L’assessore Filippo Bedini, che per il Comune di Pisa ha la delega alle manifestazioni storiche, al quotidiano il Tirreno ha parlato della necessità che il Giugno pisano torni alla tradizione.
La Luminara è un omaggio al nostro patrono e come tale dovrebbe avere un rispetto quasi sacrale. E non stiamo parlando di gusti, ma di verità storica. Possibile che l’immagine di San Ranieri in processione sull’Arno sia stata sostituita da musica assordante e da fasci di luce? La Luminara sono le luci delle candele sui lungarni”.
A tal proposito ci sembra interessante proporvi una riflessione scritta da Paola Viegi proprio sulla Luminara, la festa più amata dai pisani.
La Luminara – come la chiamiamo noi – è un appuntamento immancabile per i pisani. Anche se siamo un po’ zoppi o acciaccati ci si organizza per non mancare ad uno spettacolo unico e di grande bellezza da togliere il fiato, come quello dei Lungarni e della Torre illuminati da una miriade di lumini appoggiati alle biancherie dei palazzi e delle chiese. Si comincia a fremere qualche mese prima, e poi quando arriva giugno il cuore comincia a battere sempre più forte, a cadenzare i giorni che mancano alle celebrazioni del nostro Santo Patrono San Ranieri. Ogni volta è un’emozione perché lì sui lungarni ci si ritrova proprio tutti, anche quelli che si sono trasferiti fuori dalla città, un appuntamento sottinteso per tornare ad essere una comunità.
La Luminara celebra il ricordo della vita e la morte di Ranieri Scacceri, quando l’ urna contenente le sue spoglie venne fatta sfilare in processione ed i pisani accesero una miriadi di ceri in segno di rispetto e riconoscenza: da quel momento fu ufficialmente il Patrono di Pisa. Da quel giorno del 1688 la festa si è ripetuta tantissime volte, fino ai ad arrivare ai giorni nostri.
Di trasformazioni ne ha subite la Luminara, e non so se questo piaccia a noi pisani. A me no e vi spiego perché.
La mia generazione (quella degli anta) è forse l’ultima testimone di ciò che era Pisa prima (ahimè) della “globalizzazione e dello sviluppo”. Una cittadina di 100mila abitanti dove le persone si conoscevano tutte. Il traino di questa comunità erano prevalentemente i commercianti e l’Università, poi c’erano la Richard Ginori, la Saint Gobain, la Fiat a Marina che completavano il cerchio virtuoso, dando lavoro a tante famiglie pisane. Dopo la guerra eravamo risaliti e Pisa, che ne era uscita martoriata anche dal punto di vista urbanistico, fiera come sempre, era tornata a risplendere. Le celebrazioni del Santo Patrono erano l’occasione per esprimere questa nostra fierezza. Noi pisani aspettavamo con emozione l’arrivo della magia e allo scoppio dei fuochi d’artificio, alzavamo un coro di “oohhh…” a sottolineare la meraviglia della bellezza di Pisa e della sua storia.
Oggi assisto al venir meno dello stupore collegato alla storia pisana intesa anche in termini religiosi, e vedo invece una festa trasformata, consentitemi il termine, in pagana, occasione di sballo e sregolatezza, di esibizione spettacolare, di magia quasi circense, che niente ha a che vedere con l’atmosfera rispettosa e gioiosa dell’evocazione del nostro Santo Patrono, di un tempo.
Dico questo a ragion veduta, e non sono la sola a pensarlo. Siamo in tanti ad avere nostalgia della “nostra Luminara”, noi pisani vorremmo riappropriarci di questa festa. A volte tornare al passato e ridimensionarsi un po’ può essere la forma vincente per riconquistare il cuore della città.
Anche quest’anno sono tornata sui Lungarni alla ricerca di quella magia che da ragazza mi avvolgeva fino a scaldarmi l’anima e farmi essere fiera della mia pisanità. Le spinte, l’odore della birra, la musica dei locali… Mi sono rituffata nel caos dicendo a me stessa che dal prossimo anno non ci tornerò più, sapendo però che poi non manterrò questa promessa.
Paola Viegi
Condivido la nostalgia per la luminara di una volta descritta da Paola.