Alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola Superiore Sant’Anna ha preso parte il presidente della Bce Mario Draghi. Nel suo intervento ha difeso il progetto unitario del Vecchio Continente e l’unione monetaria, sottolineando però l’urgenza di alcune riforme a sostegno dello stato sociale e dei singoli paesi. Ha sottolineato poi la necessità che l’Ue si sia una mossa sull’unione bancaria e sul bilancio comune. Senza citarlo Draghi ha anche avvertito il governo italiano: “Come ha dimostrato la sua storia, il finanziamento monetario del debito pubblico non ha portato a reali benefici a lungo termine”.

Per Draghi “l’unione monetaria è stata un successo sotto molti punti di vista, allo stesso modo dobbiamo riconoscere che non in tutti i Paesi sono stati ottenuti i risultati che ci si attendeva. In parte per le politiche nazionali seguite, in parte per l’incompletezza dell’unione monetaria che non ha consentito un’adeguata azione di stabilizzazione ciclica durante la crisi”. Dunque, che fare? “Occorre disegnare i cambiamenti necessari dell’unione monetaria e realizzarli il prima possibile, spiegandone l’importanza a tutti i cittadini europei”. Il presidente della Bce ha poi smontato una tesi cara ai sovranisti, sottolineando che è stata proprio la moneta unica a consentire a diverse nazioni di “recuperare sovranità monetaria” e “le decisioni oggi sono condivise da tutti i Paesi partecipanti, mentre prima, quelle in materia monetaria venivano prese (solo, ndr) in Germania”. Se abbiamo avuto problemi è perché “non era pensabile che per produrre benefici” per tutti i Paesi dell’area euro bastasse “solo l’unione monetaria”, occorreva invece e “occorre fare di più” per conseguire “più crescita e occupazione”.

Draghi ha snocciolato un po’ di numeri anche sull’Italia, ricordando che “dal varo del sistema monetario europeo la lira fu svalutata sette volte, eppure la crescita della produttività fu inferiore a quella dell’euro a 12, la crescita del prodotto pressapoco la stessa, il tasso di occupazione ristagnò” e “allo stesso tempo l’inflazione toccò cumulativamente il 223% contro il 126% dell”area euro a 12”. Ha poi ricordato che “tra il 1990 e il 1999, l’Italia registrava il più basso tasso di crescita accumulato tra i paesi che poi hanno aderito all’Euro. Lo stesso dal ’99 al 2008. Dal 2008 al 2017 il tasso di crescita è stato superiore solo a quello della Grecia. La crescita degli anni ’80 fu dovuta al debito lasciato sulle spalle delle nuove generazioni”.

L’unico modo per salvare i Paesi dell’euro dalle crisi per Draghi è questo: completare l’unione bancaria o realizzare il bilancio comune con funzioni anti-crisi”. Non fare né l’una né l’altra cosa “è inaccettabile, accentua la fragilità del’unione monetaria proprio nei momenti di crisi e dunque la divergenza aumenta”. Inoltre, “occorre ricreare il margine nei bilanci pubblici per avere spazi nei momenti di crisi”. Le riforme sono necessarie per l’Europa ma anche nei singoli Paesi. Servono riforme strutturali. “Ogni Paese, non mi si legga con riferimento all’Italia, ha una sua agenda, ma è solo con queste riforme che si creano le condizioni per far crescere stabilmente i salari, produttività, occupazione e per sostenere anche il nostro stato sociale. È un’azione che in gran parte non può non svolgersi a livello nazionale, ma può essere aiutata a livello europeo anche dalle recenti decisioni di ieri” di creare uno strumento per la convergenza e la stabilità. L’Europa, per il presidente della Bce, mantiene un ruolo cardine nella salvaguardia della stabilità economica ma anche politica. “Nel resto del mondo – ha concluso Draghi – il fascino di ricette e regimi illiberali si diffonde, a piccoli passi si rientra nella storia. È per questo che il nostro progetto europeo è oggi ancora più importante. È solo continuandone il progresso, liberandosi le energie individuali ma anche privilegiando l’equità sociale che lo salveremo attraverso le nostre democrazie ma nell’unità di intenti”.

Foto: Scuola Superiore Sant’Anna (Facebook)

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