– Giulio Lanza –
Two kinds of people in this world
Winners, losers
I lost my power in this world
‘Cause I did not use it
L’Irlanda va vista ascoltando i Fleetwood Mac. Avevamo raggiunto questa granitica certezza dopo svariati fine settimana girando dappertutto a Nord e sulla costa Nord-Ovest. E correndo per chilometri lungo tratti marini della Wild Atlantic Way. Adesso l’Isola di smeraldo era lontana con le sue vaste aree selvatiche e disabitate.
Non esiste niente di simile nel resto dell’Europa occidentale: paesaggi rituali e piramidi celtiche sull’oceano Atlantico di Sligo, cerchi di pietra e surfisti invernali che si fanno portare a largo in elicottero.
Hibernia. Così la chiamarono i romani come a dire che lì la stagione più fredda dell’anno non passa mai. Al contrario della Scozia, dove arrivarono ma non ritennero necessario restare, in Irlanda i romani non misero piede.
In Donegal ci sono intere comunità che parlano irlandese, o meglio gaelico: le Gaeltachtaí. Origini culturali profondamente diverse dal resto del continente occidentale romanizzato.
Dhún na nGall, il forte degli stranieri.
Per evitare che in un futuro referendum gli irlandesi potessero prevalere sui coloni o settlers, il Donegal è anche l’unica regione del Nord che è stata lasciata alla Repubblica e non fa parte del Regno Unito.
L’Irlanda è stata la prima colonia dell’Impero Britannico. Gli inglesi erano terrorizzati che le potenze continentali potessero usare l’isola come porta sul retro per attaccare.
La chiamarono the Plantation. Un gigantesco esperimento di ingegneria sociale pianificato a tavolino, una autentica piantagione umana.
L’Armada spagnola finì per fracassarsi in preda alla tempesta sulle rocce della costa Nord irlandese dove ancora oggi si continuano a rinvenire i relitti delle navi cinquecentesche.
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Questi e molti altri pensieri riemergevano in ordine sparso dal mio passato mentre correvo lungo la piana di Coltano.
Una strada asfaltata ma ondulata che per la natura del terreno sottostante sembra galleggiare sull’acqua. L’automobile che mi aveva portato alla palazzina di Coltano ondeggiava pericolosamente come o peggio che se il guidatore fosse stato ubriaco.
Forse il verde richiamava alla mente il verde o forse non so. O la base militare americana al di là della via Aurelia contribuiva a farmi sentire in una colonia dell’impero.
Ricordo che quando raccontavo durante l’adolescenza che c’era un campo di concentramento a Coltano nell’immediato dopoguerra, vicino alle piste di quello che oggi è l’aeroporto internazionale, la prima reazione era di sorpresa cui seguiva una incredulità circospetta.
Quasi nessuno ai tempi ne aveva sentito parlare. Ci tenevano anche il poeta americano Ezra Pound, l’autore dei Pisan Cantos, sospeso in una gabbia a diversi metri d’altezza. O così raccontavano fosse accaduto alcuni degli ex-ospiti del campo. Ancora oggi qualche perdigiorno armato di metal detector si avventura su campi coltivati o incolti in cerca di qualche cimelio.
Nel secondo dopoguerra la macchia mediterranea locale divenne area di rifugio per disertori dell’esercito alleato e attività clandestine, come raccontano vecchi film sceneggiati da autori quali Federico Fellini (Senza Pietà) e Indro Montanelli (Tombolo, Paradiso Nero).
Molto di ciò che riguarda la grande zona verde che separa Pisa dal mare e che protesse per secoli il porto della Repubblica di Pisa è ignorato, rimosso o soppresso dalla coscienza collettiva.
Gli inglesi disboscarono mezza Irlanda per impedire che i ribelli si potessero nascondere nelle foreste, tanto da modificare permanentemente il paesaggio dell’isola.
Allo stesso modo, ma all’inverso, molto si nasconde nella grande area verde fatta di sabbie, acquitrini, zone semi-paludose, canali e boscaglie che un tempo era la laguna del porto di Pisa e che oggi è inaccessibile o ad accesso limitato al pubblico.
Come la base militare americana di Camp Darby. O quella adiacente italiana che per decenni ha ospitato un reattore nucleare sperimentale, oggi in dismissione, a meno di dieci chilometri dal centro della città. E di cui tante persone che hanno vissuto a Pisa, anche da tutta una vita, ignorano l’esistenza.
O come l’oasi WWF o il magnifico Parco di San Rossore, residenza di Granduchi, Re d’Italia e Presidenti della Repubblica, che include un ampio tratto di costa di cui i cittadini non possono usufruire, il Gombo e la futuristica villa presidenziale fine anni ‘50 e che alla bocca d’Arno vede un’altra base, quella degli Incursori della Marina.
O come il Coni di Tirrenia o i campi da Golf privati a 18 buche immersi tra i pini marittimi. Gli Studios Cinematografici. I cantieri navali per yacht di lusso. E ancora la Tenuta Salviati a Migliarino. Le ex-colonie fasciste davanti alle dune del Calambrone (nella foto in alto).
O come aree dove l’accesso non è limitato ma da cui comunque è preferibile tenersi alla larga tra Livorno e Viareggio: campi zingari, zone isolate o mal tenute o mal frequentate, ritrovi per attività da svolgere lontano da occhi indiscreti.
Marina di Vecchiano e Torre del Lago, dove i fine settimana si ritrovano avventori in cerca di esperienze forti. E sulla cui spiaggia, dominata dalle Alpi Apuane, Lord Byron bruciò il corpo del poeta Shelley, morto in mare in circostanze mai chiarite.
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Correre è attività pericolosa. Si rischia di imbattersi nell’inatteso. Se la corsa è fatta in solitaria è attività quasi
sovversiva. Dovrebbe essere fuorilegge. Fa affluire più sangue al cervello. Può far riemergere e mettere insieme elementi soppressi, relegati o dimenticati chissà dove nel subconscio da una intera comunità.