Il 12 Maggio in tutto il mondo si è celebrata la Giornata internazionale dell’infermiere, per riconoscere e valorizzare il contributo degli infermieri nella società. In questi mesi di emergenza coronavirus ne abbiamo sentito parlare spesso, apprezzando i loro sacrifici e la loro dedizione. Ma forse conosciamo ancora troppo poco del loro lavoro. Per questo pubblichiamo la lettera-sfogo di una di loro, l’infermiera pisana Antonella Scocca.
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Infermieri amati. Infermieri acclamati. Infermieri eroi. No, grazie. Soltanto Infermieri. Non è pudore o falsa modestia, la nostra. Siamo professionisti e, come tali, vogliamo essere riconosciuti. Qualcuno ci chiama ancora “Infermieri Professionali” (definizione abolita nel 1994 con DM 739/1994) perché non ha la minima idea di cosa sia la nostra professione. I cittadini sono abituati da sempre a vederci negli ospedali, luoghi deputati alla nostra formazione. Fino a tutti gli anni Ottanta, venivamo introdotti in ospedale per essere “addestrati” a diventare intellettualmente subordinati, affinché l’ospedale potesse offrire un servizio “ancillare”, risparmiando denaro. Agli Infermieri, in quegli anni, veniva imposta la subordinazione intellettuale e, per lunghi periodi, l’orientamento al compito, premiando un atteggiamento servile. Allo stesso tempo, i ritmi disumani del lavoro non concedevano, a quei professionisti, il tempo di pensare o sviluppare un’osservazione critica.
Esiste, nel mondo sanitario, la convinzione ancestrale che l’infermiere, per “unzione divina”, sia capace di una plasticità lavorativa senza eguali: capace di passare dalla gestione di una circolazione extracorporea al rifacimento letti senza che la cosa lo danneggi psicologicamente. Questa presunta “unzione divina” si chiama demansionamento. Chiamiamo le cose con il loro nome. Il demansionamento è un fenomeno che è sempre esistito ma che, da qualche tempo, è oggetto di un’attenzione particolare perché gli Infermieri sono stanchi. Stanchi di una professione “ingabbiata” da interessi politici che fanno pressione affinché questo enorme potenziale rimanga all’angolo.
Oggi l’Infermieristica è una disciplina universitaria, una disciplina complessa e sfaccettata, una disciplina che forma individui con elevate capacità cliniche. Una disciplina universitaria che continua a lottare con un retaggio antico, radicato nelle menti dei nostri dirigenti e di alcune figure professionali che ci vorrebbero sempre “asserviti” in nome di una modestia che somiglia sempre più ad una privazione del diritto ad amare il proprio lavoro. Non è più possibile. Per fare un esempio delle difficoltà: la professione infermieristica, che negli Atenei è la più numerosa (circa il 45% degli iscritti nelle facoltà mediche) ha un numero troppo basso di docenti-infermieri. Il rapporto docenti/studenti è 1:1.350 contro, ad esempio, un rapporto di 1:6 per la facoltà di odontoiatria (dati Nurse24). In pratica, invece di incrementare il numero di docenti-infermieri, abbiamo altre figure professionali (che non hanno idea dell’infermieristica) che vengono a farci lezione su come dovremmo fare gli Infermieri. Se poi abbiamo la fortuna di poter insegnare in qualità di Docenti (chi vi scrive lo ha fatto per 6 anni), lo facciamo con una nomina di “professori a contratto” a titolo gratuito. Questo significa che impieghiamo dedizione, sacrifici e tempo, senza vederci riconosciuti alcun merito. Essere professori universitari non ha nessun peso specifico nel nostro curriculum e nessun tipo di retribuzione. Niente.
Il lavoro è una prestazione fisica o mentale in cambio di una retribuzione e trae vantaggi economici stando anche psicologicamente bene (aggiungo io). Ma proviamo a fare una valutazione della nostra professione sulla basi di alcuni punti di vista. Opinione politica della professione: certa politica ritiene la nostra professione fondamentale nel SSN, ma, nonostante i molti proclami, nessuna delle criticità professionali è stata risolta né tantomeno affrontata. Chi dovrebbe rappresentarci, sembra essersi perso fra le maglie di carriere politiche ultra stipendiate. Opinione delle nostre Aziende sulla nostra professione: i molti proclami sulla nostra importanza nel SSn si traducono in un demansionamento selvaggio e la carenza di personale viene sopperita con un sovraccarico lavorativo. Riconoscimento delle professioni con le quali collaboriamo: alcune professioni con le quali collaboriamo continuano ad ostacolare politicamente la naturale crescita dell’Infermieristica. Frutto di timori atavici relativi alla “difesa” del proprio territorio, quasi a pensare che il giusto riconoscimento delle nostre capacità professionali possa corrispondere alla privazione del loro “potere” Riconoscimento economico: nessun avanzamento economico. Nessun rispetto per i nostri titoli post-laurea. L’Infermieristica in Italia non prevede un avanzamento di carriera trasversale, ma solo verticale. Puoi diventare coordinatore o dirigente (forse) ma se non ti interessa l’aspetto amministrativo/gestionale, ti fermi. A nulla servono i master post-laurea su specifici ambiti clinici. A nulla servono i sacrifici nello studio poiché non equivalgono a possibilità di carriera oppure ad incremento economico. Infermieri specializzati che non possono mettere in pratica le loro preziose conoscenze. Secondo una tabella della Banca d’Italia il nostro stipendio oltre a non crescere perde potere d’acquisto e capacità di dare dignità a questa professione, in barba all’Art. 36 della Costituzione.
Nella “Giornata dell’Infermiere” abbiamo sentito parlare di “vocazione” , “prendersi cura” ecc… Mi attirerò le ire dei più, ma, come Infermiera, invoco il diritto al dissenso su questa celebrazione, perché senza un “Progetto Infermiere” nessun Infermiere potrà mai essere davvero una realtà auspicabile.
Antonella Scocca