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Francesco Martinelli, una vita per il jazz. Da Pisa al mondo

- Cultura, Toscani nel mondo
8 Ottobre 2017

Chi dovesse andare Londra da qui al 28 gennaio non si perda la grande mostra su Basquiat al Barbican, cui un pisano (spesso in giro per il mondo) si onora di aver dato un contributo per il catalogo (leggi qui). Il pisano in questione è Francesco Martinelli, che parteciperà alla mostra con due eventi specifici (leggi qui).

Nato a Pisa, dove abita tuttora sul Lungarno (come orgogliosamente ci ricorda), ha studiato chimica all’Università. Sposato, ha due figli: Silvia e Alberto. Per molti anni ha fatto il tecnico in materia ambientale, ma fin da studente insieme a un gruppo di appassionati e musicisti pisani poi costituitosi in CRIM (Centro per la Ricerca sulla Improvvisazione Musicale) ha iniziato a organizzare concerti jazz. Da allora ha continuato a seguire la scena musicale, venendo poi invitato a scrivere da varie riviste, e promuovendo varie iniziative concertistiche.

Verso l’anno 2000 la musica l’ha avuta vinta grazie all’impegno richiestomi da Siena Jazz per organizzare il loro archivio discografico, e poi per tenere lezioni di storia del jazz. Contemporaneamente mi è arrivata analoga proposta da Istanbul e per diversi anni ho insegnato in varie università turche per alcuni mesi all’anno. Da allora faccio il pubblicista, traduttore, conferenziere, docente e consulente musicale in ambito jazz e world music, insegnando a Siena Jazz, al Mascagni a Livorno e al Conservatorio di Trento; ho pubblicato fino ad oggi una dozzina di traduzioni di volumi sul jazz in due collane, una con la torinese EDT e una con la pisana ETS. In Turchia continuo a fare il consulente al programma per il festival jazz di Smirne.

Martinelli, di cosa si occupa nella vita?

Traduzioni, lezioni e conferenze in ambito jazz/world, un lavoro assai vario e di grande soddisfazione.

Musica e jazz sono nel suo dna. Come nasce il connubio con l’arte e la pittura?

In realtà nel dna ho anche un po’ di pittura visto che mio nonno Bruno Cordati è stato un importante pittore toscano del ‘900. Il lavoro su Basquiat è nato quando a Rovereto e poi a Parigi ho visto la mostra Il Secolo del Jazz. Un suo quadro di argomento jazzistico ha iniziato a ossessionarmi fin quando non l’ho decifrato pubblicando i risultati su varie riviste internazionali.

Martinelli a Istanbul nel 2015

Lei spesso è in giro per il mondo. Ci può ricordare dove è stato ultimamente?

Questo lavoro dà la possibilità di una grande apertura internazionale, grazie anche alla partecipazione attiva a una serie di reti. Recentemente ad Amsterdam dove ho presieduto presso il Conservatorio una delle session del congresso di storia del jazz Rhythm Changes, poi a Berlino per il congresso annuale della IASA (international association of sound archives) di cui facciamo parte come Archivio Polillo di Siena Jazz e a Ljubljana per la European Jazz Conference organizzata annualmente dallo Europe Jazz Network, una associazione di festival e club che guarda caso ho aiutato a fondare a Pisa nel 1987. Grazie all’EJN sono vicino a realizzare un progetto poliennale a cui tengo molto, un volume di oltre 600 pagine da me editato sulla storia del jazz in Europa con 40 articoli monografici sulla storia del jazz in tutte le nazioni in Europa scritto da collaboratori di 34 diversi paesi. Poi un po’ più vicino, a Bologna in Conservatorio a presentare l’ultima traduzione da me curata, una nuova biografia di Charles Mingus appena uscita per la EDT. Ora vado ai festival jazz di Vilnius e Sarajevo a fare delle conferenze, e poi naturalmente a Londra per gli eventi su Basquiat.

A Londra c’è una mostra su Basquiat sul cui catalogo compare anche il suo nome. Di cosa parla e come è arrivato a questo importante risultato?

E’ stata una delle curatrici della mostra Boom For Real, dedicata a Basquiat e alla musica, a trovare online traccia del mio lavoro e a invitarmi a partecipare al catalogo con un saggio su Basquiat e il jazz che poi ha preso l’assonante titolo di Bird, Beat, Bop, Basquiat. Il saggio è dedicato all’importanza della storia del jazz per Basquiat, che era anche musicista e che trovava ispirazione nelle figure storiche dei grandi musicisti africano-americani. Ho inoltre assistito nella preparazione della mostra, sempre per quanto riguarda il jazz: ad esempio il Barbican mi ha mandato un home movie di Basquiat che danza scherzosamente al suono di un big band proveniente da un disco, e mi hanno chiesto di identificare chi fosse a suonare. Per fortuna si trattava di una famosa incisione di Ellington con un brano dedicato al trombettista Rex Stewart (“Boy Meets Horn”) che ho subito individuato. Il filmato viene ora proiettato all’inizio della mostra accompagnato dal suono preso direttamente dal disco, che è molto più vivace di quello d’ambiente registrato nel filmino casalingo.

Sarà presente, sempre a Londra, anche a due eventi specifici legati alla mostra. Ci può anticipare di cosa si tratta?

Certo: in una caso si tratta della presentazione dal vivo della mia analisi del dipinto King Zulu con tutte le fonti iconografiche e la risoluzione di quella specie di rebus che Basquiat stesso ha posto al centro del quadro. Visto che King Zulu è inserito nella mostra gli spettatori possono poi vederlo “dal vivo”, fatto abbastanza raro dato che il quadro normalmente è nei magazzini del MACBA a Barcellona. Il secondo evento sarà invece una performance musicale di Black Top, un duo di elettronica e improvvisazione londinese, inserito nel programma del London Jazz Festival e preceduto da una mia conversazione con i musicisti su Basquiat e la musica.

Martinelli tiene una lezione a Sarajevo (2016)

Negli anni Settanta lei è stato molto attivo nella realizzazione di importanti eventi internazionali di jazz a Pisa. Poi cosa è successo? Perché si è persa questa tradizione nella nostra città?

Anche dopo, negli anni 80 con il jazz al Teatro Tenda (Sonny Rollins, Gerry Mulligan) e al Nuovo (Fresu e i giovani musicisti dell’epoca con il Festival La Nuova Onda), poi negli anni 90 con l’Instabile Festival e dopo il 2000 con An Insolent Noise. Diciamo per oltre 30 anni. In questi vari passaggi penso sinceramente che si siano perse alcune occasioni per inserire Pisa nel novero dei grandi festival internazionali di jazz, con una sua specificità. La tradizione non si è però persa sia perché io direttamente mi sono impegnato fino a una decina d’anni fa, sia per il più recente e in pieno sviluppo lavoro di Francesco Mariotti che con Ex-Wide e Pisa Jazz ha ripreso e aggiornato la tradizione jazzistica a Pisa; tra l’altro di frequente collaboriamo e spero di averlo anche un po’ ispirato agli inizi. Diciamo che potrebbe essere più forte, più integrata nelle istituzioni culturali cittadine, visto che la musica ha grandi potenzialità: da anni ormai partecipo con Paolo Fresu a un programma nelle scuole di Ravenna che si chiama Pazzi di Jazz, in cui facciamo un “duo” – io introduco grandi personaggi della storia del jazz, e lui suona i brani. Nel 2018 faremo Gershwin.

Come valuta l’offerta culturale pisana?

Non mi sentirei di esprimere un giudizio globale, visto che la cultura a Pisa va dalle antichità romane di cui si è recentemente riparlato fino alle onde gravitazionali e alla fisica. Nel campo musicale i concerti in Duomo o la stagione lirica sono scadenze importanti. Ho l’impressione di una scarsa brillantezza e di scarsa capacità di innovare e integrare l’offerta culturale: la situazione museale mi sembra a parte Palazzo Blu parecchio statica, abitando in Lungarno vedo ben pochi visitatori al San Matteo, e alcune grandi ricchezze sono abbandonate o chiuse, come il percorso di estasi matematica e poligonale che dalla cappellina di S. Agata passando per le tarsie di S. Paolo e per le strutture geometriche della Chiesa del S. Sepolcro e di quella di San Nicola culmina in Piazza dei Miracoli. Non credo sia un problema solo pisano, peraltro.

Martinelli tiene una lezione a Siena

Lei porta nel mondo la cultura italiana. Sente di portare anche la pisanità? In che modo?

Pisa è stata per un certo periodo uno dei centri più importanti della trasmissione della cultura europea. Leonardo Pisano ne è l’esempio più celebre, ma la figura che più ammiro è uno dei grandi traduttori dell’Europa medievale, Burgundio Pisano, che andò a Bisanzio come legato (Pisa aveva là privilegi, un quartiere, chiese, fondachi e proprietà) e tornò con manoscritti in greco da tradurre, opere fondamentali di medicina, legge e filosofia tra cui l’Etica di Aristotele. Questa è la pisanità in cui mi riconosco, quella delle voci più alte e avanzate della trasmissione della cultura

Cosa le piace di più di Pisa e cosa di meno?

Come tutte le province c’è anche una pisanità deteriore, il localismo, l’opposto di quello che ha fatto grande Pisa. E la ripetizione ossessiva di alcuni simboli accompagnata dalla ignoranza quasi totale della storia mi sembra una corrività negativa. La cosa peggiore è il modo in cui è stata stravolta la Luminaria con orribile musica da discoteca o film fantasy pompata a volumi dolorosi, quando era la festa delle candele e dello scalpiccìo. Io sono arrivato a lasciare in certi giorni la città.

Facciamo un gioco. Il prossimo sindaco di Pisa le affida l’assessorato alla Cultura. Mi dice la prima cosa che farebbe?

Direi di no. Ho troppe cose da fare, e al Comune ho già lavorato. Come diceva Romeo, sono contrario ai cavalli di ritorno.

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Giornalista.

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