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Radici e Ali, intervista ad Alfonso De Pietro

- Cultura, Interviste
24 Dicembre 2019

Guido Martinelli

Tenere i piedi per terra e la testa per aria è uno stato d’animo ottimale. Insomma, avere una chiara identità personale e sociale con tutto il sistema di valori che questo comporta, e al contempo seguire una visione della vita piena di slanci ideali, sono le condizioni giuste per calpestare il suolo di questo pianetino in modo utile per sé stessi e gli altri. Queste considerazioni, credo generalmente condivise da tutti, sono riemerse quando ho notato il titolo dell’ultimo spettacolo del cantautore Alfonso De Pietro, un’artista e operatore culturale che conosco e stimo da tempo, denominato dal suo autore proprio così: ”Radici e Ali”, che ha esordito al teatro Sant’Andrea di Pisa il 20 Dicembre. Incuriosito, ho deciso di incontrarlo prima di ammirarlo in scena in questo recital per divulgare aspetti del suo spettacolo e della sua vita.

Allora Alfonso, ci puoi raccontare brevemente il tuo percorso artistico e umano? 

Semplicemente, credo di essere un uomo che, come dico spesso, cerca di declinare la propria creatività in tante modalità diverse. In fondo, convivo con mister Hyde da quando ne ho memoria. La musica nasce quasi con me, come racconto nell’anteprima del mio nuovo recital, che parte infatti con la registrazione di un mio ricordo d’infanzia. Da bambino, a cinque-sei anni, andavo spesso con mio padre nella bottega di uno zio, sarto del paese, che cuciva poco e suonava molto: lo trovavi sempre lì, seduto sul bancone, a suonare il mandolino e tanti altri strumenti, tra corde ed archi. Ero affascinato da quel mondo sonoro e fu proprio lui ad accompagnarmi ad acquistare la prima chitarra.

 

Da dove vieni?

Vengo a Pisa, proprio trent’anni fa, dalla provincia di Avellino, precisamente da Bonito, il paese di Salvatore Ferragamo, e mi laureo in Scienze Politiche. Mi occupo da sempre di comunicazione e marketing, ma sono anche un formatore ed un educatore. Tra l’altro, ho ideato e conduco da anni un Laboratorio, soprattutto nelle scuole cittadine secondarie inferiori e superiori, “(in)canto civile (in) formazione”. E sono un cantautore. Gli ultimi due dischi che ho inciso sono ‘a tema’ sociale: “(In)canto civile” e “Di notte e giorno”. Quest’ultimo ha la presentazione di Don Luigi Ciotti di “Libera”, che mi onora della sua amicizia. Inoltre, ho una collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna come “project manager” in ambito formativo, comunicazione e marketing. Ecco spiegata, dunque, la dicotomia tra Dottor Jekyll e Mister Hyde, con uno che chiama l’altro; ma credo di essere, in fondo, costantemente alla ricerca della bellezza, forse perché sono convinto, con Dostojevsky, che ‘la bellezza salverà il mondo’. Anche se io credo che debba essere il mondo, finalmente e più che mai, a doversi preoccupare di salvare la bellezza.

I tuoi spettacoli precedenti quali sono stati?

Il tema che ha contraddistinto le mie esperienze artistiche di questi ultimi anni è stato l’impegno civile. Si tratta di racconti e canti di memoria e di riscatto, collegati alle storie di donne e di uomini che hanno sacrificato la loro vita per un ideale di giustizia. Quindi martiri della giustizia, ma anche della fede, perché racconto e canto Don Peppino Diana, assassinato dal clan dei Casalesi il 19 marzo 1994; Padre Pino Puglisi, ucciso a Palermo il 15 settembre 1993. Così com’è interessante ricordare Giovanni Paolo Secondo che, nel 1993, nella spianata dei templi di Agrigento, dopo il discorso ufficiale, prima di andar via, lanciò quella famosa invettiva a braccio, guardato di traverso da qualche cardinale. “Mafia o qualsiasi umana agglomerazione non può calpestare il diritto alla vita… lo dico ai responsabili: convertitevi!’ Insomma, i prodromi di una chiesa sociale, contrapposta a quella che fino ad allora era stata a volte connivente o aveva addirittura negato l’esistenza delle mafie, considerate un’invenzione di giornalisti e comunisti. Ma ho raccontato anche Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Libero Grassi, Lea Garofalo, donna calabrese che ha cercato di resistere alla ‘Ndrangheta, la cui storia porterò, peraltro, anche in “Radici e Ali”.

Questi temi della legalità se non erro, sono quelli che sostieni nei tuoi laboratori coi più giovani cui accennavi prima e che sono alla base della tua collaborazione con “Libera”, l’associazione di Don Ciotti che hai citato, come ho letto da qualche parte.

Certo, tengo molto a questi temi che affronto anche nei miei laboratori con i giovanissimi, sempre attento però a non scivolare nella retorica. Non sono lì per pontificare, m’interessa piuttosto riflettere insieme a loro sul nostro modo di comportarci e cito spesso la ‘picciridda’ (loro coetanea diciassettenne), ‘la siciliana ribelle’, collaboratrice di giustizia, accolta e protetta da ‘zio’ Paolo (così lo chiamava) Borsellino, Rita Atria, che si suicidò una settimana dopo la strage di via d’Amelio. Scriveva: ‘Prima di combattere la mafia, devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci’. Ecco quindi il facile riferimento al bullismo, al cyberbullismo e ad altre manifestazioni de ‘la legge del più forte’, tipica di ogni cultura mafiosa, ed invito sempre tutti noi a riflettere per cercare di comprendere il mondo che ci circonda, così complesso, per arrivare a combattere tutte quelle modalità perverse che spesso ci impediscono di perseguire un diritto inalienabile di ciascuno di noi: la felicità.

Parli di questi argomenti nei due precedenti dischi?

Questi ultimi due dischi hanno seguito questa tematica, mentre il prossimo, ormai già pronto (dovrebbe uscire in primavera), è un po’ più introspettivo, intimo, ma sempre con un chiaro taglio di critica sociale. L’ho scritto con Carmelo Calabrò, docente e poeta di origini siciliane, amico fraterno dai tempi dell’Università. I temi: dalla ‘traversata’ della mia generazione al senso del ‘viaggio’, dalla perdita di un lavoro al gioco d’azzardo, dal valore di un’amicizia all’eutanasia… E mi fermo qui, perché non vorrei anticipare troppo! La primavera arriverà presto. Per ora, il recital “Radici e Ali” rappresenta un momento di passaggio verso questo nuovo capitolo discografico.

Cosa vuol dire “Radici e Ali” e come e quando nasce?

Il titolo prende spunto da una citazione del grande poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez premio Nobel della letteratura nel 1956 che, parlando di radici e ali, precisava: ‘Ma che le ali mettano radici e le radici volino’. Per cui, partendo dalla mia Irpinia (la terra dei lupi come me – hirpus: lupo), ho deciso di far volare le mie radici, affondando le ali nei racconti e nei canti della tradizione popolare del Sud: dalla Campania alla Puglia, dalla Calabria alla Sicilia, fino alla Sardegna. Canzoni in lingua perché i dialetti sono un po’ come il vino, impastati di terra, di acqua, di sole e di sale. Lingue che tracciano un confine tra terra e cielo e li uniscono nelle storie e nei significati, nel senso profondo delle parole di vita. Dal Sud si parte proprio per cercarla, la vita. Ma dentro rimane un codice culturale, un segnale che continua a lampeggiare e a illuminare la strada, quella già percorsa e quella ancora da fare.

Perché questa citazione del vino?

Vedi, il grande Giacomo Tachis, il più colto tra gli enologi italiani, un umanista, sosteneva che nessuna bevanda più del vino è vicina all’anima ed ha il potere di trasformare lo spirito dell’uomo. Ecco, è questo l’aspetto del vino che m’interessa scoprire ed indagare. Forse anche perché sono… ‘figlio d’arte’. Nipote e figlio di viticoltori, cresciuto ‘a pane e Aglianico’, un vitigno nobile e antico, al punto di essere definito ‘il Barolo del sud’. Non è quindi un caso che con la Scuola Superiore Sant’Anna, dopo un Master, stia realizzando un progetto di alta formazione sui vini italiani in Cina, che ho presentato a Chongqing, Chengdu e Beijing nel novembre-dicembre dello scorso anno. Per strutturare questo percorso (anche da sommelier) ho utilizzato tutti i linguaggi universali che pratico: dalla musica alla grafica, dalle immagini ai video, ricorrendo anche all’uso delle nuove tecnologie, quali la realtà aumentata. In tal modo il vino diventa il medium ideale per raccontare le storie e la cultura di un territorio, donne e uomini artigiani della sostenibilità e della biodiversità, paesaggi anche interiori, oltre a tutto il grande patrimonio artistico, che rappresenta il mito italiano nel mondo. Insomma, il vino inteso come bene culturale, più che come prodotto. ‘Il vino è la poesia della terra’, scriveva Mario Soldati. Io seguo questa linea di pensiero.

Chi ti accompagna, invece, nel viaggio di Radici e Ali?

Lo spettacolo di teatro-canzone è nato come un classico recital ‘solo’ da cantastorie, con chitarra, voce e armonica. Ma poi ho voluto scegliere un compagno di viaggio particolare: il noto sassofonista Dimitri Grechi Espinoza. Dimitri ha un suono unico, raffinato, spirituale, con un’anima (non solo da un punto di vista musicale) preziosa per un percorso in cui l’arte si veste di umanità e condivisione di valori e ideali. Riesce ad avvicinarsi a certe tematiche culturali ed umane con grande sensibilità ed è pienamente coinvolto nel mood delle storie che racconto e canto.

Ed eccoci quindi al fianco di Alfonso nel corso del suo viaggio. Arrivati alla meta finale si conclude che si è trattato di un percorso non facile nè lineare e a tratti anche doloroso, che ha valorizzato le sonorità, i colori, le lingue e le storie del sud nel quale le radici del cantante sono salde come lui rivendica con orgoglio. Tengono compagnia, durante il percorso, sia canzoni originali di Alfonso sia cover di autori leggendari come Daniele, Modugno, De Andrè, Andrea Parodi dei Tazenda, Salvatore.

Attraversando quegli stupendi scenari musicali a tratti si ha persino l’illusione di avvertire il profumo, scorgere i fantasmagorici colori di quelle campagne e marine dove la gioia di vivere in scenari naturali e umani ancora vivi, densi di passione e di calore umano, si mescola alle tragedie frutto di sfruttamento e incuria. Le note musicali e gli impasti vocali dialettali allietano e suscitano un forte desiderio di addentrarsi ancor più in questo mondo dai contorni misteriosi e costellato da attrattive persino pericolose.
Un viaggio che vale la pena di intraprendere perché, come disse il compianto scrittore e regista Luciano De Crescenzo mettendo a confronto la Baviera con la Lombardia: “Si è sempre meridionali di qualcuno”. Mai dimenticarselo.

E non è detto che esserlo, un sudista, sia una esperienza da evitare. Anzi.
Penso, anche grazie a questo spettacolo di Alfonso De Pietro, che al contrario potrebbe essere per tutti un momento formativo e unico.

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