Fra mascherine, tamponi e didattica a distanza, c’è un caso che allarma e fa molto discutere. In una scuola elementare di Pisa un bambino è stato assente per 21 giorni. Dopo la quarantena è rientrato a scuola, pur essendo ancora “positivo a bassa carica”. La sua classe, però, si è svuotata. I genitori degli altri bambini hanno preferito tenere a casa i propri figli.
Come scrive La Nazione il caso ha creato non poche polemiche tra le famiglie, la dirigenza scolastica e quella sanitaria. In ballo, ovviamente, c’è qualcosa di prezioso: la salute dei bambini e delle loro famiglie. Ma com’è possibile che un positivo sia potuto rientrare a scuola? L’Asl ha dato il via libera perché il bambino è ritenuto “non contagioso“. Secondo gli esperti il piccolo potrebbe rimanere positivo a lungo, forse anche un anno, ma senza rischi per chi gli sta intorno. Non tutti si fidano però. Anche perché sino ad ora tutti hanno sempre ripetuto che per tornare in mezzo agli altri bisogna tornare “negativi”. Dunque com’è possibile che uno positivo non sia più contagioso?
La mamma del bambino è affranta: “Qualcuno ci tratta come gli appestati. Anche io sono stata positiva e il mio datore di lavoro, un privato, non accetta che rientri finché mio figlio non sarà negativo e io stessa non avrò un nuovo tampone negativo. Ho provato a prenotarlo tramite Asl e privati ma ci sono liste d’attesa infinite”.
Ma come funzionano le cose? L’Asl sostiene che sia il bambino che sua mamma possano tornare alla vita normale, però la paura in molti rimane. “Capisco anche la preoccupazione delle altre mamme – spiega la mamma – ma cosa ci posso fare? Mi dispiace che questa situazione ci metta gli uni contro gli altri. Mio figlio lo terrei anche a casa se ci fosse la didattica a distanza, ma non c’è e non può perdere altri giorni di scuola”.
Chi sono i positivi a bassa carica?
Come ha spiegato il virologo Francesco Broccolo dell’Università di Milano-Bicocca “i tamponi debolmente positivi sono quelli che presentano meno di 5.000 copie di Rna virale per millilitro mentre nei tamponi di inizio epidemia si trovavano milioni di copie del virus”. I positivi a bassa carica sono contagiosi o no? Una bassa carica virale vuol dire avere una minore dose infettiva: il rischio di contagio dunque è più basso ma non del tutto assente. Per scoprirlo si può fare un test in laboratorio, mettendo in coltura il materiale proveniente dal tampone di un sospetto positivo. Se il materiale si replica vuol dire che ha capacità infettiva. Secondo uno studio dell’ospedale San Matteo Di Pavia eseguito su 280 pazienti clinicamente guariti, ma con cariche virali basse, meno del 3% aveva la capacità di infettare.
Il professor Giuseppe Remuzzi, che dirige l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di MIiano, ha spiegato che “è fondamentale quantificare la positività. Dire positivo non basta più. Si parla di tamponi positivi che hanno una carica virale molto bassa, ed è molto difficile che pazienti con questo tipo di tamponi possano contagiare altre persone. Le persone quando sentono parlare del numero dei contagi devono sapere che si fa riferimento a tamponi positivi con una carica virale che può anche non essere contagiosa”.