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Il reattore nucleare di Pisa. Quella volta che gli strumenti impazzirono (3 giorni prima che si sapesse di Chernobyl)

- Cultura
2 Ottobre 2019

Doady Giugliano

Le “orde ambientaliste”, scatenatesi anche dalle nostre parti, hanno riesumato, per l’ennesima volta, la querelle sul reattore nucleare del Camen, oggi Cisam di San Piero a Grado (Pisa). L’illazione che non conosce soste, si espande ancora una volta attraverso la “nube tossica” dell’integralismo ambientale. La paura, si sa, fa notizia, ed allora tutti sotto a cercare di scoprire cosa si nasconda nella splendida pineta del nostro litorale. In verità, si è detto e scritto per decenni che in quell’area militare non sono mai passati né il “dottor Stranamore” né il “Frankenstein”. Ma visto che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, rieccoci a scrivere sul “diabolico” centro sperimentale.

Correva l’anno 1966 e l’Italia vantava il terzo posto nella classifica mondiale dei produttori di energia atomica, forte dei suoi 3.9milioni di kwh prodotti. Energia pulita e a basso costo, non propriamente come quella che adesso importiamo dai paesi vicini (Francia in testa) rigorosamente di origine nucleare (sic!). In quell’anno prese avvio la costruzione del “Galileo Galilei” RTS1, all’interno del Centro per le applicazioni militari dell’energia nucleare (Camen). Un piccolo reattore di appena 5 Megawatt di potenza, perfettamente funzionante dal 3 aprile 1967, ed assolutamente sicuro oltre che monitorato 24 ore su 24 dagli specialisti militari e civili impiegati in loco, in collaborazione con l’Università di Pisa che aveva istituito il primo corso italiano per la laurea in Ingegneria Atomica.

L’attività di ricerca sulle possibili applicazioni, vedi Medicina Nucleare, veniva settimanalmente mostrata alle scolaresche del territorio, a dimostrazione della sicurezza della struttura. Nel 1980 però, il reattore venne spento ed in attesa della bonifica, terminata all’inizio degli anni ’90, il controllo continuò come e più di prima. Un controllo costante che risultò provvidenziale durante l’emergenza Chernobyl. “La mattina di Domenica 27 Aprile 1986 – ci racconta in esclusiva il colonnello Aldo Natale, oggi in pensione ma all’epoca direttore della Struttura – nel corso della consueta misurazione dei livelli di radioattività effettuata in tutta la nostra area l’ago del rivelatore andò a fine banda. Un fatto che ci fece venire i brividi, per questo provammo con altri strumenti ma niente. L’ago era piantato lì, drammaticamente fermo. Increduli, andammo di corsa verso l’interno del bunker che proteggeva il reattore, se pur spento, dove subito tirammo un respiro di sollievo perché la misurazione tornò praticamente a zero. Ci rendemmo conto – prosegue Natale – che doveva essere accaduto qualcosa di grave in Europa, pertanto comunicammo la cosa allo Stato Maggiore a Roma, invitandoli a fare indagini attraverso le altre Nazioni. Tre giorni dopo – conclude Natale – la Russia non potendo blindare ulteriormente la notizia, comunicò il disastro avvenuto a Chernobyl”.

Un aneddoto fondamentale per sottolineare l’importanza di questo Centro, oggi certamente al sicuro da scorie radioattive autoctone ma non dalle radiazione che potrebbero provenire da eventuali danni a centrali “vicine di casa”, che in barba alla denuclearizzazione italiana (vale la pena ricordare la moda degli inutili cartelli segnaletici all’ingresso di diversi Comuni italiani “denuclearizzati”) lucrano sulle nostre carenze energetiche! Ma siccome la “mamma degli imbecilli e degli scettici è sempre incinta” invitiamo i già nati e cresciuti che non fossero del tutto convinti sulla sicurezza di quello che oggi si chiama CISAM , a leggere il “Quaderno di memorie storiche sul CAMEN- IL NUCLEARE A PISA” (edito da ETS) scritto da Amerigo Vaglini, per decenni protagonista di questa atomica avventura.

 

Foto: il reattore Camen (scatto del colonnello Mauro Billi, ex responsabile Sicurezza Camen)

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2 Commenti
    Nicco

    Concordo sull’incoerenza di interrompere la produzione di energia nucleare su suolo nazionale per poi importarla dai vicini confinanti. E’ però importante sottolineare che a differenza della Francia menzionata nell’articolo, la nostra bella penisola è in gran parte territorio sismico, fattore non certo ottimale per questo tipo di impianti. A dispetto dello stesso problema possiamo forse dire che i giapponesi siano stati più furbi di noi a puntare su tale tecnologia? Fukushima ci insegna il contrario, e speriamo non ce ne siano di nuove in futuro nel paese del Sol Levante. Altro fattore da non trascurare è la questione dello smaltimento dei rifiuti. In un paese dove nessuno accetta di costruire mezzo inceneritore sul proprio territorio locale immaginiamoci cosa sarebbe successo con i residui nucleari! Insomma per una volta forse gli Italiani non votarono poi cosi male ad un referendum 😉

    Cirano Renieri

    Articolo non solo parecchio di parte, senza alcun contraddittorio, ma anche abbastanza offensivo. La redazione di un giornale, seppur locale e/o online, a mio avviso dovrebbe stare più attenta a cosa viene pubblicato sotto il suo nome.

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