi pubblici. Quasi tutti arrivano in metro, nelle due gigantesche fermate posizionate a circa mezzo chilometro dallo stadio. Il fiume di persone che, ordinatamente, lasciano lo stadio e si incamminano lungo Empire Way verso la stazione è una di quelle esperienze che ti lasciano basito, non importa quanta esperienza tu abbia di queste cose.

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Visto che lasceremo lo stadio in tarda serata, quando tutti i tifosi saranno già nei pub a festeggiare o provare ad annegare la delusione nell’alcol, abbiamo scelto di andare in macchina. Non guardate strano, non siamo masochisti, non passeremo ore a rastrellare le stradine attorno allo stadio a caccia di un parcheggio (cosa peraltro impossibile, visto che se non hai un pass residenti la vettura viene rimossa a tempo di record). Abbiamo prenotato per tempo un posto nell’enorme parcheggio multipiano a due passi dallo stadio. Tutto molto semplice: mostri la prenotazione all’ingresso, poi un’altra volta all’entrata del parcheggio e nel giro di pochi minuti sei pronto a scaricare le varie, pesanti borse che costituiscono la dotazione base del giornalista radio-televisivo. La tariffa è da estorsione a mano armata (30 sterline) ma vale per l’intera giornata, il che va benissimo per chi dovrà passare ben più dei 90 minuti canonici allo stadio.

Ti sistemi in maniera strategica le borse, finendo per assomigliare ad un mulo degli Alpini e ti dirigi verso l’entrata riservata alla stampa, al piano terra. Per uno abituato agli ingressi degli stadi italiani, che spesso sembrano pensati apposta per confondere i non iniziati e costringere gli inviati ospiti a lunghe peregrinazioni prima di entrare, Wembley sembra provenire da un altro pianeta. Indicazioni più che chiare, ampie vetrate, porta girevole in stile albergo 5 stelle e security niente affatto ostile. Sanno tutti che noi giornalisti siamo parte integrante dello spettacolo, non scomodi estranei arrivati per rovinare la festa. Senza di noi, la festa rimarrebbe dalla parte giusta della Manica, non andrebbe in ogni angolo del mondo. Tutti ne sembrano consci. Non ti trattano con deferenza ma sono sempre pronti ad aiutare ed offrire un sorriso. Anche stavolta, il confronto con gli stadi italiani è davvero impietoso.

Wembley, 2 ottobre 2016, prima dell’inizio della partita della NFL

Ritirato l’accredito, il controllo di sicurezza, con tanto di perquisizione. Ogni borsa è aperta, ogni accessorio controllato, con le canoniche richieste di spiegazioni per gli attrezzi meno ovvii. Sulla sicurezza non si scherza, specialmente quando sai che nel giro di un paio di ore ci saranno circa 90000 persone all’interno dello stadio. Tempo di risistemare le varie borse ed incamminarsi nel labirinto di corridoi, scale ed ascensori che è l’interno dello stadio. Ringraziando il Cielo gli ascensori ci sono e non sono quelli microscopici e sempre occupati di San Siro. Un paio di svolte sbagliate e, alla fine, arrivi in una delle tante sale riservate alla stampa.

Attorno a te una miriade di sale riunioni, spazi riservati ai membri del Club Wembley, aree ristorazione per gli invitati importanti della FA, la Federcalcio inglese. Loro avranno un pranzo di almeno quattro portate, con tanto di camerieri pronti a riempire il bicchiere di vino continuamente. A quanto pare, seguire un evento sportivo senza ingurgitare quantità oscene di alcol è un concetto alieno alla psiche inglese – avremo tempo di parlarne in altra sede. Il servizio offerto ai rappresentanti del quinto potere non è per niente male. Ampio buffet con due scelte, lasagne per i carnivori o una quiche per i vegetariani, più l’immancabile dessert, tè, caffè, frigoriferi pieni di bottigliette d’acqua o soft drinks, non manca nulla. Alcuni colleghi navigati si lamentano dell’assenza di birra, presente in qualche stadio ma un vero e proprio attentato alla deontologia professionale. Ci sarà tempo di rifocillarsi più avanti, dopo aver sistemato la postazione da battaglia.

La working area per i media è ampia, con cavi Ethernet e prese di corrente ad ogni postazione. Sembrerebbe il minimo, ma in molti stadi italiani è un vero e proprio miraggio. La connessione internet è fulminea: caricare gigabyte di video è roba da pochi minuti, nonostante le troupe presenti siano parecchie e da tutto il mondo. I detentori di diritti televisivi hanno una propria area riservata, una delle poche forme di apartheid rimaste nel mondo dei media, ma le strutture per i non-rights-holders non sono affatto male. Sistemi i computer, fai sapere alla redazione di essere arrivato e pronto a coprire il tutto, poi è il momento di montare le telecamere e prendere posto nella sala stampa e nella zona mista.

Wembley gets ready for the big #FACup party. Sometimes this job is not bad at all. #ArsenalManCity

Opslået af Luca Bocci på 23. april 2017

 

Lo stadio, nel frattempo, si sta lentamente riempiendo. I tifosi, prima di arrivare al proprio posto, si sono abbondantemente rifocillati o nelle tante baracchine in Empire Way o negli altrettanto numerosi punti vendita all’interno dello stadio. Prezzi non popolari in entrambi i casi, qualità non al top, ma per festeggiare una giornata speciale molti non badano a spese. A Twickenham, tempio della palla ovale inglese, sembra talvolta che la partita sia solo un’occasione per strafogarsi e riempire il serbatoio di birra. Vista la reputazione degli inglesi quando sono alticci, sembrerebbe una combinazione da bollino nero ma i problemi all’interno degli stadi sono rarissimi. La security interna è molto attenta, le decine di telecamere a circuito interno monitorano i tifosi secondo per secondo ed ogni accenno di violenza viene estinto nel giro di pochi secondi da stewards con pochissima voglia di scherzare. L’unica volta che li ho visti in azione, durante una delle partite della NFL giocate a Wembley, mi ha fatto capire perché il problema hooligans sia ormai un ricordo lontano, almeno nelle partite interne – all’estero, come i miei colleghi hanno visto in prima persona a Marsiglia e Lille, le cose vanno diversamente ma ne parleremo un’altra volta.

Finito di sistemare il tutto e mangiate le non pessime lasagne (in Italia probabilmente le avrei rimandate indietro scandalizzato ma vivendo da queste parti si impara a tollerare anche l’intollerabile, incluso il cappuccino alle quattro del pomeriggio) ci sistemiamo nella postazione stampa. I cavi non ci sono qui, ma il wi-fi funziona egregiamente. Monitor con le immagini della partita ritardate di quindici secondi per consentirti di cogliere dettagli che ti erano sfuggiti dal vivo, statistiche a profusione, fornite peraltro dai nostri colleghi di Opta. I colleghi si sistemano il laptop ed iniziano furiosamente a scrivere. Per noi, invece, il lavoro vero inizierà dopo la partita. Possiamo goderci lo spettacolo con calma.

Vista dalla tribuna stampa di Wembley prima del calcio di inizio della semifinale di FA Cup tra Manchester City e Arsenal

La partita non delude le aspettative, l’atmosfera è da brividi e le due squadre si danno battaglia senza risparmiarsi, nonostante entrambe siano ancora impegnate nella corsa per i posti Champions. Dopo 90 minuti non sempre scintillanti, la spunta l’Arsenal, che finirà poi per scippare la coppa al Chelsea campione d’Inghilterra del buon Antonio Conte. Cinque minuti prima del triplice fischio e tutti i giornalisti video lasciano la tribuna stampa per raccogliere le telecamere e posizionarsi in sala stampa o in zona mista. Oggi mi è toccata la seconda, esperienza sempre complicata. I colleghi dell’editorial e del nostro sito di calcio sono super-impegnati a scrivere il resoconto della partita e cercare di trascrivere il materiale delle conferenze stampa, quindi non sono ancora arrivati in zona mista. Al momento sono da solo, con la telecamera attaccata al monopod in una mano ed il microfono nell’altra. A meno che i giocatori non ti si fermino esattamente davanti, sei costretto a contorsionismi epici per riuscire allo stesso tempo a girare immagini decenti e fornire un audio ragionevolmente pulito. Tutto mentre colleghi di altre quindici emittenti ed agenzie stanno cercando di fare esattamente lo stesso.

Molti giocatori ed entrambi gli allenatori non hanno voglia di parlare e passano dietro al divisorio con gli sponsor della competizione per salire direttamente sull’autobus della squadra, che li attende in una delle strade interne allo stadio. Qualcuno si ferma, di solito i giocatori stranieri che riconoscono un giornalista dal proprio paese. Quando ci accorgiamo che, una volta rilasciate le dichiarazioni nella propria lingua, se ne andranno anche loro nel pullman, molti abbandonano le proprie postazioni e provano in qualche modo a filmare quel che dicono. Lasciare la zona mista senza aver raccolto almeno quattro o cinque contributi video è inaccettabile, a meno che le squadre non siano in silenzio stampa.

Diversi giocatori si fermano, Yaya Toure ha un diavolo per capello e spara ad alzo zero contro l’arbitro, prima in francese, poi in spagnolo ed infine in inglese. Fernandinho, invece, esprime la sua amarezza solo ai colleghi di Fox Sports in portoghese ma per fortuna riesco a sistemarmi bene e raccogliere anche le sue dichiarazioni. Ci penseranno i colleghi sudamericani a tradurre il tutto più tardi. Quando il collega dell’editorial arriva per darmi una mano con il microfono, buona parte dei giocatori sono già usciti senza fermarsi. Alexis Sanchez, buon ultimo, scappa senza proferire neanche una parola. Rimani ancora qualche minuto, sperando che l’addetto stampa dell’Arsenal convinca qualcuno a tornare di fronte alla stampa ma, evidentemente, tutti stanno già pensando alla cena o alla prossima partita di campionato. Tempo di smobilitare.

Risali le scale verso la working area in uno stadio deserto con centinaia di inservienti che stanno sbaraccando tutto, pulendo e risistemando ogni centimetro quadrato di superficie. La sede della FA è proprio qui a Wembley e domani, probabilmente, ci saranno meeting, riunioni se non conferenze o seminari di aziende che, invece di un albergo o un centro conferenze, hanno deciso di incontrarsi proprio nel tempio del calcio inglese. Mentre stai finendo di esportare i contributi raccolti in zona mista, arriva un responsabile dello stadio ad avvertirti che tra dieci minuti ti butteranno fuori. Molti, come noi, stanno ancora lavorando ma non c’è niente da fare: le zone riservate alla stampa chiudono 90 minuti dopo il fischio finale. Poco importa se gli allenatori si sono presentati in ritardo in conferenza stampa o se ti è toccato aspettare fino all’ultimo in zona mista per provare a beccare qualcun altro dei protagonisti.

Come successo tante altre volte, toccherà finire di montare e trasmettere il girato dall’area davanti all’ingresso stampa, dove si riesce ancora a prendere il segnale del wi-fi dello stadio. La velocità in upload è bassa, ma non si lascia lo stadio senza aver inviato il materiale. La partita è finita alle 17, ma rimontiamo in macchina alle 2130. Le baracchine in Empire Way sono scomparse ed il quartiere attorno a Wembley, con l’outlet con le marche famose, i centri commerciali e l’Arena dove si tengono concerti e incontri di boxe, è già tornato alla normalità di una domenica sera. Tempo di riportare i colleghi a casa e la lunga giornata si può considerare chiusa, quattordici ore dopo essere uscito.

Perché questo lungo racconto di una giornata come tante altre, mi chiederete? Forse perché tra le righe si possono intuire molte delle ragioni che hanno reso il calcio inglese il leader indiscusso in quanto a rendimento economico ed impatto mediatico. Quando la FA decise di demolire e ricostruire da capo il leggendario stadio di Wembley, molti furono prontissimi a salire sugli scudi e gridare al sacrilegio. Il conto fu da capogiro, oltre un miliardo di sterline e la FA ha il suo bel daffare per provare a raccogliere soldi per pagare le rate del mutuo.

L’azzardo, però, ha pagato. Wembley è senza ombra di dubbio uno dei migliori stadi al mondo ed ospita eventi di ogni genere, dalle partite della stagione regolare della NFL agli incontri di boxe oceanici, come lo scontro per il titolo dei massimi tra Anthony Joshua e Vladimir Klitschko. Il Tottenham ha giocato le partite di Europa League a Wembley e ci giocherà le gare interne per tutta la prossima stagione, mentre sta ricostruendo l’altrettanto storico White Hart Lane, che, pur non essendo al livello dell’Emirates, sembra comunque anni luce avanti agli spesso decrepiti impianti italiani.

La differenza salta agli occhi di tutti: Wembley, come tutti gli stadi delle società inglese, è di proprietà della Federcalcio. Il Comune non ha niente a che farci, nessun politico può infilare amici e familiari nello staff, nessun capo ultrà può imporre alcunché alle società, che non si sognerebbero mai di aver nulla a che fare con i pochi sopravvissuti delle famigerate “firm” che, non molti anni fa, seminavano terrore negli stadi inglesi.

I (parecchi) soldi dei diritti televisivi della Premier League, gonfiati dalla guerra tra Sky e BT Sport, chiaramente aiutano ma la Premier vale così tanto anche perché gli impianti sono quasi sempre impeccabili, in grado di attirare non solo i tifosi sfegatati ma soprattutto le famiglie, i professionisti appassionati ed anche le tante compagnie che, per ingraziarsi un cliente straniero, comprano uno dei costosi pacchetti hospitality a cinque stelle, possibili solo in un impianto moderno, comodo e in grado di offrire un’atmosfera speciale.

Le lamentazioni dei tanti, troppi, che continuano a chiedere a gran voce interventi pubblici per migliorare le condizioni dei decrepiti impianti italiani non sono una soluzione ma solo commenti interessati da chi sta guadagnando dallo sfacelo del calcio nostrano e farebbe di tutto per conservare lo status quo.

Per come la vedo io, continuare a gridare al cielo non serve a niente. Ci vuole il coraggio e la determinazione di guardare in faccia il problema e capire che, senza una sterzata violenta, il declino inesorabile del calcio in Italia continuerà. In fondo non è che ci voglia molto: basta copiare il meglio di quel che è stato fatto non solo oltremanica ma anche in Germania, dove il calcio ha vissuto una delle crisi peggiori della sua storia non più di 15 anni fa.

Ora non solo la Bundesliga ma anche la tanto vituperata Ligue 1 francese stanno facendo passi da gigante verso la modernità. L’unica lega top ancora incatenata ad un passato perdente è la Serie A, che infatti perde competitività ad ogni stagione dentro e fuori dal campo. Così è, se vi pare. Chi ha a cuore le sorti dello sport nazionale si faccia avanti con idee ed attributi. Gli altri, per cortesia, ci facciano il piacere di tacere per sempre.

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