– Antonio Cassisa –
E mi torna a mente quel giorno in cui mia mamma mi chiese timidamente se avrei potuto accompagnarla a Montefoscoli a portare qualche fiore sulla tomba dei suoi genitori e dei suoi nonni. I miei nonni e bisnonni.
Con il suo discreto modo di chiedere le cose, come se per me fosse chissà quale disturbo.
“Certo Mamma, ti ci porto sì !”
Giornata partita bene fin da subito, quando ci si accorda per la tarda mattinata, in tempo per essere dal fioraio sulla via per Forcoli prima che chiuda per pranzo, e comprare una bella pianta di crisantemi molto fiorita, forse troppo, ma il sole di questo Ottobre non mi ha solo permesso di restare abbronzato e farmi qualche bagno, ha anche fatto sbocciare i fiori. E parecchio anche.
Comprati i fiori ci si dirige verso Montefoscoli. Paesino in provincia di Pisa, sotto il Comune di Palaia dove viveva mia nonna e dove ho passato tante domeniche della mia gioventù. A respirare l’aria pulita della campagna, ad ascoltare i racconti degli anziani, a vedere mia mamma dedicarsi alla sua mamma, a seguire le giornate calcistiche nel “salottino” con mio padre, qualche pacchetto di seme, e “tutto il calcio minuto per minuto” alla radio prima e “90° minuto” alla tele poi.
Non c’è un anima in giro. Nei cimiteri di paese la festa dei “morti” dura tutto l’anno. Le tombe son sempre fiorite e i defunti mai dimenticati. Non come in città, quando c’è li pienone solo in quei tre giorni e poi… fiori secchi, vasi vuoti e colori di plastica.
Posiamo i fiori sulle tombe già fiorite per il passaggio di qualche zio. Una preghiera mentre penso a quanto mi scocciasse da piccolo andare al cimitero. E quanto ne senta il bisogno adesso, dove non ho altro luogo in cui salutare mio padre.
Poi un passaggio dalla casa che fu della nonna, dove mia mamma ha vissuto da piccola, dove anche lei, molto piccola perse il padre, e dove gli anziani se ne sono andati quasi tutti. Qualche commissione e poi è ora di pranzo.
“Si va a mangiare a Peccioli “
“A Peccioli ?” risponde mia madre con gli occhi spalancati
“Sì ! SI va ?”
Peccioli è il paese natale di mia mamma e ogni tanto ci tornava con mio padre, compravano le paste in una pasticceria del centro che faceva dei dolci eccezionali. E il sapore dolce passava prima dall’anima e poi al palato.
Mentre ci dirigiamo verso il vicino paese, ci viene a mente che in zona c’è una casa di campagna dove i cacciatori sono soliti mangiare e che se passi nei momenti giusti un po’ di cinghiale non si nega mai a nessuno.
Siamo fortunati, tutto sta procedendo come in un film. La giornata è splendida. La campagna pisana veste i colori dell’autunno, il cartello dice “Casa di Caccia – Aperto”. Imbocchiamo la strada sterrata, c’è qualche macchina parcheggiata all’esterno, fuoristrada, pickup, auto per cacciatori. Esce un ragazzo, ci chiede se cerchiamo qualcuno. Diciamo lui che avevamo sentito dire che forse era possibile mangiare qualcosa, e lui, tranquillo e sorridente ci dice di sì, sottolineando che non sono un ristorante ma un piatto per due persone ce lo fanno volentieri. Non ci pare vero. Parcheggiamo ed entriamo contenti.
Ci guardiamo intorno, salutiamo, tutti si voltano. Una tavolata di cacciatori dal viso rosso e dalle facce rudi e gentili, mentre un signore anziano si alza e viene ad apparecchiarci un tavolino nell’angolo vicino alla porta. Un rotolo di carta blu scuro e un coltello da cucina per tagliarlo alla misura giusta. Due piatti bianchi, uno di plastica, un bicchiere, un fiasco di rosso senza etichetta e un po’ d’acqua. Accanto un camino acceso che malgrado la fine di ottobre, fa troppo caldo. Il sole entra nella stanza. Soffitti a volta, grande camino, cartuccere, animali imbalsamati, qualche corno, un cane nero dal viso buono che scodinzola fra i tavoli e ci saluta annusandoci le gambe. Una signora gentile ci saluta e poco dopo appare con un vassoio fumante. Qui non c’è il menù da consultare, qui si mangia quel che c’è. Per fortuna. Il vassoio contiene delle penne al sugo di capriolo. Ovviamente il frutto della caccia. Ci sembra troppo ma iniziamo a mangiare, bevendo un po’ di vino e piano piano i piatti si svuotano, e il vassoio pure. La pasta era squisita e mangiando la fortuna bussa di nuovo 4 volte. Tanti sono i “pallini” che troviamo nel sugo. I pallini di piombo delle cartucce. Trovarli nel piatto portava fortuna. E noi ne siamo felici. Anche per non averli masticati. Mia mamma dice che è da quando era bambina che non gli capitava di trovare un pallino nel piatto. E ridiamo.
Nell’attesa dei secondi piatti, una bruschetta unta con l’olio nuovo e delle patate al forno dolcissime. Un altro bicchiere di vino e la Signora torna con due piatti pieni di bocconi di cacciagione. Capriolo in una mano, cinghiale nell’altra. Pane a fette e noi ci rimbocchiamo le maniche. Carne tenera, delicata, saporita, cotta come si deve, e il pane che accompagna il tutto intinto nel sugo rosso dal sapore unico. Mangiamo sereni, sorridenti, assaporiamo il cibo, l’ambiente, ricordiamo e proviamo a immaginare quanto avrebbe potuto apprezzare un posto del genere mio padre. Sorridiamo con un po’ di malinconia immaginandolo intrattenersi con i cacciatori con la sua voce grossa e la sua risata contagiosa.
Terminati i secondi, pronti per il caffè, la Signora ci sorprende con un piattino pieno di cantuccini e qualche dolce di marzapane, insieme ad un piccolo fiasco contenente del fresco vin santo. Degno finale di un pranzo eccezionale, per bontà, per semplicità, per il gusto che qui conta più della presentazione, del nome, delle inutili tiritere che stanno bene altrove. Non qui.
Non importa quanto abbiamo speso alla fine. Poco, una cifra simbolica, una specie di contributo. Quel che conta è ciò che ci ha regalato quella sosta, in quel luogo, in mezzo a quella gente, sotto quel tepore autunnale. Un pranzo tra ricordi e racconti, col sorriso felice di chi si gode questi brevi attimi del presente, e un po’ malinconico di chi ha nostalgia del tempo passato e magari vorrebbe poter avere la possibilità di aggiungere un posto a tavola per chi non c’è più. Momenti che la vita, girando senza sosta, ci offre ribaltando il piano. Dove da piccolo i tuoi ti portavano per mano, oggi porti tua madre sotto braccio, ascoltando i suoi racconti e trattenendo quel magone che la nostalgia del tempo passato inevitabilmente provoca.
Un tavolino e due sedie vicino a un camino… nella tana del lupo.
Un ricordo indelebile, e non conta il fatto che sia avvenuto ieri.
Antonio Cassisa
Dal blog “I Penzieri der Cassisa“