Ai tempi della pandemia da Covid-19 oltre alla nostra salute è a rischio anche la lingua italiana. La professoressa Marcella Bertuccelli Papi, docente di lingua inglese al Dipartimento di filologia, letteratura e linguistica dell’Università di Pisa, non ha alcun dubbio in proposito: “Il virus anglico, il lessico inglese, ha approfittato della pandemia per infettare ancora un po’ la nostra lingua italiana”. Gli esempi di questa invasione-infezione sono moltissimi. Dai “social” e dai “report” giornalistici, sottolinea la professoressa, “impariamo a tenerci alla larga dalle “droplet” (le goccioline) e discutiamo il “timing” dell’epidemia, le modalità del “lockdown”, la distribuzione dei “kit” per gli esami seriologici, la conversione di alcune strutture a “Covid hospital”, la creazione di “software” per le “app”, con i connessi pericoli di “data breach”, e i dubbi sull’affidabilità degli “screening”, e anche dei “termoscanner” (meglio il classico termometro) cui saranno da preferire le termocamere (le telecamere per rilevare la temperatura del corpo) utilizzate anche dagli “hub” dei trasporti. Sembra proprio che per l’italiano non ci sia spazio in questa emergenza da coronavirus.
La professoressa Bertuccelli Papi va avanti ricordando che gli studenti “si attrezzano con “tablet” e altri “device” scolastici oltre a “videotutorial” per l”e-learning”, le aziende con lo “smart working” e l”e-commerce” per salvare il “brand”, e gli economisti chiedono all’Europa “Eurobond”, o “Coronabond”, anche nella declinazione più realistica di “Eurofund”, come suggeriscono le varie “task force” di esperti e tecnici cooptati per aiutarci ad uscire da questa grande crisi. E penseremo finalmente ad una fase 2 con tanto di “bike sharing”, menù “contactless” e “digital” al ristorante, sportelli di ascolto per medici e infermieri contro il “burnout”, e “webinar” sull”undertourism” dopo l”overtourism”.
Sembra uno scherzo ma è tutto vero. L’uso (o abuso) dei vocaboli in lingua inglese è impressionante. Sembra quasi impossibile riuscire a scrivere o a pronunciare una frase di senso compiuto senza infarcirla di almeno una parola in inglese. Questo abuso era già stato denunciato dall’Accademia della Crusca, massima autorità in materia di lingua italiana. Anche se in alcuni casi ricorrere all’italiano non è così facile, come spiega la professoressa Bertuccelli Papi: “Talvolta quando proviamo a dirle in italiano (alcune frasi, ndr) produciamo effetti a volte semplicemente esilaranti, come ‘Boris Johnson è stato testato positivo’ (apparso su un quotidiano), altre volte creativi, come un “lockdown parziale” (ma se lockdown è chiosato “chiusura totale” come fa ad essere parziale? Tanto vale parlare di isolamento o confinamento parziale) o anche un “lockdown severo” secondo un uso diffuso soprattutto in medicina di questo calco dall’inglese che spodesta il nostro concetto di severità nel senso di intransigenza, rigore, per sostituirlo con quello dell’inglese “severe” che però significa “grave”.
“Per aggiornamenti sullo stato dell’arte, o per evidenze delle sperimentazioni in corso – ricorda la prof – si consiglia di non whatsappare e twittare gli amici, o guglare i soliti siti. Ricordiamoci – conclude con una punta di ironia la docente dell’Università di Pisa. che l’attuale pandemia non è virale perché condivisa da milioni di utenti su Internet, ma perché causata da un virus che non è per niente virtuale”.
Persino nei moduli di autocertificazione in Piemonte mettono caregiver… Ormai chi si occupa di scriverli adotta termini in inglese per sembrare più informato, come si sice? Più skillato? Più in?