C’è un antichissimo gioco che si è disputato a Pisa per tre secoli, quando venne bruscamente messo al bando dai Fiorentini. Dopo aver occupato la Repubblica di Pisa i gigliati nel 1406 misero bandirono tutte le armi, comprese quelle per disputare il Gioco del Mazzascudo. Dopo secoli di oblìo il Gioco è riemerso dalle ceneri. Ne abbiamo parlato con uno dei protagonisti di questo importante recupero storico-culturale, Massimo Catastini. Dottore commercialista, 55 anni, ci accompagna in un bellissimo viaggio tra storia, amore per Pisa e tradizioni.
Ci spiega da dove nasce la voglia di riscoprire il Gioco del Mazzascudo?
Il recupero del Mazzascudo è il risultato della collaborazione tra il sottoscritto, Umberto Macchi, sempre molto vicino alle iniziative legate alla nostra città ed Eugenio Ricci, anche lui pisano doc e legatissimo alle tradizioni pisane. La volontà di recuperarlo nasce dalla mia passione per Pisa, la sua storia e le sue tradizioni, dopo aver militato molti anni nel Gioco del Ponte, aver fatto parte della Compagnia Balestrieri di Pisa, essere stato uno dei fondatori della Associazione “Signum Rubicundum”, che si occupa di rievocazione storica, e del gruppo di scherma medievale “Ordo Civitas Pisarum”. È nata, tra le mie fantasie, la voglia di colmare un buco tra le tradizioni pisane.
In che senso?
A distanza di secoli ancora oggi festeggiamo San Ranieri e lo celebriamo con la sua Luminara, disputiamo il palio dei Quartieri, e combattiamo nel Gioco del Ponte. Rievochiamo i fasti dei nostri valorosi Balestrieri e la Compagnia degli Sbandieratori e Musici di Pisa ha portato in giro per il mondo le nostre insegne. Però mancava qualcosa: nell’oblio dei secoli e della dominazione fiorentina si era perso un tassello importante delle nostre tradizioni, forse quello più antico e che meglio connotava l’indole pisana: il Mazzascudo.
Come è andato il recupero del Gioco?
Il progetto è stato impegnativo sia nella fase di studio, progettazione e preparazione, sia nella fase realizzativa e organizzativa. Oltre alle difficoltà di trovare le necessarie fonti storiche, essendo una iniziativa tutta privata si sono sommati i problemi legati al reperimento di fondi per il materiale da utilizzare e la struttura organizzativa da impostare. Adesso la manifestazione è giunta alla sua terza edizione e viene gestita da una Associazione che collabora con l’assessorato delle Manifestazioni Storiche. Dopo il successo della prima rievocazione il Mazzascudo è stato richiesto e inserito nel calendario del Capodanno Pisano e nel Giugno Pisano.
Qual è il vostro obiettivo?
Ridare alla città ed ai Pisani la rievocazione più antica e forse quella più “pisana”, visto che ha accompagnato ininterrottamente la Repubblica Pisana fino al fatidico 1406. Vorremmo poter crescere ogni anno di più e, attraverso la collaborazione delle istituzioni, fare del Giorno del Mazzascudo un’ulteriore festa pisana.
Le origini del gioco quali sono?
Risalgono ai primi anni del 1100. Era un gioco di guerra fatto con armi “cortesi”, quindi senza punta e senza lama, ma soprattutto non di ferro. Si usava infatti una mazza di legno. Il Mazzascudo era una sorta di addestramento alla guerra per i giovani pisani e un allenamento per i meno giovani.
Si può definire il “nonno” del Gioco del Ponte?
Forse è un po’ azzardato. Anche rispetto al Gioco del Ponte di epoca settecentesca, tanto per capirci quello giocato con il targone, le differenze di impostazione sono molte; a differenza del Gioco nel Mazzascudo le due schiere non rappresentavano quartieri od aree territoriali, le armi erano usate per come dovevano essere usate. Comunque ci sono anche alcuni aspetti comuni o che il Gioco ha mutuato dal Mazzascudo: la partecipazione di due parti contrapposte ed articolate in gruppi o squadre, l’impostazione di un gioco che simula una battaglia, più recentemente le insegne del gallo e della gazza accostate a Tramontana e Mezzogiorno.
Era un gioco molto violento?
Il concetto di violenza, come tanti altri concetti, lo dobbiamo contestualizzare. Nel Medioevo la società e la vita stessa erano molto più crude di adesso e agli occhi di uno spettatore dei nostri tempi il Mazzascudo può apparire violento. Ma non dobbiamo confondere il contatto fisico con la violenza, non sono sinonimi. Cosa vogliamo dire, ad esempio, del football americano, del rugby, della boxe, dell’octagone, oppure della lotta greco romana? Sono sport violenti? Bisogna poi fare un inciso; il Mazzascudo viene disputato con uno scudo ed una mazza, ma ognuno ha anche fior fiore di protezioni (imbottiture, elmi, guanti ferrati, corazze) e alcuni colpi sono proibiti, tipo le “cravatte” al collo, i calci e i colpi alle ginocchia…
La storia e le antiche tradizioni… ci sono dei “testi sacri” a cui attingere per saperne di più?
Come dicevo il Mazzascudo affonda le radici intorno al 1100 e si estingue nel 1406 quando in seguito all’occupazione fiorentina, per timore di possibili rivolte i gigliati bandirono da Pisa tutte le armi, comprese quelle per il Mazzascudo. Anche per questa vicenda storica oltre che per essere stata la tradizione di Pisa Libero Comune, il Mazzascudo per un pisano è simbolo di pisanità e libertà. La documentazione sul Mazzascudo purtroppo è scarna: per lo più sono citazioni e rimandi, l’unico testo che ci descrive il Mazzascudo , il gioco, i rituali le insegne e il contesto, è un poemetto anonimo. Non è la sola fonte anche se è la più importante. Altre notizie si possono derivare dalle Istorie Pisane di Raffaello Roncioni del 1844, dalle quali si apprende che nel 1264, dopo la battaglia di Montaperti, i pisani giocarono al Mazzascudo sotto le mura della Guelfa e sconfitta Lucca, per festeggiare la vittoria ghibellina.
Non c’è il rischio che il Mazzascudo possa entrare in conflitto con il Gioco?
No assolutamente, sono due giochi diversi. Eppoi il Gioco ha una macchina organizzativa enormemente più grossa e ben collaudata. Noi siamo solo agli inizi, anche se onestamente facciamo passi da gigante e promettiamo bene. Nella nostra ottica non c’è concorrenza, anzi noi vediamo le due manifestazioni come complementari. Una mostra le radici, diciamo così, del Gioco del Ponte. L’altra il Gioco di oggi. Pensate come sarebbe bello tra le due riproporre il Gioco con i targoni… avremmo completato l’escursus storico.
Come stanno rispondendo i pisani alla vostra proposta?
Bene. Ogni anno si avvicinano sempre più persone alla manifestazione e dopo un’iniziale diffidenza, per la paura del contatto fisico, dopo le prime prove, dopo aver imparato a muoversi in gruppo carichi di ferro e con visuale limitata dall’elmo, e dopo aver toccato con mano che non è affatto pericoloso, si appassionano e rimangono presi da questo gioco che si basa su ordine e disciplina. Molte persone invece si sono avvicinate per i ruoli di sfilata: tamburini, porta gonfaloni, guardie armate, tutti ben coordinati dal nostro maestro di sfilata, Franco Napodano. Un altro ruolo importante lo riveste Antonio de Zio, che coordina i combattenti.
E le istituzioni pubbliche?
Finora hanno risposto bene, soprattutto l’assessorato delle Manifestazioni Storiche. Ma anche con l’Assessore Serfogli abbiamo avuto ottimi rapporti e buona disponibilità. Quest’anno ci sono stati alcuni problemi organizzativi e per andare incontro alla richiesta di liberare Piazza dei Cavalieri i giorni 27-28 maggio per permettere l’organizzazione di alcuni eventi da parte del Comune, ci siamo trovati nell’impossibilità di averla a disposizione nelle settimane successive, costringendoci a migrare alla Cittadella. Ma con il Comune resta comunque un buon rapporto. Anche con le istituzioni che affacciano su Piazza dei Cavalieri abbiamo trovato ottima disponibilità e la cosa ci gratifica e ci fa ben sperare per il futuro.
Tornare al Mazzascudo vuol dire (anche) riprendersi la propria libertà?
Sì, è veramente un riappropriarsi della nostra identità più profonda, un’esaltazione di pisanità totale. Il nostro obiettivo era ed è quello di riproporre la più antica tradizione pisana, risalente a secoli e secoli fa. Vorremmo nelle date della manifestazione fare in modo che Piazza dei Cavalieri, per l’occasione Piazza delle Sette vie, potesse assumere una veste antica, cercando di ricreare un’ambientazione il più medievale possibile con botteghe dell’epoca, calate alle finestre, stendardi sparsi per tutta la piazza, arti e mestieri medievali… un vero e proprio salto nel medioevo. Entrando nella piazza ci farebbe piacere rivivere il sapore dell’antica Pisa, quella che tremar facea l’acqua e la terra.
– La foto in alto è di Francesco Malasoma