– Guido Martinelli –
Nella settimana di Sanremo dovunque, nel nostro Paese, si parla a lungo di cantanti e canzoni. Il Festival si guarda anche solo per criticarlo e sbeffeggiare cantanti e conduttori. D’altronde, col tempo, il Festival della canzone italiana è divenuto un gran carrozzone elefantiaco che ospita di tutto e di più e dove la musica è quasi un pretesto per alzare auditel e pubblicità che servono per guadagnare consensi e compensi. Ma i cantanti, giovani e vecchi, famosi e sconosciuti, sul palco ci salgono, trepidanti, ansiosi, speranzosi, tutti alla ricerca di conferma o consacrazione definitiva delle loro doti canore, tutti alla ricerca del successo grande, della notorietà definitiva. Eppure ho di fronte a me, qui ed ora, una persona che ha rinunciato a salire la scala che porta in cima all’Olimpo artistico anche quando il suo cammino era ben iniziato e le premesse per arrivare alle sommità o nelle vicinanze c’erano tutte; in questo preciso momento mi sta gentilmente sorridendo una simpatica signora che aveva in mano un poker d’assi ma al momento di calarli si è alzata dal tavolo ed è andata via.
Un caso anomalo e strano soprattutto in una società come la nostra dove la sconfitta è una colpa e solo che taglia per primo il traguardo conta davvero e ottiene rispetto e considerazione assoluta. D’altronde sappiamo tutti, grazie al buon vecchio Flaiano, che gli italiani corrono sempre in aiuto al vincitore. Volendo essere precisi devo dire che mi riferisco ad una gentile e affascinante professoressa di lingua francese di mezza età che ora sta sorseggiando un caffè e di cui avevo sentito parlare in gioventù, anche se io ho preso a calpestare il suolo di questo pianetino diversi anni prima di lei. Si chiama Antonella Bellucci e quando casualmente mi sono imbattuto in lei e ho saputo il suo nome, mi sono ricordato di aver sentito parlare di lei quando viaggiavo sul veloce e ormai perduto treno dei vent’anni. Antonella era assurta agli onori della gloria sul finire degli anni Settanta apparendo sugli schermi Rai nel programma musicale “Discoring”.
Avevo degli amici che frequentavano insieme a lei il pisano Liceo Scientifico “F. Buonarroti” che ne continuarono a parlare per settimane, felici di conoscere una futura celebrità. Uno di loro, pochi anni fa, me la ricordò in una chiacchierata virtuale in chat chiedendosi alla fine che fine avesse fatto e perché quel cammino trionfale si fosse interrotto. Ora finalmente l’arcano potrà essere svelato e le lascio la parola.
Antonella, come iniziò questa storia della musica e del canto?
Iniziai a cantare a otto anni nella parrocchia di Porta a Lucca, dove partecipai e vinsi un concorso canoro e da allora iniziarono a invitarmi in altri concorsi. Insomma vennero fuori le mie doti canore che venivano apprezzate da tutti coloro che mi ascoltavano. Il periodo più intenso e ricco di successi della mia attività artistica è stato tra i dodici e i sedici anni, in cui mi trovai ad avere pure un contratto con la Cbs Sugar.
Ma da chi hai preso queste doti canore?
Da mia madre che ha una voce stupenda ed anche mia figlia minore ha avuto l’identico dono.
Che canzoni cantavi?
Canzoni dell’epoca, melodiche
Immagino cover dei principali successi del momento…
Certo, ma verso la metà degli anni Settanta in America vennero fuori dei ragazzini molto bravi. La più emergente era Nikka Costa, se ti ricordi, che verso i dieci-undici anni ebbe un successo mondiale strepitoso con “On my own”,anche perché sostenuta dal padre produttore. L’Italia volle imitarli seguendo la scia. Così alla Cbs, guidata allora da Piero Sugar, il marito di Caterina Caselli, che mi aveva preso nella sua scuderia, mi presentarono un ragazzino di Prato che si chiamava Marcellino e nacque il duo Massimo e Antonella.
Perché cambiare nome? Marcello e Antonella suonava male?
Non lo so. Noi comunque diventammo un duo su cui la casa discografica puntava molto. Se guardi la foto con il quadro dei cantanti della Cbs che ti ho portato vedi anche la nostra foto.
Eravate insomma come Wess e Dory Ghezzi che all’epoca spopolavano…
Esatto. Incidemmo il primo disco, questo (me lo mostra) il cui lato A si chiama “Entriamo nel gioco” che sarebbe la versione italiano del testo inglese “You make feel brand you“ degli Stylistics (ndr che cantavano anche Wess e Dory Ghezzi). Poi, tra gli altri impegni che sorsero nel tempo venne anche il “Giromike”, una carovana di cantanti che girava per tutta l’Italia che m’impegnò da giugno a settembre.
Quanti anni avevi?
Sedici, e i miei genitori mi dovevano accompagnare sempre quindi mia madre, mio padre e mio fratello si alternavano quindici giorni a testa a seguirmi in quegli spostamenti. Fu un grande sacrificio e da quel momento cominciò a cambiare il mio atteggiamento verso la musica. Col senno di poi potrei dire che senza il “Giromike” il mio destino artistico sarebbe stato diverso, ma in un‘età come quella in cui nascono i primi amori, le prime simpatie e vedi i tuoi amici e le tue amiche che facevano le loro prime uscite, ad essere un po’ più autonomi, iniziai a patire la mia differente situazione.
Non trovasti altri amici nel mondo della canzone?
No, perché ero sempre impegnata in su e giù per Milano che era allora la capitale della musica, poi andavo a scuola, seguivo lezioni di pianoforte, di canto e non avevo tempo per fare altro. Ero solo attenta e concentrata sulla musica. Mi ricordo una settimana bianca in terza media, già prenotata con la scuola, dove anch’io sarei dovuta andare con tutti miei compagni e a cui dovetti rinunciare all’ultimo momento per impegni artistici a Milano, che mi demoralizzò molto. Questa cosa della musica era cresciuta troppo e alla svelta dai tempi di Porta a Lucca e probabilmente non ero pronta per tutti quei sacrifici che quegli impegni richiedevano. Allora, dopo il Giromike dissi ai discografici che non avevo più voglia di cantare. I più contenti della mia decisione furono i miei genitori, che erano stanchi anche loro di seguirmi in tutte le mie peregrinazioni, mentre i più dispiaciuti furono i discografici. Le ricordo ancora le parole di Sugar che disse ai miei genitori: “Mi dispiace molto che abbiate preso questa decisione perché questa ragazza sarebbe diventata sicuramente una vera cantante”.
Prima di arrivare alla fine ci puoi raccontare altri momenti importanti oltre il “Giromike” della tua breve carriera?
Quando già manifestavo i miei primi desideri di ritiro incominciarono a promuovere un secondo disco che avevamo inciso che si chiamava “Acqua di luna” e con questo disco partecipammo alla trasmissione “Discoring” presentata da Gianni Boncompagni.
Quella che ti dicevo di cui mi parlavano amici e conoscenti.
Quella. In bianco e nero, che andava in onda sulla Rai, che era l’unica rete televisiva dell’epoca, la domenica all’ora di pranzo.
Come andò al ritorno a Pisa?
Si registrava di mercoledì e la trasmissione andando appunto in onda la domenica costrinse tanti amici ad andare più tardi alla partita di calcio del Pisa, che allora andava forte, per vedermi. Il lunedì, al liceo “Buonarroti” mi accolsero trionfalmente tutti: la professoressa Marianelli, il preside, che mi aveva in simpatia, i compagni non solo di classe. Bei ricordi. Poi conquistammo il Telegatto, a Boario, ce lo consegnò Mike Buongiorno in persona, come premio non ricordo più per cosa, presumo per la vendita di dischi.
Sei un caso più unico che raro di chi, potendo aspirare con grandi chances al successo, lo rifiuta.
Non è detto che, poi, il successo sarebbe arrivato perché nella vita niente è certo. È tutto così aleatorio in quel mondo lì. Ma vedi, persi un anno di scuola al Liceo, a sedici anni, perché ero sempre impegnata a Milano dove stavo più che a Pisa per i tanti impegni. Ricordo persino che mi tagliarono i capelli e me li colorarono perché dovevo fare dei servizi fotografici per “Eva Express” e “Sorrisi e Canzoni”. Ma mi dispiacque cosi tanto perdere quell’anno a scuola che cominciai a domandarmi: “Ma cosa faccio io? La cantante? Poi magari con concludo nulla. Sarà meglio che finisca il mio liceo e prosegua il mio percorso di studi?”. Non pensavo, insomma, che il mio futuro di cantante potesse essere l’unica scelta di vita, e poi vedevo le mie amiche che si divertivano nelle loro prime uscite mentre, invece, io o suonavo il pianoforte o andavo a Prato a cantare da un maestro molto bravo. Avevo una maestra di canto a Lucca, uno a Prato dove seguivo le lezioni insieme a questo Massimo. A Pisa lavoravo con la professoressa Piera Ghelardi. Devo dirti, però, con tutta sincerità e senza desiderio di darmi delle arie, che non avevo proprio bisogno di tutte queste lezioni per imparare a cantare: come aprivo bocca la canzone andava da sé. Era più che altro un allenamento perché una canzone, cantandola, la personalizzi e diventa più tua. Poi non c’erano, in quei tempi così lontani, tutte le strumentazioni che ci sono adesso e avevo bisogno di una professoressa che suonasse il pianoforte per allenarmi sui pezzi da portare ai concorsi che, come ti ho già detto, vincevo tutti per cui a un certo punto mi invitavano solo come ospite d’onore altrimenti gli altri concorrenti non si iscrivevano perché vincevo sempre. Rammento una di queste competizioni a Montignoso, in quel di Massa, l’organizzatore di chiamava Andreoni, in cui nelle categoria “adulti” partecipava pure tale Fornaciari cioè l’attuale famoso Zucchero, mentre io ero in quella “mini”. Io vinsi nella mia categoria mentre lui arrivò esimo nella sua. Guarda, ho smesso di regalare anche le ultime coppe proprio poco tempo fa: erano un’ottantina e le ho date tutte via a chi me le chiedeva. Certo, col passar del tempo la carriera di Zucchero è esplosa ma chi dice che lo avrei imitato? Certo, le premesse erano buone, basti pensare che il mio manager era Luigi Menegazzi, in arte Gigi Fiume, che lavorava con Miki Del Prete del Clan di Celentano, ma non questo non è un’assoluta garanzia. Devo riconoscere che grazie a loro ho cantato in tante parti d’Italia e dell’estero come Germania, Svizzera, ma uno dei più grandi successi che ho avuto è stato al Palalido di Milano.
Ci racconti?
Sarà stato il 1979/80, non ricordo bene, quando i miei impresari organizzarono un evento in cui c’erano trenta cantanti professionisti, i più famosi dell’epoca, tra questi ricordo Amanda Lear e i I Pooh, ma c’erano proprio tutte le migliori voci di quei tempi che potevano essere ammirati con un biglietto a poco costo. Gli impresari decisero di inserire anche noi, Massimo e Antonella, che tra l’altro non si compariva nemmeno nella locandina. Noi arrivammo nel pomeriggio, e lo ricordo bene perché si racconta spesso in casa, insieme a mio fratello, mia mamma, e i parenti dell’altro ragazzino. Ovviamente nessuno ci considerava perché erano attratti dalle vere star e durante le prove i fotografi non avevano occhi che per loro. Quindi noi stavamo tranquilli nel nostro camerino. Poi toccò a noi e il presentatore parlò di noi in modo affettuoso sottolineando che per noi ragazzi piccini, io avrò avuto quattordici anni, sarebbe stata una così grande emozione cantare in un tale contesto e in un tale imponente ambiente che chiese al pubblico attenzione e rispetto. La nostra canzone era una bella melodia e il palazzetto, in religioso silenzio, si illuminò presto di accendini prima di esplodere, alla fine, in una serie di applausi così intensi che mi viene la pelle d’oca a ripensarci. Ci chiesero persino il bis. A nessuno, in quella serata, prima o dopo di noi, venne avanzata una simile richiesta. Rammento che poi, a esibizione conclusa, scendemmo le scale e tutti i fotografi ci vennero incontro proprio come si vede nei film. Anche mio fratello corse a chiamare mia madre dietro le quinte per informarla dell’accaduto. Il giorno dopo, su tutti i giornali, si parlò di quel duo di bambini che aveva conquistato il Palalido. Questo è sicuramente il ricordo più bello e nitido che ho di tutti quegli anni.
Dal punto di vista economico voi venivate pagati?
Non venivano pagati ma dopo che stipulammo il contratto della Cbs era tutto spesato, si viaggiava con l’aereo, a Milano ci veniva a prendere l’autista che ci scarrozzava in giro. Quando abbiamo inciso il disco siamo rimasti a Milano una settimana e alloggiavamo al Jolly Hotel dove avevamo una grande suite. Con la mia mamma abbiamo tutti i nostri aneddoti che ricordiamo sorridendo. Non c’erano ancora proventi, dischi non ne vendemmo molti, però lo scenario era bello e le premesse parevano più che lusinghiere. Ma, come ti ho già detto, avevo delle inquietudini che alla fine sono esplose portandomi a scegliere una strada diversa. Un bel giorno ho deciso: “Non canto più”, e ho proseguito i miei studi in Lingue e Letteratura straniera, seguito la mia famiglia, che ha da 63 anni un negozio storico di abbigliamento in via San Jacopo, e dopo la laurea sono stata dietro alle necessità e alle problematiche sia della mia famiglia originaria sia di quella mia, bella, che mi sono formata con mio marito.
Hai figli?
Due bimbe, una di diciotto ed una di venti. Sono bellissime e bravissime: la mia gioia, la mia vita.
Hai detto che la minore canta?
Si, la piccolina, Virginia, ha una bellissima voce, persino più bella della mia, e studia in una scuola di canto qui a Pisa che si chiama Faf, in via Nino Bixio, dove c’è un’insegnante molto brava. Lei vorrebbe cantare ma non le do importanza e la stimolo a finire il liceo e a iscriversi successivamente a Medicina, come vorrebbe, seguendo le orme della sorella.
Da quanto insegni?
Avevo iniziato subito dopo la laurea ma per un lungo periodo ho dovuto lasciare per problemi di salute dei miei genitori, e ho ripreso dal 2014. Sono entusiasta di questo lavoro che svolgo con grande intensità perché insegnare la lingua francese è sempre stata una mia passione.
Da quando hai cessato di cantare è cambiato il tuo rapporto con la musica?
Non sono una che ho la fissazione della musica anche se ovviamente mi piace. Devo dire che quando canto da sola, in macchina, sento che ho sbagliato. Il momento un po’ più critico per me è proprio questo, ovvero la settimana in cui c’è Sanremo. Allora rivedo un po’ tutte le mie decisioni, mi pongo delle domande e un po’ mi dispiaccio per la mia scelta, ma il rimpianto dura poco perché penso subito dopo che se avessi scelto la musica magari non avrei avuto la mia famiglia, mio marito, le mie bimbe, insomma non avrei avuto questa vita che per me è soddisfacente, e mi passano di botto tutte le malinconie. Devo dire che nel corso degli anni ho avuto un paio di volte delle proposte da parte dei miei manager per riprendere. Avrò avuto 35 anni quando da Milano mi chiesero di ripensarci e di ripropormi, ma in quella occasione mi sentii troppo grande e un po’ fuori luogo. Poco tempo fa, in America, per la precisione a Chicago, dove ero andata con le mie figlie a trovare un mio caro amico d’infanzia che lavora lì, ci trovammo in un ristorante di italo-americani e il mio amico mi convinse, con qualche sforzo, ad esibirmi. La canzone mi venne bene al punto che mi proposero una scrittura per una cifra molto alta (ride). Negli stessi giorni, mentre eravamo in giro fermarono le mie figlie per proporre loro un servizio fotografico come modelle per una cifra quasi altrettanto consistente. Mio marito mi prese bonariamente in giro per il doppio rifiuto (ride ancora).
Sei recidiva. Dimmi un po’ quali sono, ora, i tuoi cantanti e generi musicali preferiti?
Mina, Freddy Mercury e i Queen, e tanti altri. Tra gli italiani Tiziano Ferro e tanti melodici ma non i rap, i trap, che vanno di moda ora. La musica pop resta sempre il mio genere preferito
E cosa pensi di questi reality musicali tipo “X Factor” che ora vanno tanto di moda?
Penso che rappresentino una buona opportunità per chi vuole emergere dato che con quelle trasmissioni possono mettersi facilmente in evidenza.
Non ritieni che in questo modo tutti questi giovani vengano un po’ sfruttati per un quarto d’ora di pubblicità che spesso in seguito non porta altro che illusioni?
Può anche darsi, ma questi reality musicali sono un buon trampolino rispetto ai miei tempi quando era più difficile emergere.
Forse guadagnano anche di più rispetto a voi?
Questo non lo so, ma certo prima c’era solo il Festival di Sanremo, o montavi sopra quel palco o nessuno ti vedeva.
A dire il vero rammento anche altre manifestazioni canore negli anni sessanta-settanta: il Cantagiro, il Disco per l’Estate. Certo, ma non avevano il fascino e l’importanza di Sanremo. Ora vediamo quello che succederà a questo festival che guardo e mi diverto a commentare in famiglia come tutti.
E allora spunta un po’ di quel rimpianto cui alludevi prima?
Un pochino si, ma poi ti ripeto che sono contenta della mia scelta. Magari mi sarei potuta perdere in quell’ambiente con qualche scelta sbagliata.
Com’era l’ambiente dello spettacolo nel periodo che l’hai frequentato?
Ho ricordi solo positivi. Ero così piccola che tutti avevano per me un grandissimo rispetto. Ed ero considerata da tutti una bimba e quindi tutti erano protettivi nei miei confronti. Mi ricordo, per esempio, che durante il “Giromike” viaggiavo sempre in macchina con Mike Buongiorno nonostante ci fosse sempre al seguito un mio familiare, perché noi aprivamo la serata e lui aveva piacere che con il suo autista ci fossimo anche io e Massimo. Un altro carissimo amico era Pippo Baudo, con cui ho cantato tante volte a Montecatini Terme, al Gambrinus. Quando, per esempio, stipulai il contratto alla Cbs fu un evento, e dopo la firma ci portarono in giro per gli uffici presentandoci come i nuovi pupilli; in una di queste stanze trovai proprio il grande Pippo che mi fece tante feste. Un’altra volta, quando ormai erano passati una ventina di anni, mi trovavo con i miei amici a Saint Tropez in vacanza quando venimmo a sapere che al porto c’era lo yacht di Mike Buongiorno con la sua famiglia. Io ebbi il desiderio di andarlo a salutare e allora gli andai incontro chiedendogli:” Mike, si ricorda di me?”. E lui esclamò: “Antonella” E giù abbracci con lui e la moglie: d’altronde eravamo stati tre mesi insieme. Alcuni dei miei amici che non sapevano dei miei trascorsi canori, anche perché mica ne parlavo dato che ormai era una parentesi chiusa, rimasero a bocca aperta.
Il componente maschile del duo, Massimo, che fine ha fatto?
Non lo so, a dire il vero, l’ho perso di vista dal giorno che abbandonai, ma mi resta di lui un bel ricordo.
Che consiglio daresti ai ragazzi che vogliono inseguire il successo a tutti i costi?
Direi di impegnarsi perché per ottenere dei risultati in qualsiasi settore bisogna lavorare tanto. D’altro canto suggerisco loro di stare attenti e di mettersi nelle mani di personaggi giusti come quelli che ho incontrato io perché ci sono personaggi che ti creano false illusioni, e di insistere finché pensano che sia il caso.
Chi vincerà Sanremo?
Non ho le idee chiare al momento, posso solo dire che mi sono piaciuti “Le Vibrazioni”.
Le parole della professoressa Bellucci mi colpiscono e mi inducono alla riflessione. Le vie della felicità individuale sono infinite e trovo, come si dice, che sia auspicabile tenere la testa tra le nuvole senza dimenticare di poggiare bene i piedi per terra. Senza dubbio avere nella personale faretra delle proprie aspirazioni tante frecce da scagliare con il proprio arco è un gran viatico perché la vita è imprevedibile.
Ammiro Antonella per il suo sano realismo, anche se è sottinteso che ognuno debba scegliere di mirare l’obiettivo che ritiene più congeniale alle sue peculiarità. L’importante è arrivare alla fine del percorso in pace con se stessi, sicuri di aver battuto i sentieri più consoni ai propri bisogni profondi. Il resto sono solo chiacchiere.
Per quanto riguarda la vittoria del Festival dei fiori sono dell’idea che il primo posto sarà appannaggio di chi prenderà più voti di tutti. Ne sono così convinto che ci giocherei sopra qualcosa. Dov’è che si scommette?
Mi ricordo bene di Antonella, alle Mazzini eri nella M (credo) e facemmo una gita insieme: al ritorno, sull’autobus ci cantasti una canzone che diceva, tra l’altro:”….ma che amore quel ragazzo….” brava e bella!!