Il piccolo dipinto (25,8 cm per 20,3) era appeso sopra una piastra elettrica per cucinare tra il soggiorno e la cucina della casa di un’anziana signora francese, a Compiègne (Oise), 50 km a nord-est di Parigi. Nessuno sospettava si trattasse di un’opera di enorme valore e così è stato ignorato per decenni. E, nonostante i grassi fumi per la cucina, è rimasto in buono stato di conservazione, pur essendo un’opera risalente al 1280. Si tratta, infatti, de “Il Cristo deriso” di Cimabue. È stato venduto all’asta per 24 milioni di euro.
Ad attribuirlo a Cimabue sono stati gli esperti del laboratorio di periti d’arte Turquin, secondo i quali il dipinto è un elemento di un dittico del 1280, nel quale probabilmente erano rappresentate, su otto pannelli di simili dimensioni, alcune scene della passione di Cristo. Di tali pannelli fino a poco fa se ne conoscevano due: “La Flagellazione” della Frick Collection di New York e la “Maestà con due angeli”, che si trova alla National Gallery di Londra.
“Il Cristo deriso” da decenni era attaccato al muro di una casa di Compiègne. L’anziana proprietaria lo ha fatto vedere alla casa d’aste Actéon, che lo ha fatto visionare al laboratorio di Eric Turquin. Dopo una serie di indagini per i periti non vi possono essere dubbi: “È evidente, paragonandolo con altri suoi quadri, che si tratta della stessa mano” del maestro Cimabue. Eric Turquin ha fatto sapere inoltre che dagli esami con la riflettografia a raggi infrarossi è stato riscontrato un disegno di fondo e un eccellente stato di conservazione.
Le tracce dell’antica cornice – spiega la casa d’aste Actéon – le piccole linee circolari punteggiate eseguite allo stesso modo con il punzone, lo stile, la decorazione del fondo oro, la corrispondenza dei dorsi dei pannelli e le rispettive condizioni dei tre pannelli confermano che questi pannelli costituivano il lato sinistro dello stesso dittico”.
Considerato il maestro di Giotto, Cenni (Bencivieni) di Pepo, detto Cimabue, nacque a Firenze nel 1240 e morì a Pisa nel 1302. Dante parlò di lui come il più grande artista della generazione prima di Giotto. A lui si deve il fondamentale passaggio dalle figure idealizzate (tipiche della tradizione bizantina) a quelle più umane e “vere”, alla base della pittura occidentale. A Pisa, dove morì, lavorò dal settembre 1301 al 19 febbraio 1302, realizzando il grandioso mosaico absidale del Duomo.