Questa brutta storia inizia quasi cinque anni fa. Il 23 luglio 2015 una nave cargo battente bandiera delle Isole Cook carica di rifiuti di plastica da smaltire salpa da Piombino diretta a Varna, in Bulgaria. Poco dopo la partenza perde una parte del carico (56 balle): circa 65 tonnellate di plastica finiscono nelle acque protette del Santuario dei Cetacei, posto tra tra Sardegna, Toscana, Liguria, Principato di Monaco e Francia. Nessuno in Italia si accorge di nulla fino al 31 luglio, quando nel golfo di Follonica (Grosseto) un pescatore tira su la rete e scopre di aver agganciato una balla di più di mille e trecento kg, ma non potendo fare altro (visto il peso), è costretto a tagliare il sacco che cala subito a picco. A quel punto vengono avvertite le autorità e scoppia il caso. Dopo cinque anni gran parte di quei rifiuti si trova ancora sui fondali del mare.
Per denunciare la grave situazione ambientale Greenpeace ha presentato un esposto alla Corte dei Conti contro la Regione Toscana: “All’epoca dei fatti – scrive l’associazione ambientalista – (la Regione, ndr) aveva in mano una fidejussione di quasi tre milioni di euro, poi restituiti, a garanzia dei possibili danni ambientali intercorsi durante le operazioni di trasporto e che potevano essere utilizzati per recuperare il carico disperso”. Per quale motivo quella assicurazione non è stata sfruttata? La polizza, tra l’altro, era depositata al ministero dell’Ambiente.
Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace, sottolinea che “questa vicenda sembra evidenziare una serie di errori da parte delle autorità coinvolte, a partire dal fatto, gravissimo, di non essere intervenuti prontamente come prevede la normativa, e avere lasciato per cinque anni il mare e le sue creature in balia di tonnellate di plastica. La classe politica italiana – prosegue – da tempo parla di una svolta plastic free, ma questo mero slogan non vale per una parte del Santuario dei Cetacei diventato, a causa dell’inazione delle autorità, una vera discarica sottomarina di plastica”.
La cosa incredibile è che si conosce la posizione esatta di buona parte delle balle di plastica sui fondali, è stato nominato un commissario straordinario ed è stato decretato lo stato di crisi ambientale, lo scorso maggio. Che si aspetta, dunque, a recuperare e mettere in sicurezza quei rifiuti? L’unica certezza che si ha è che più restano in fondo al mare e più i danni sull’ecosistema marino si aggraveranno.
“I fatti noti e documentati da Greenpeace – denuncia Ungherese – dimostrano che in una zona che il ministero dell’Ambiente include nell’elenco delle Aree Marine Protette si può impunemente inquinare, trasformando una area da salvaguardare in una grande discarica sottomarina senza che il principio “Chi inquina paga” venga concretamente applicato”.
Non ci resta che augurarci di tornare su questo argomento per raccontare che i rifiuti saranno stati recuperati. Speriamo presto, nell’interesse di tutti.
La replica della Regione Toscana
Dalla Regione precisano che non c’è alcuna titolarità del presidente o della giunta in relazione all’atto contestato da Greenpeace. L’atto, che risale al novembre 2016, è stato firmato in piena autonomia dall’allora dirigente competente per legge, ing. Andrea Rafanelli (Settore Autorizzazioni rifiuti e bonifiche), attualmente non più dipendente della Regione Toscana. Nei casi di trasporti trasfrontalieri la fideiussione è prestata a favore del Ministero dell’Ambiente a cui la suddetta nota di svincolo fu trasmessa per conoscenza. Nessuna informazione fu data invece al direttore competente, né all’assessore né tanto meno al presidente. Al Ministro Costa, che nell’agosto 2018 domandò chiarimenti in merito all’atto di svincolo, la Regione ha risposto inoltrando l’istruttoria svolta dalla struttura dell’allora dirigente. Quanto alla questione complessiva del recupero delle ecoballe, gli uffici regionali precisano che, pur non avendo nessuna competenza diretta, la Regione Toscana e Arpat si sono messe a disposizione del Commissario Straordinario Governativo che ha provveduto ad individuare la localizzazione delle eco-balle in mare. Lo scorso marzo, sentita la Protezione civile, questa Regione ha chiesto che fosse dichiarato lo stato d’emergenza nazionale per dare al commissario Caligiore le deroghe per velocizzare i lavori di rimozione. In aprile la Protezione civile ha risposto dicendo che non era possibile riconoscere lo stato d’emergenza nazionale perché l’origine della criticità non è un fenomeno naturale ma antropico. A maggio, in accordo col ministero dell’ambiente, la Regione ha convocato un incontro da cui è scaturita la richiesta di rivalutare la concessione dello stato d’emergenza nazionale. In seguito a questo incontro è partita una lettera del presidente con una nuova richiesta formale della dichiarazione di stato d’emergenza nazionale. “Poiché dopo 5 anni oltre 60 tonnellate di rifiuti giacciono ancora nel fondo del mare e lo Stato italiano non è stato in grado di rimuoverle – commenta il presidente Enrico Rossi – benché la Regione Toscana non abbia competenze specifiche chiedo ancora una volta che il governo faccia un decreto nel più breve tempo possibile conferendo a me i poteri commissariali e adeguati strumenti per intervenire. È una vergogna che attorno a questa vicenda si perpetui troppa incertezza dei poteri”.
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