– Simone Scozzari –
Metti una sera al cinema, qualche mese fa. Una sera di relax, con vecchi amici, quelli di una vita. Ogni istante ti regala sensazioni conosciute e familiari. Piacevoli. È stato come vivere un piccolo salto nel passato: mi son rivisto bambino seduto sulla seggiolina a guardare “Godzilla contro Gamera” su Tele Ciocco o Tele Toscana Nord.
Finalmente, quella sera, sono riuscito a vedere il CAPOLAVORO del TRASH: “Shin Godzilla!” (“Godzilla Resurgence” in occidente, film del 2016 proiettato in poche sale italiane solo in quei giorni).
Realizzato dal mitico studio TOHO (quello che ha prodotto i film con i mostroni gommosi dagli anni ’60 ad oggi)
e diretto nientepopodimeno che da HIDEAKI ANNO (il papà di NEON GENESIS EVANGELION), Shin Godzilla (Shin Gojira – シン・ゴジラ) è la trentunesima pellicola dedicata alla saga di Godzilla (la prima fu nel 1954, di cui questo film è un reboot) ed è un film che lascia poco spazio alle vie di mezzo: o lo trovate geniale (nel suo essere pessimo), o ve ne andate dalla sala cinema prima della metà del film.
Un film eccessivo.
Eccessivo nel suo lato autoironico e dissacrante della mentalità, della realtà giapponese e dei suoi meccanismi pedanti ed ultra regolamentati (specie nella burocrazia). Ok, mi vuoi mostrare quanto la troppa regolamentazione burocratica giapponese porti ad un autodistruttivo immobilismo. Lo vuoi fare cavalcando i più comuni stereotipi del Sol Levante. Può andar bene per i primi 10 minuti. Un quarto d’ora è già troppo.
Ma se riuscite a reggere oltre la soglia del quarto d’ora e vi calate nel film, i 40 MINUTI di dialoghi sterili, noiosi ed ultra farciti di sottotitoli e didascalie (chiaro, iperbolico tributo a quei film con i mostroni di gomma degli anni ’70 – ’80) vi faranno apprezzare questo piccolo, geniale capolavoro del brutto.
Gustose le scene di distruzione della città con i modellini di treni ed auto che volano da tutte le parti, i movimenti di Godzilla (i NON-movimenti), i suoi occhi vitrei e plasticosi al tempo stesso, le musiche di sottofondo drammatiche e dal carattere vintage di vinile graffiato. Tutti tributi alla medesima filmografia con i mostroni di gomma di cui sopra, diventata ormai culto dell’ambiente B-Movie. Pellicola per intenditori ed amanti del cult quindi (in sala eravamo sì e no in 25).
La consiglierei, fermo restando che è un film per “addetti ai lavori” (e sempre ammesso che riusciate a trovarla da qualche parte).