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Bancarotta Etruria, condannati gli ex vertici

- Cronaca
1 Febbraio 2019

Il gup del tribunale di Arezzo, Giampiero Borraccia, con rito abbreviato ha condannato a cinque anni, per bancarotta, l’ex presidente di Banca Etruria, Giuseppe Fornasari, e l’ex direttore generale Luca Bronchi. Due anni all’ex vicepresidente Alfredo Berni e a un anno all’ex membro del cda Rossano Soldini. Il gup ha inoltre rinviato a giudizio tutti gli altri 25 imputati che non hanno aderito al rito abbreviato.

Nel corso della requisitoria, che ha visto impegnati i pm Andrea Claudiani, Angela Masiello e Julia Maggiore, sono state indicate le attività che portarono al crac della banca aretina: dall’acquisto dello yacht di Civitavecchia (registrando una perdita di 25 milioni di euro), che avrebbe dovuto essere il panfilo più grande del mondo e che è rimasto in un cantiere, ai finanziamenti al relais di lusso villa San Carlo Borromeo dello psicanalista Armando Verdiglione; dai prestiti alle società del finanziere Alberto Rigotti, ai prestiti all’impresa Sacci per una cinquantina di milioni di euro, registrando la maggiore sofferenza nei conti della ex Banca Etruria.

Prenderà il via il 2 aprile, davanti al Tribunale di Arezzo, il processo con rito ordinario per il crac della banca. Gli imputati saranno chiamati a rispondere del default dell’ex istituto di credito aretino, con accuse diverse in base ai ruoli ricoperti nella banca che fu prima commissariata e poi messa in risoluzione. Tra i 25 imputati ci sono ex consiglieri di amministrazione, ex revisori ed ex dirigenti. Gli imputati rinviati a giudizio sono: Franco Arrigucci, Mario Badiali, Federico Baiocchi Di Silvestri, Maurizio Bartolomei Corsi, Alberto Bonaiti, Luigi Bonollo, Ugo Borgheresi, Piero Burzi, Paolo Cerini, Giovan Battista Cirianni, Giampaolo Crenca, Laura Del Tongo, Enrico Fazzini, Augusto Federici, Paolo Luigi Fumi, Giorgio Natalino Guerrini, Giovanni Inghirami, Saro Lo Presti, Gianfranco Neri, Andrea Orlandi, Carlo Platania, Carlo Polci, Alberto Rigotti, Lorenzo Rosi, Massimo Tezzon.

“Un primo atto di giustizia è stato fatto”, afferma Letizia Giorgianni, portavoce dell’Associazione Vittime del Salvabanche -. Per il giudice, quindi, ci fu bancarotta e nel caso di Fornasari, Bronchi e Berni fu fraudolenta. Ci aspettavamo forse più comprensione per chi aveva avuto il coraggio di contestare la gestione spericolata all’epoca di Fornasari, Berni e Soldini, che arrivò ad accusare persino in Banca d’Italia. Un plauso da parte della nostra Associazione va anche al procuratore Rossi, che ha condotto un’inchiesta non certo facile e molto spinosa – aggiunge Giorgianni -.  Con questa sentenza si conferma quello per cui abbiamo lottato fin dagli albori di questa vicenda: la Banca era gestita da un management criminale, che continuava a curare esclusivamente il proprio interesse mentre la banca cumulava perdite da capogiro cumulate per colpa di prestiti concessi con leggerezza e senza alcuna lungimiranza, oltre che in pieno conflitto di interessi”. “E quando infine si doveva mascherare lo stato di dissesto di fronte ad un’autorità di vigilanza arrivata tardi e male, si decideva di “scaricare” questa gestione scellerata sui clienti, con la vendita indiscriminata dei bond subordinati. Tanto che il giudice ha riconosciuto ai risparmiatori il diritto a far valere il danno morale subito in questa vicenda”.

Foto: Wikipedia

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