L’ex capannone industriale di Livorno nelle cui vicinanze, su un’auto, ha perso la vita Moira Piermarini, nel giro di otto mesi aveva ospitato ben tre rave party. Era, dunque, un luogo abituale per chi fa dello sballo estremo e della “musica” techno una ragione di vita (e di morte).
Il primo raduno abusivo ci fu la notte tra il 2 e il 3 marzo 2019. Nei giorni successivi le forze dell’ordine denunciarono 64 persone. Il 20 e 21 aprile ci fu il bis: a Livorno arrivarono da tutta Italia, ma anche dall’estero, con oltre duemila presenze per il “Pasquatek”, come fu chiamato l’evento. Da un litigio violento scoppiato durante il rave uno dei partecipanti, Maurizio Canavesi, dj 35enne di Bergamo, una volta tornato a casa venne accoltellato e ucciso da un amico, Sergio Ubbiali, 25 anni.
Dopo sei mesi l’ex capannone della Trw viene scelto per una festa in concomitanza con Halloween. Arrivano 1500 persone, attratte dal caos dal casino della techno e dalle sostanze (droghe e alcol) che circolano a fiumi. Moira va alla festa con un amico, poi i due litigano e si separano. Lei conosce un 33enne di Teramo, trascorre la notte con lui, beve del whisky e, verso le 4 del mattino, si addormentano. Al mattino, svegliandosi, lui si accorge della tragedia. Agli inquirenti giura che non hanno assunto droga. L’autopsia accerterà le cause della morte della trentenne pisana. Intanto si apprende che Moira era nata con una malformazione al cuore e pochi anni fa era stata operata. Questa circostanza è legata in qualche modo alla sua morte?
Ma quali sostanze ha assunto Moira? Lo sapremo dall’esame tossicologico. Per ora, da quanto ha raccontato alla polizia l’uomo con cui era andata al rave, un quarantenne di Pisa, si sa che ha fatto uso (lui afferma insieme alla ragazza) di ketamina e speed (anfetamine). Questo il primo giorno. Successivamente oppio e Mdma. Per finire, l’ultimo giorno, eroina. Tutto condito da vari alcolici.
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Certo che per usare in una notte tutte le schifezze elencate bisogna che fossero entrambi abituati a farsi come lavandini. Più che disgrazia lo chiamerei suicidio, cercato e trovato.