– Marina Sacchelli –
Cosa altro potevamo visitare ad Amsterdam nel tempo che avevamo ancora a disposizione, la lista era lunghissima ma bisognava fare una scelta. L’indomani avremmo ripreso l’aereo per tornare a Pisa, ormai il più era fatto e io ero molto soddisfatta dell’atmosfera vissuta in città e delle visite prenotate e organizzate già dall’Italia. Non ci eravamo fatti mancare i musei Van Gogh e Riskmuseum, anche se ce ne sarebbero stati anche altri di interessanti come quello di
arte moderna, il Moco. Avevamo fatto una visita guidata nel quartiere ebraico dove visse Anna Frank ed un’altra nel paese dei mulini a vento e dei pescatori, entrambe con guide italiane. Ci era piaciuta particolarmente la conoscenza di questi giovani connazionali, intraprendenti e professionali. E ancora le necessarie e immancabili camminate chilometriche per conoscere la città che mi erano costate, tra l’altro, una notte insonne e polpacci doloranti. Per tutto ne era valsa la pena, e che dire delle passeggiate lungo i canali dove fermarsi a mangiucchiare qualcosa nei locali che vi si affacciano, così come aggirarsi tra i banchi del mercato dei fiori o nelle strade del centro piene di negozi e naturalmente di coffee shops (anche se poi, a fine giornata, quell’odore di fumo che si percepiva in ogni angolo non te lo toglievi di dosso).
Nell’ultimo pomeriggio a disposizione ci trovavamo seduti su di una panchina a Piazza Dam, un po’ per riposarci e un po’ per consultare la classica mappa stropicciata ma sempre pronta in tasca e anche (soprattutto) internet, alla ricerca di qualcosa da scoprire, possibilmente prendendo la metro o il tram. Proprio lì accanto in una chiesa sconsacrata avevamo appena visitato una bellissima mostra fotografica e avevamo voglia di qualcosa d’inusuale, fuori dal solito tour turistico. Fu allora che mi venne in mente di cercare in rete notizie sui murales, per capire se ce ne fossero di famosi ad Amsterdam. E… sorpresa, scoprii che proprio nella città dove ci trovavamo in quel momento esisteva il più grande murale mai realizzato da Keith Haring. Incredibile! Io vivo a Pisa dove nel 1989 l’artista dipinse sul muro della canonica della Chiesa di Sant’Antonio un bellissimo lavoro intitolato “Tuttomondo”, un inno alla vita, colorato, gioioso, purtroppo la sua ultima opera pubblica. La notizia ci parve subito eccitante, soprattutto per il fatto che il murale di Amsterdam era rimasto nel dimenticatoio e riscoperto dopo trentadue anni esattamente nel giugno del 2018.
Decidemmo di muoverci subito, dopo aver localizzato la zona da raggiungere, distretto Bos en Lommer, Jan van Galenstraat. Google Maps indicava una ventina di minuti con il tram n. 13 e un’altra decina a piedi. Il viaggio in tram ci permise di documentarci circa l’incredibile storia del murale: 12 metri di altezza e 15 di larghezza, il più grande in Europa realizzato da Haring dopo aver esposto le sue opere al museo Stedelijk nel 1986. Pare che l’artista, travolto dall’entusiasmo per la mostra personale, decise di donare al museo oltre a una grande tela colorata con i suoi tipici personaggi, anche questo murale che realizzò sulla parete a mattoncini a vista del magazzino del museo. Fu così che prese vita una mitica creatura metà cane e metà pesce cavalcata da uno degli omini stilizzati harengiani. Il disegno fu firmato XXXKH8. Purtroppo soltanto tre anni dopo l’edificio divenne un deposito alimentare e la facciata fu ricoperta da pannelli isolanti di alluminio.
Fortunatamente, anche se la proprietà dello stabile non era più del museo, la Keith Haring Foundation ha continuato a detenere i diritti sulle opere d’arte e dopo tutti questi anni, in collaborazione con il famoso artista di graffiti Mick La Rock, con una prestigiosa galleria d’arte e con il museo Stedelijk è riuscita ad ottenere la rimozione dei pannelli e a riportare alla luce XXXKH8.
Scendemmo finalmente dal tram ansiosi di ammirare l’opera di questo pioniere della pop art ma ci trovammo un po’ disorientati nel bel mezzo di un quartiere periferico con palazzi tutti uguali larghe strade e piste ciclabili. Faceva caldo, ma l’entusiasmo era ancora alle stelle, iniziammo a camminare guidati dalle indicazioni di Google, che dopo una decina di minuti ci avvertì che eravamo arrivati. Pensammo di aver sbagliato qualcosa perché intorno a noi c’erano solo condomini, tuttavia continuammo a cercare, camminare e a consultare le notizie in rete. Faceva sempre più caldo ed eravamo sempre più stanchi ma soprattutto ci domandavamo come mai un’opera che ai nostri occhi doveva essere valorizzata e pubblicizzata sembrava scomparsa nel nulla e così difficile da rintracciare, neanche un’ indicazione sulle guide turistiche, tantomeno nella zona dove continuavamo a girare a vuoto.
Provammo anche a chiedere informazioni ma nessuno pareva sapesse né chi era Keith Haring né che nel loro quartiere esistesse un murale. Ma come, ci trovammo a pensare, noi a Pisa andiamo così fieri di “Tuttomondo” e qui nessuno sa niente, figuriamoci se l’avranno restaurato cosi come avevano promesso appena dopo averlo “disseppellito”. Veramente strano, ed io confesso che stavo per gettare la spugna dalla stanchezza e dalla delusione. Decidemmo infine di camminare ancora, confrontando i palazzi che vedevamo con le rare foto che riuscivamo a reperire sui telefonini e finalmente ci parve di individuare qualcosa che gli assomigliava ma era lontano e non ci potevamo avvicinare di più perché si trovava all’interno di un grande centro commerciale di prodotti alimentari all’ingrosso. Entravano ed uscivano soltanto camion e mezzi autorizzati, il tutto sotto una stretta sorveglianza di custodi che dai loro gabbiotti alzavano e abbassavano le sbarre.
Era plausibile che l’edificio si trovasse lì dentro ma era praticamente impossibile accedervi per verificarlo. Ci fermammo di nuovo per riflettere mentre imperterriti continuavamo a cercare notizie in rete. Alla fine, per caso, leggemmo non ricordo neanche dove, un commento di un ragazzo italiano che confermava che XXXKH8 si trovava confinato all’interno del centro all’ingrosso e che pertanto poteva essere visibile da lontano e soltanto dopo aver
attraversato un canale poco distante. Con l’amaro in bocca ma felici di aver trovato almeno una (dico una) informazione precisa, ci recammo faticosamente dall’altra parte del canale, attraversammo un parco giochi per bambini e finalmente di fronte a noi, sebbene in lontananza, scorgemmo il muro di mattoncini con le inconfonbili linee hariengiane. Fu necessario arrampicarsi sul gradino più alto di uno scivolo per immortalare con qualche foto
la nostra missione compiuta… e pensare che, nello stesso momento auto e camion transitavano indifferentemente sotto la misteriosa creatura cavalcata dallo strano omino.
Marina Sacchelli
Foto in alto: Instagram (charlottemumm)
Bella storia. Complimenti per la tenacia 😉