– Paolo Lazzari –
Verace, sanguigno, integralista: senza queste caratteristiche, probabilmente, non sarebbe riuscito a condurre in porto nemmeno metà delle sue imprese sportive. Eppure è proprio la tendenza a rimanere coerenti con la propria visione della vita e del calcio, unita ad una certa inclinazione alla lamentela, ad averne fatto uno degli allenatori più discussi in Italia. Walter Mazzarri – perché è di lui che parliamo – dentro agli spazi angusti delle etichette costruite dagli altri non ci ha mai abitato con piacere, dimostrando sempre di valere qualcosa sia come calciatore che, una volta appesi gli scarpini, dall’altro lato della barricata.
Se si accetta di riannodare il nastro del tempo e si sforza un po’ la vista, sarà possibile intravederlo mentre dirige il traffico in mezzo al campo, nelle giovanili del Follonica. Perché è qui, a due passi da casa – nasce a San Vincenzo nel 1961 – che il ragazzo, una nuvola di incolti capelli castani e lo sguardo acuto, inizia a mettersi in mostra. Qualità evidenti di lettura del gioco, quelle che propone, che attireranno l’interesse della Fiorentina: Mazzarri si sposta in riva all’Arno e, giovanissimo, riesce a farsi apprezzare dalla viola. Il legame con la Toscana è già evidente – il temperamento è quello tipico di chi non ama i vezzi – e si conferma quando, dopo due stagioni tra Pescara e Cagliari, Walter approda all’Empoli. Con gli azzurri coglierà un’attesa promozione in Serie A, prima di tornare a girovagare per l’Italia. Il richiamo delle sue terre resta tuttavia potente e, tra una maglia sfilata ed un’altra prontamente indossata, sbuca anche il Viareggio. Alla fine metterà via 33 presenze in serie A e ben 118 in B, ma è chiaro che, oggi, tutti lo inquadrano per la sua carriera in panchina.
La premessa era tuttavia doverosa poiché, sovente, chi ha posseduto le chiavi del centrocampo – qualunque fosse la categoria – diventa poi abile interprete delle movenze altrui: in poche parole, un eccellente direttore d’orchestra. Mazzarri questo fuoco se lo sente ardere dalle viscere e inizia la sua carriera al fianco di un’icona della toscanità: a Bologna e Napoli diventa il secondo del maestro Renzo Ulivieri, paladino di un calcio spregiudicato, oggi anestetizzato sull’altare della tattica. Dopo il battesimo al timone in solitaria tra la primavera dei felsinei e l’Acireale, ecco un nuovo incrocio, l’ennesimo, con la sua terra: guida la Pistoiese in C1, centrando un dignitoso decimo posto. La vita sembra scorrere incessante, ma lenta, quando il Livorno decide di materializzarsi come la personalissima sliding door di Walter: i labronici puntano su di lui nella stagione 2003/04 e fanno benissimo, perché il matrimonio significherà promozione in serie A. Il meglio, come scrive lo stesso Mazzarri nella sua Bio, deve però ancora venire: alla Reggina conduce entusiasmanti campagne che portano alla salvezza. Anche quando la tempesta perfetta, Calciopoli, si abbatte sul club con la mortifera sentenza di 15 punti di penalizzazione, lui riesce a salvare la squadra, traendola in salvo dalle torbidinose acque dello sprofondo. Da quelle parti è ancora oggi riconosciuto come un autentico eroe e non è certo un caso se gli è stata attribuita la cittadinanza onoraria. Tutto questo assomiglia al preludio di qualcosa di più grande. Prima la Samp, con la conquista di un piazzamento in Coppa Uefa ed uno strano declino nella stagione seguente. Dopo un anno di stop, la tappa successiva si chiama Napoli: qui Mazzarri riuscirà a cogliere successi che si collocano anche oltre le aspettative. Con un onnivoro 3-5-2 conduce i partenopei in Champions dopo un’era geologica e issa al cielo una coppa Italia, cesellando il suo nome nella storia del club con il record di punti.
Ce ne sarebbe abbastanza per intuire un proseguimento luminoso, ma Walter inciampa: a Milano, sponda Inter, le cose non vanno affatto come le aveva immaginate. I risultati non arrivano, le lamentele – spesso fantasiose – si moltiplicano ed il suo percorso assomiglia alla scia di una meteora. Prive di sussulti – se non per un inglese almeno stentato e discutibile – le esperienze al Watford ed al Torino. L’uomo di San Vincenzo oggi contempla la scena da bordo campo, in attesa di un nuovo giro di giostra: una chance pronta a materializzarsi a dispetto di qualche passaggio a vuoto, perché del suo genuino pragmatismo – in tempi lordi di orpelli e orgasmi tattici – c’è ancora tanto bisogno.
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