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I Medici, il Covid e Charlie Hebdo: Mario Cardinali ci racconta il suo Vernacoliere (da salvare!) e non solo

- Cultura
19 Novembre 2020

Nell’ultimo numero uscito in edicola hanno dedicato ampio spazio all’emergenza Covid, con un titolo a effetto: “Chiudere tutto ma le gambe no! Un grido dar Paese: Conte lasciaci trombà! È rimasta l’ultima libertà”. Il Vernacoliere è così, scherza su tutto, anche sulle tragedie. Nonostante le battute il giornale satirico sta attraversando un momento difficile. In un editoriale il direttore Mario Cardinali ha lanciato il grido d’allarme: “Appello sentitamente urgente: cinquemila nuovi abbonamenti per far sopravvivere il Vernacoliere”. In questa intervista a tutto campo ci parla del suo giornale, spaziando dai Medici al Covid-19. Un excursus molto interessante che parte da un assunto. “Le crisi sono tre: quella economica generale, quella dell’editoria e, per ultima, il Covid. Noi che viviamo solo grazie alle vendite stiamo soffrendo molto. Negli anni ‘90 eravamo arrivati a 80mila copie, ora siamo sui 15-20mila. Molti ci apprezzano e hanno simpatia per noi, sui social abbiamo 300mila follower, ora diciamo loro di frugarsi, che tradotto dal toscano vuol dire mettersi le mani in tasca e darci una mano facendo l’abbonamento. Costa 27 euro per undici numeri. Per farlo basta andare sul sito: shop.vernacoliere.com“. L’allarme lanciato dal direttore ha trovato una buona risposta. Diversi giornali hanno pubblicato articoli, alcuni vip livornesi (dall’imitatore Dario Ballantini al calciatore Alino Diamanti) hanno lanciato dei video-appelli sui social. Qualcosa si sta muovendo…

Direttore, la crisi che state vivendo è anche, un po’, la crisi della satira?
Direi di sì. La satira è sempre stata, per definizione, l’antinomia del Palazzo, anche se col tempo è diventata un po’ aristocratica. Basti pensare che anche i grandi quotidiani si sono buttati sul genere, dedicando spazio e investendo molti soldi per le vignette. Poi però i “santoni” della satira si sono trovati disoccupati e la satira si è svilita. Tutti ormai, i politici in primis, fanno battutine. Prima la satira era una goccia che scavava la pietra, ora è acquetta che scorre via senza lasciare traccia. Tutti fanno battutine insulse che hanno inflazionato la satira.

Vuole dire che la satira ha perso efficacia?
È un po’ passata la voglia di dissacrare, che è l’essenza stessa della satira. Giocoforza deve esprimere la voglia di andare contro, sia da parte di chi la fa che, soprattutto, da parte dei fruitori. Un tempo la satira era anche una speranza, dopo Mani Pulite si è diffusa, purtroppo, l’abitudine al malaffare, alle Caste.

Grillo che ruolo ha avuto?
Ha depotenziato la satira. Lui comunque era un mestierante, ora a prevalere sono le battutine tanto per dire.

Di Charlie Hebdo cosa mi dice?
Difendo il loro diritto, sacrosanto, di potersi esprimere liberamente. Detto questo vorrei dire che la nostra satira anti religiosa non se la prende mai con gli dei ma con i sacerdoti, quella che io, da ateo, definisco la canonizzazione della superstizione. Se al tempo dell’Inquisizione ci fosse stato un satirico di sicuro sarebbe finito sul rogo. Purtroppo nel mondo alcuni sono rimasti ancora al Medioevo e ragionano di conseguenza. Pur difendendo il diritto di potersi esprimere come si vuole, le dico anche che certe vignette, con una dissacrazione fine a se stessa, io non le avrei pubblicate. Il Vernacoliere non cerca risate fini a se stesse. È libertario. L’intelligenza non ha confini, la riflessione è libera. La satira è una voce contro, una voce diversa che si pone fuori dal coro.

Ma cosa è successo, oggi non è più così?
Alla satira è stata tolta la sua funzione essenziale, anche per l’uso strumentale che ne ha fatto il potere. Le hanno tolto la sua veste libertaria. Se ci riflette bene cosa rappresenta storicamente la satira? È una fotografia del bisogno dell’uomo, che non ha potere, di gridare che “il re è nudo”.

Lei ha subito diversi processi ma ne è uscito sempre pulito. Qual fu quello più importante?
Ci denunciarono per aver “offeso la madre di Dio”. Il pm chiese l’archiviazione, accogliendo la nostra tesi (la Madonna a cui ci riferivamo era la cantante), ma la procura fece ricorso e mise sotto accusa l’intera copertina, dove era raffigurato Papa Wojtyla che strabuzzava gli occhi davanti al calendario con le foto di Madonna e chiedeva al libraio di avvertirlo quando fosse uscito il calendario di una santa. Dissero che avevamo attribuito al Papa degli istinti sessuali. La Corte d’assise d’appello di Firenze, con una sentenza molto significativa, affermò che anche il Papa, essendo un uomo, può avere istinti sessuali. Fu sottolineato inoltre che il mondo è fatto anche di non cattolici e, infine, venne riconosciuta la nostra libertà di fare satira.

Se non sbaglio anche con un altro Papa arrivò una denuncia…
Sì, quando fu eletto Ratzinger titolammo in questo modo: “Era meglio un Papa pisano, almeno si rideva un po’”. E aggiungemmo: “Ha la ghigna (espressione del volto, ndr) a tedesco”. Ci denunciarono per istigazione all’odio razziale.

Nel vostro linguaggio colorito si fa spesso riferimento all’organo genitale femminile. Anche questo, in passato, vi ha portato in tribunale…
Fu nel gennaio 1984 quando facemmo satira sulla Socof (Sovrimposta comunale sui fabbricati, che poi sarebbe diventata l’Ici). Titolammo sulla “Sovrimposta sulla topa”, dicendo che, in questo modo, veniva tassato anche il bene più caro degli italiani. Ci denunciarono per offesa al pudore. Ci difendemmo sostenendo che la topa per il Vernacoliere era diventata una categoria kantiana. Anche in quel caso arrivò l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”. Fu riconosciuto il diritto del popolo di riappropriarsi del proprio linguaggio. Sa come titolammo il numero successivo?

No, come?
“La topa non è reato”.

Ci può spiega il vostro odio verso i pisani?
Ma no, non si tratta di odio. Ho molti amici a Pisa e lì mi sono laureato in Scienze Politiche. Il nostro giornale nasce dal desiderio di studiare e rilanciare il “vernacolo”, la lingua di casa, per certi versi una sotto-lingua. Nei confronti di Pisa il livornese esprime, più che altro, un’antinomia caratteriale. Vede, i livornesi sono un cacciucco di etnie. I Medici nel ‘500 volevano espandere i loro commerci e, dato che Pisa ormai era decaduta e il porto insabbiato, decisero di fondare una nuova città portuale. Per l’occasione approvarono tre editti, meglio noti come “Leggi livornine”, con cui concedevano ampie libertà alla popolazione. Questo permise a Livorno di crescere molto, accogliendo popolazione da svariati posti e diventare, tra il 700-800, un polo commerciale e culturale importante. I testi di Beccaria e Diderot, per intendersi, furono pubblicati a Livorno mentre altrove era proibito. Questo meticciato culturale è alla base della profonda diversità dei livornesi dai fiorentini. Non disponendo dei quarti di nobiltà dei veri toscani, che storicamente sono sempre stati in lotta tra di loro, i livornesi si sono dovuti accontentare di sfottere tutti gli altri. Il livornese ha un carattere anarchico, la quintessenza del carpe diem. Per affermare se stesso esagera in tutto. Non mangia, si strafoga… e così in tutti gli altri campi. In questo ostentato “di più” trova la sua rivincita sugli altri.

Al di là delle prese in giro siete letti e amati in tutta la Toscana…
Qualcuno di recente ha scritto: “Il Vernacoliere è una bandiera per noi toscani”. Una frase del genere mi gratifica molto. Di recente ho anche ricevuto un premio dalla Regione Toscana, il “Nastro d’Argento”, destinato a quanti abbiano onorato in Italia e nel mondo la toscanità. Un tempo l’avrei rifiutato ma quella volta, forse a causa dell’età, ho deciso di accettarlo come riconoscimento a un lavoro portato avanti per decenni. Pensi che negli anni Ottanta ci definirono la “Crusca plebea”.

Il video-appello di Dario Ballantini

Il video-appello di Alino Diamanti

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Giornalista.

2 Commenti
    Busiride

    Sarebbe sempre ora che chiuda. Anzi, in uno stato serio sarebbe stato chiuso d’autorità già da molto tempo. Un fogliaccio pieno solo di volgarità e turpiloquio. Una delle vergogne d’Italia. Sempre cordialmente detestato, fin da quando ne vidi per caso una copia nel 1990.

    Vita Bruno

    ma sì chiudiamo tutto quello che ci può far sorridere se non ridere ! Ma sì, continuiamo a intristirci e a incazzarci davanti ai tristissimi dibattiti “seriosi“e scandalosi, quelli sì che sono la vergogna dell’Italia! Provate a guardare i dibattiti in Francia e vedrete la differenza. Certo, per svagarci c’è l’Isola dei famosi o Barbara D’Urso … povera Italia!

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