– Giuseppe Capuano –
Strange Flowers. Sono sicuro che la maggior parte di coloro che stanno leggendo non sanno chi siano. Il nome potrebbe essere consono a quello di una band, e infatti avete indovinato. Sono un gruppo pisano dedito principalmente, ma non solo, alla coltivazione dei coloratissimi orti della progressive rock music. E nel loro “campo” sono una celebrità, sono infatti classificati dalla critica specialistica tra i migliori. Io non sono un critico musicale, a chi vuole approfondire propongo le recensioni di Reverendo Lys, sul suo blog personale, o di Ignazio Gulotta sulla rivista “Magazzini inesistenti”. In questi giorni è uscito il loro ultimo lavoro dal titolo “Songs for imaginary movies” ma, ripeto, non ne parlerò in termini strettamente musicali, piuttosto sono stato incuriosito dalla storia trentennale di questi “insoliti fiori” con le radici ben piantate a Pisa ma con le teste/corolle che si allungano nel mondo.
Ne parlo, debitamente a distanza, con uno dei fondatori, Alessandro Pardini, da questo momento Ale, nato nel 1967, bassista del gruppo ma anche grafico, suoi sono infatti i video promozionali, e tecnico di registrazione e mixaggio. Sì, perché questo disco è stato fatto letteralmente “in casa”, trasformando la sala prove in un piccolo studio attrezzato e lavorando spesso di notte, precedendo di molti mesi l’#iostoacasa oggi divenuto famoso. Solo il master finale ovviamente è stato fatto in studio. Intanto va detto che dei tredici pezzi del CD (solo 11 nella versione Lp) solo due sono veramente “nuovi”, gli altri sono pezzi scritti in passato e rivisti alla luce delle nuove sensibilità.
Il gruppo ha festeggiato i 32 anni di attività e per il trentennale, due anni fa, è stato prodotto un doppio dal titolo “Best things are yet to come” dai sottotitoli (First, Second and Third Republic) che la dicono lunga sulla loro longevità artistica. Il doppio è un piccolo scrigno che contiene 15+15 dei loro pezzi storici, un bignamino delle loro passate esperienze e produzioni, con le segnalazioni e le foto, spesso in bianco/nero e/o ingiallite, di tutti i protagonisti di questo incredibile percorso.
Sono nati nel 1987 e Alessandro ne è stato uno dei fondatori, ma nel tempo sono cambiati musicisti e stili, in una girandola vorticosa che si è avvolta su se stessa. La formazione dell’ultimo lavoro è infatti per tre quarti quella delle loro origini, composta da Michele Marinò, chitarra e voce frontman, il trade union delle varie formazioni che si sono succedute, Giovanni Bruno, chitarra, Ale, basso e altri strumenti. Il quarto, alle percussioni, si chiama Valerio Bartolini ed è il “ragazzo”, poco più che trentenne, subentrato due anni fa alla vigilia della tournè in Germania, facendo un azzardato parallelo con Ringo Starr.
È proprio la longevità di questo gruppo che mi ha incuriosito perché non è la solita band popolare, magari famosissima, che è sulla breccia da molti anni o che si inventa una reunion, spesso per motivi dettati dal commercialista. Non è neanche una band che, sia pure negli anni, continua a suonare per “lavoro”, come succede nel mondo dell’italico liscio. Gli SF sono una band che ha fatto della passione per la musica, e i suoi corollari, uno stile di vita. Tutti hanno un lavoro. Marinò è un medico, Bruno è un professore di Filosofia alla Scuola Superiore, Ale è un artigiano/socio della sua azienda. Valerio insegna batteria in una scuola musicale pisana, a suo modo è l’unico che si mantiene grazie alla musica. È proprio per l’esistenza di questo confine fra il professionismo e l’amatoriale, difficile da superare, che Ale, per esempio, dovette lasciare il gruppo ben presto, già nel 1989, coltivandone però per tutti gli anni i contatti amicali. Suo motivo d’orgoglio è aver creato uno dei pezzi simbolo del gruppo, nel 1988, quella
“Strange Girl” che, variamente arrangiata negli anni, chiude quasi sempre i concerti. Ale nasce come chitarrista ma poi, ancora giovanissimo, con il suo gruppo di allora, a una festa di beneficenza, è costretto a imbracciare il basso e da allora, dice, ha “visto la luce”. Basso for ever, un po’ come Paul Mc Cartney dei Beatles, che del resto è anche uno dei suoi gruppi ispiratori, ma vabbe’ qui si va sul sicuro.
Gli SF sono famosi più all’estero, mi dicono, soprattutto in Germania, anche per i loro testi in inglese, e gli chiedo perché preferiscono sciacquare i loro panni nel Tamigi. Mi risponde che scrivere in italiano per questo tipo di rock non è facile, e poi il loro universo musicale è soprattutto british. Ale “vive” di musica, nel senso che se ne circonda, non nel senso che è il suo lavoro. È faticosissimo conciliare la realtà quotidiana con la musica, la famiglia, il lavoro, gli amici. Lo “stridio” si avverte soprattutto in occasione delle tournè, svolte in pochi giorni, con mezzi propri, spesso all’estero, almeno quello più vicino: Francia, Spagna, Germania. Tutto faticosissimo ma vitale, delle vere e proprie zingarate musicali, con viaggi al limite dell’avventura, location e notti improvvisate. L’impatto con il pubblico fa però dimenticare tutta la fatica; il sudore e l’adrenalina si fondono in un mix salutare. Quando mi racconta qualche aneddoto non posso fare a meno di ripensare alle immagini dei Blues Brothers e dei Commitments.
Concludo chiedendogli cosa pensa che sarà della musica DC (Dopo Corona), alla luce di quello che sta succedendo in questi tormentati giorni. Dice che non lo sa, nessuno può prevedere veramente cosa accadrà, la musica si nutre dei corpi ed è vicinanza, difficile immaginarsi una situazione “asettica” al riguardo. Dovranno cambiare anche i locali che ospitano la musica, la frequenza delle date, dei tour, tutto. Ale spera, come tutti noi, in un vaccino “libera tutti”, ma il suo pensiero è al presente, a tutti quelli che lavorano con la musica e che traggono da essa un reddito; non solo musicisti ma tutti i lavoratori dello spettacolo e dei mondi limitrofi. E pensa anche a quegli altri che come lui vivono della musica e che oggi sono condannati a fare tutto in casa, senza palco, senza folle, senza prove vere, senza adrenalina.
– La pagina Facebook degli Strange Flowers
Foto in alto: Serena Testa