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Addio a Paolo Rossi, eroe del Mondiale 1982

- Sport
10 Dicembre 2020

Ci siamo svegliati con un’altra brutta notizia: è morto Paolo Rossi. Il centravanti che regalò alla Nazionale azzurra, coi suoi gol, l’indimenticabile Mondiale di calcio del 1982. Se n’è andato a 64 anni, all’ospedale delle Scotte di Siena, dov’era ricoverato per un male incurabile. Nato a Prato il 23 settembre 1956, muove i primi passi su un campo di calcio a nove anni, con il Santa Lucia, squadra organizzata dal medico della frazione a nord di Prato, il dottor Paiar. Il campo sportivo del Santa Lucia è dedicato al padre Vittorio Rossi, ex calciatore del Prato. Già all’oratorio si vede il campione, che gioca nel ruolo di ala. Il parroco della sua infanzia è lo stesso di oggi, don Mauro Rabatti, che lo ricorda così: “Insieme con il fratello Rossano frequentava la parrocchia, qui ha ricevuto i sacramenti e qui è cresciuto nella squadra del Santa Lucia. Fin da ragazzino dimostrava di essere un calciatore promettente e, quando passò prima all’Ambrosiana del Soccorso e poi alla Cattolica Virtus di Firenze, si capì subito che sarebbe diventato un campione”.

Paolo, appena sedicenne, viene preso dalla Juve che lo fa crescere nelle proprie giovanili. Poi in prestito al Como per farsi le ossa. A venti anni Giovan Battista (G.B.) Fabbri, allenatore del Vicenza, lo lancia nel ruolo di centravanti.  Paolo cresce e diventa un grande. Nel 1977-78 segna 24 gol. Ai Mondiali in Argentina, nel 1978, lo chiamano Pablito. Poi precipita nel buio, trascinato da un controverso caso di calcioscommesse: la giustizia sportiva lo squalifica per due anni, quella ordinaria lo assolve. Torna alla Juve e nella fantastica estate del 1982 arriva l’apoteosi mondiale.

L’Italia inizia zoppicando quell’avventura in Spagna: solo tre pareggi, con Polonia, Perù e Camerun. Poi si trasforma, grazie a Pablito, battendo l’Argentina di Maradona, il Brasile di Zico e Falcao  e la Polonia di Boniek in semifinale. Nell’ultima partita, quella per conquistare la coppa d’oro, c’è la Germania Ovest di Rummenigge: si gioca nella bolgia del Santiago Bernabeu di Madrid in una calda serata di luglio. Pablito segna il primo gol, dopo di lui Tardelli e Altobelli. L’Italia vince 3-1 ed è campione del mondo per la terza volta. Rossi corona quell’anno vincendo, oltre alla Coppa del Mondo, il titolo di capocannoniere del torneo e il Pallone d’oro. Con la Juventus conquista due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa e la Coppa dei Campioni 1984-1985.

Presentando la sua autobiografia (“Ho fatto piangere il Brasile“), nel 2002, spiegò che si augurava di poter passare ai giovani questo messaggio: “Uno qualsiasi, uno normale, può farcela. Non ero un fenomeno atletico, non ero neanche un fuoriclasse, ma ero uno che ha messo le sue qualità al servizio della volontà. Mi pare un buon messaggio, non solo nello sport”.

Nel giorno in cui si terrà il funerale a Prato, sua città natale, sarà lutto cittadino, con la bandiera del Comune a mezz’asta. L’ha annunciato il sindaco Matteo Biffoni che, a nome dell’intera città, ha scritto una lettera di cordoglio alla moglie di Rossi, Federica Cappelletti. “Paolo Rossi deve essere di esempio soprattutto per i giovani perché è stato un grande campione – ha dichiarato il sindaco -. È stato un uomo che insegna a rialzarsi sempre, un signore di grande educazione e di solidi principi. Il suo sorriso e la sua gentilezza li porterò sempre nel cuore e la città di Prato celebrerà il suo concittadino come merita e secondo modalità che saranno condivise con la famiglia”.

Grazie Paolo, per tutto quello che hai fatto sul campo e per le grandissime emozioni che ci hai regalato!

Foto: Getty (RaiSport)

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Giornalista.

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