Come anticipato ieri il direttore della Scuola Normale di Pisa, Vincenzo Barone, si è dimesso. Ha formalizzato la propria decisione di fronte al Senato accademico. Avrebbe voluto parlare e spiegare le proprie ragioni, prima che venisse discussa la sfiducia nei suoi confronti (chiesta da due rappresentanti degli studenti) ma non gli è stato concesso, con la motivazione che “prima si deve discutere la mozione”. Così, per evitare la conta e l’inevitabile messa in stato di accusa (si vociferava di dodici voti a favore della mozione 14), il professore ha fatto un passo indietro. “Non ho nulla da commentare – ha detto con un misto di amarezza e disincanto – d’ora in avanti penserò un po’ di più alla mia salute”.

Ma come si è arrivati a questo terremoto? Prima di tutto un chiarimento: lo definiamo tale, terremoto, poiché in due secoli di storia mai un direttore della Normale era stato sfiduciato. Neanche Barone, ma ormai il suo destino era segnato. Tutto è nato dalla volontà del direttore di “sbarcare al Sud”, nello specifico a Napoli, con una costola della Scuola Normale. La notizia, già anticipata ad ottobre da Barone, ha avuto conferma a inizio dicembre, con lo stanziamento dei fondi necessari, deciso dal Governo con un emendamento alla manovra. La “novità” non è piaciuta all’Amministrazione comunale pisana, con il sindaco Michele Conti, spalleggiato dal deputato Edoardo Ziello, che hanno alzato le barricate in nome della difesa a spada tratta della “pisanità”. Una sorta di “sovranismo-locale” in chiave culturale.

A Barone i leghisti hanno contestato di voler togliere centralità alla Normale pisana (fondata nel 1810 da Napoleone), sottraendo prestigio e risorse a Pisa che ospita la più importante scuola d’eccellenza italiana. Alla fine, grazie al pressing di Ziello e Conti, che sono andati a perorare la loro causa al Ministero dell’Istruzione, lo sbarco al Sud della Normale è saltato. Il ministero ha confermato la sperimentazione triennale di una Scuola superiore a Napoli, stanziando 50 milioni di euro (in tre anni), ma senza l’utilizzo del “brand” Normale. Il centrodestra pisano ha esultato per essere riuscito a evitare lo “scippo” (così era stato definito).

Inevitabile che vi fossero delle conseguenze. Barone stesso aveva detto che nel caso il progetto fosse saltato si sarebbe dimesso. E così ha fatto. Ma non perché intimorito dagli studenti, che ne hanno chiesto la testa. Il professore nell’arco di questo mese ha preso atto di essere stato sfiduciato, di fatto, da tutti i colleghi che compongono il Senato accademico, soprattutto dai presidi delle tre “classi” che formano la Normale (Scienze umane, Scienze matematiche e naturali, Scienze sociali). Ha ricevuto due lettere, da parte dei professori, che con parole diverse gli suggerivano un passo indietro. Lui avrebbe voluto difendersi e spiegare le proprie ragioni, replicando alle accuse ricevute (gestione centralistica, mancanza di dialogo, poca trasparenza e mancato rispetto degli organismi). Ma le regole del Senato accademico imponevano, prima di tutto, di affrontare il tema scottante, la mozione di sfiducia. Così, ferito nell’orgoglio, Barone ha scelto di togliere il disturbo: dimissioni irrevocabili.

Con un video su Facebook il deputato Edoardo Ziello ha commentato l’esito della vicenda: “Il direttore si è dimesso. Non posso fare altro che dire che le sue dimissioni sono l’epilogo di una vicenda che vedeva la velleità di una persona caratterizzata dalla sua volontà quasi imperiale di voler creare una Scuola Normale superiore meridionale senza confrontarsi né con gli studenti né col corpo dei docenti. Senza contare che un passaggio con la politica territoriale è sempre importante farlo. Mi verrebbe da dire ‘sic transit gloria mundi’, ma al di là di questo sono contento che la Scuola Normale superiore sia rimasta a Pisa senza nessuna gemmazione, e questo lo dobbiamo alla sensibilità dei nostri ministri, in particolare del ministro Lorenzo Fontana”.

Il sindaco Michele Conti preferisce non infierire: “Non spetta a me commentare le scelte interne della Scuola Normale Superiore o del suo direttore che si è dimesso. La mia è stata una battaglia per la città di Pisa, troppo spesso in passato depauperata delle proprie eccellenze”. La Normale è qui da 208 anni, rimane a Pisa continuando a portare avanti progetti di apertura e collaborazione con le università e con gli altri istituti di eccellenza. Auspico per la Scuola Normale che dopo questa vicenda corpo docente, studenti e ricercatori sappiano ritrovare l’armonia necessaria per continuare a rappresentare quell’eccellenza che caratterizza la Scuola in tutto il mondo”.

Anche l’ex direttore della Normale, Salvatore Settis, aveva aspramente criticato la mossa di Barone, definendo il suo progetto senza visione, “un provvedimento che somiglia più al condono per Ischia che a un progetto culturale”. Settis al contempo aveva attaccato la politica pisana, definendo grave la sua intromissione. Ed equiparato, di fatto, i due localismi che si sono contrapposti, quello pisano e quello napoletano: “Ma lo spirito della Normale è l’esatto contrario: ragionare sempre e soltanto a livello nazionale, anzi quanto meno europeo”.

La sede della Scuola Normale Superiore di Pisa (Wikipedia)

Le ultime parole di Barone

Nella lettera di dimissioni recapitata al Senato accademico, il direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa scrive che le sue dimissioni sono “inevitabili” per “il forte dissenso interno che si è immediatamente sviluppato su questo e altri elementi chiave del mio programma di mandato”, perché “non sono e non potrei mai essere un direttore che non cerchi di realizzare il mandato per cui è stato eletto”, e il progetto di una “Normale al Sud ha sempre fatto parte del mio programma di mandato”.

Barone torna poi sul progetto di una Normale al Sud, spiegando che “la scuola così costruita doveva poi poggiarsi interamente sulle proprie gambe e camminare da sola: la Scuola Normale Superiore di Pisa doveva solo essere il miglior ‘incubatore’ possibile. Già l’articolo di legge approvato alla Camera non corrispondeva esattamente a questo progetto, ma, soprattutto, la versione finale approvata il 30 dicembre scorso rappresenta un completo stravolgimento dell’idea iniziale, ricondotta all’ennesima scuola locale, filiazione di un’università madre e senza nessuna autonomia”. Infine, Barone sottolinea che “la mozione di sfiducia al direttore è stata introdotta da me per la prima volta nello statuto della scuola” ma segnala con amarezza “l’accelerazione inusuale dell’insoddisfazione generale, peraltro durante una mia assenza per malattia”.

Ai microfoni di SkyTg24 Barone si è tolto qualche altro sassolino dalle scarpe. “Dal punto di vista politico quello che non ha funzionato è stata un’interferenza indebita della politica locale sull’autonomia dell’università. Da un punto di vista interno della Scuola Normale mi è più difficile rispondere, perché l’affermazione che questo progetto non fosse noto è per me difficilmente accettabile: ne ho parlato in una prolusione, ci sono articoli di giornale documentati, abbiamo già aperto due dottorati in comune con Napoli, c’è un centro inter-universitario, stanno partendo un altro dottorato e un altro centro. L’idea era avere una sperimentazione di un certo numero di anni in cui la Normale avrebbe fatto da incubatore a una nuova scuola sul suo modello a Napoli, alla fine della sperimentazione ci sarebbe stata una verifica e a fronte di una verifica positiva questa scuola sarebbe diventata indipendente”.

Ultimo capito della vicenda, quello più umano: la solidarietà ricevuta. Barone ha tenuto a precisare che “al di fuori di Pisa la solidarietà è stata totale, ho una lettera del ministro che mi invita a non dimettermi, in più c’è stato un documento firmato da più di 300 intellettuali, c’è sito fatto dagli studenti di Napoli che ha raccolto più di 500 firme”.

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