– Luca Bocci –
Notte di Halloween. Dio solo sa come ti ritrovi in una tristissima festa nel circolo sportivo del quartiere. Pochi bambini sguaiati come da nuova tradizione. Parecchi pensionati alla rincorsa di una giovinezza perduta da chissà quanto tempo. Gente della mia generazione pochissima, quasi nessuno. E di colpo ti senti solo come non capitava da tanto, troppo tempo.
Ritornare a casa per noi esiliati non é mai un’esperienza semplice. Da una parte hai il richiamo dei luoghi della tua sempre più antica infanzia, di genitori e parenti sempre meno in salute e dei pochissimi amici rimasti, scrematura dopo scrematura. Dall’altra, invece, la certezza di non essere più lo stesso di prima, quella indefinibile sensazione di essere straniero in quella che, fin o a prova contraria, dovrebbe essere casa tua. Sarà il fatto che non essere sottoposto all’incessante bombardamento di propaganda e fake news governative ti ha estratto a forza dalla fiumana delle indignazioni telecomandate e privato, per così dire, della lista degli argomenti di conversazione accettabili in questi tempi oscuri di politically correct e linciaggi tramite social media. Chiunque si azzardi a parlare con quel losco figuro in giacca e cravatta col naso infilato nello smartphone si limita alla tre domande standard: “tutto bene in Inghilterra?”, “certo che senza sole si vive proprio male” e l’inevitabile riferimento a Brexit. Ringraziando il Cielo si evitano la domanda più inopportuna del secolo: “ma quando ti sposi?”, roba da deferimento immediato alla Corte Internazionale dell’Aia. Fortunatamente, dopo le mie risposte standard più false di una moneta da 3 Euro, guardano oltre e vanno a perseguitare qualcun altro. Incredibile come non riescano a leggere il mio più che evidente linguaggio del corpo, che sembra gridare a squarciagola quanto non veda l’ora di andarmene.
Non c’è niente da fare, in comune con questa gente non hai niente di niente. Il sottofondo musicale fatto di versioni stile muzak di un greatest hits nazionalpopolare che va da Modugno ai Nomadi a grandi classici della musica internazionale tutti, ovviamente, massacrati senza pietà alcuna, non aiuta certo ad uscire da questo mood a metà tra il mefitico e l’indisponente. Il tristo strimpellatore si prende la sua pausa di ordinanza ed i soliti altoparlanti inevitabilmente sovradimensionati come da migliore tradizione mediterranea sparano a volume fin troppo alto “Daddy cool” di Boney M. Kill. Me. Now. Please. La sensazione di estraneità diventa quasi fisica. Possibile che sia davvero uscito da questo ambientaccio che sembra avere assolutamente zero in comune con chi sono diventato negli anni?
Eppure non c’è niente di palesemente sbagliato in questa festa mesta. Il circolo è stato costruito da zero dagli abitanti del quartiere, mio padre tra i fondatori ed a forza di cene ed eventi come questi è cresciuto da una stanzetta prefabbricata ad un complesso che sicuramente meriterebbe ben altri contesti – per non parlare di ben altre colonne sonore. Gli altoparlanti sparano “No tengo dinero” – i Righeira, saranno qualcosa come vent’anni che non la sentivo. E la memoria corre a quel 1983, al video strano in televisione, a quell’estate strana quando sembrava che il mondo dovesse finire da un momento all’altro. Non importa quanto faccia finta di esser quel che non sono, una parte di me é rimasta a quei tempi lontani, alle capigliature improbabili degli artisti dell’epoca, un tempo nel quale la Milano da bere di socialista memoria era comunque in grado di produrre prodotti capaci di conquistare il mondo, dalla moda al design alla Italo dance. “Easy lady” di Spagna sembra non far altro che seguire il mio ragionamento. Parliamo dell’Italia di oggi? Di questa caricatura del Paese che fu, di quella tigre del Mediterraneo che indicò la via alle altre grandi decadute, dalla Spagna alla Grecia fino al Portogallo, oggi così cattiva, imbruttita, ansiosa di vendersi al primo invasore di turno e riempirsi le tasche di petrodollari in cambio di chissà cosa, visto che orgoglio e dignità sono già al monte di pietà da un decennio abbondante. Meglio evitare di farsi andare a traverso la più che accettabile cena che nel frattempo è iniziata ad arrivare.
Proprio quando pensavi di aver toccato il fondo, ecco che entrano in campo i panda della nuova generazione, lo sparuto drappello di bambini di diverse età che hanno ciondolato in giro in costumi tra il banale ed il discutibile fino a questo momento. L’immancabile animatore esagitato entra in campo con il compito non semplice di coinvolgere viziatissimi pargoli allevati a pane ed iPad. Una sequela di assurde canzoncine spacca i timpani dei convitati, che continuano imperturbabili a mangiare tra urla e strilli sempre meno sopportabili. Aridatemi il medley anni 80, per l’amor del Cielo. La scena è da incubo ad occhi aperti: l’animatore sciamannato che prova a far ballare bimbetti che sembrano pronti alla fuga alla sola idea di scendere sulla pista da ballo. I più estroversi non sembrano aspettare altro e si scatenano: la maggioranza rimane attaccata alle gonne della mamma e devono essere praticamente spinti nella mischia col forcone. Non sarà una prova scientificamente valida ma se qualcuno aveva qualche speranza in questa ultima generazione, forse è meglio che si metta l’animo in pace da subito. Tra il lavaggio del cervello nelle madrassas governative ed il progressivo instupidimento catodico, partono già da meno mille nella corsa della vita. Auguri, pargoli. Ne avrete decisamente bisogno. Alla fine quasi tutti i nanetti diventano isterici e quando la pentolaccia viene spaccata è un’orgia di strilli a squarciagola, con tanto di corsa al dolcetto finale stile film post-apocalittico. Così è, se vi pare. Tutti sembrano divertirsi. L’unico a non vedere l’ora di andarsene sembra il sottoscritto. Sarà che l’allegria imposta, da villaggio vacanze, mi ha sempre fatto venire l’orticaria o che qualsiasi manifestazione di massa fa scattare il mio lato elitario, ma la voglia di fuggire a gambe levate è quasi insostenibile. Questa roba sarebbe un efficacissimo anticoncezionale: basterebbe imporlo alle adolescenti alle superiori per eliminare il problema delle baby-mamme (esiste ancora?). Metodo crudele ma efficace, a prova di bomba.
Come sfuggire? Magari scrivendo queste note estemporanee, sperando che alla fine ne esca fuori qualcosa di vagamente sensato. Da dove eravamo partiti? Giusto, dal sentirsi straniero in casa propria. Magari questo è un non problema, magari a casa non ti ci sei mai sentito, il che spiega perché alla prima occasione te ne sia andato, senza ormai nemmeno considerare lontanamente l’idea di tornare. Se il panorama mondiale sembra scivolare inesorabilmente verso l’idiocrazia dilagante e il ritorno dei totalitarismi d’antan, posti ideali a giro ne sono rimasti proprio pochi. La marea dell’intolleranza politically correct e dei velenosi micro-nazionalismi identitari sembra inarrestabile ma tutto il mondo non è paese. Ci sono diversi gradi di devastazione nello sfacelo generalizzato. In questo momento mi sembra di stare da qualche parte tra il settimo e l’ottavo girone infernale ma probabilmente è solo l’effetto delle micidiali canzoncine da infanti o l’overdose da strilli. Domani è un altro giorno e non molto riprenderò l’aereo per tornare nella mia grigia e poco glamour periferia londinese a due passi da Heathrow. Detto tra di noi, nonostante il clima infame e tutto il resto, non vedo proprio l’ora.
Signor Luca,
chi le scrive è il babbo del suo amico Orlando, che frequentò anni fa insieme a Lei l’università di Pisa. Dalla lettura dei suo articolo ho tratto lo spunto per confermarle l’ammirazione che ho sempre avuto nei suoi confronti. Desidererei che tornasse a scrivere in Italia per far sentire più spesso, ai suoi lettori, la gioia che essi provano quando leggono i suoi preziosi e approfonditi articoli, che arrivano a scuotere anche l’anima. Colgo l’occasione per augurarle un mondo di bene.
Con affetto, Renato Sacchelli
Sempre troppo gentile, signor Renato. Tornare in Italia, al momento, sembra possibile solo a chi è disposto a partecipare alla spartizione dei soldi estorti a forza ai contribuenti, direttamente o indirettamente. Ho anche provato a giocare secondo le regole di questo sistema criminogeno ma, evidentemente, non sono tagliato per certi giochetti. A meno di improbabili cambiamenti di vento, toccherà rimanere ancora, chissà per quanto, in questo esilio forzato. In quanto alla bassissima frequenza dei miei contributi, me ne scuso con tutti ma trovare tempo per scrivere non è semplice. Mi riprometto di provare a scrivere più spesso, anche per non perdere l’abitudine. Di più, al momento, non credo proprio di poter fare. Speriamo le cose cambino presto. Cordiali saluti.