Tre agenti di polizia penitenzia in servizio nel carcere di Sollicciano (Firenze) sono stati arrestati nell’ambito di un’inchiesta che ipotizza i reati di tortura e falso ideologico in atto pubblico. I tre sono ai domiciliari. Altri sei agenti sono stati interdetti dall’incarico per un anno e sottoposti a obbligo di dimora nel comune di residenza. Le nove misure cautelari, disposte dal gip del tribunale di Firenze, sono state eseguite venerdì mattina. Gli episodi contestati risalirebbero al 2018 e al maggio scorso. L’accusa: alcuni detenuti avrebbero subito pestaggi riportando gravi lesioni come rottura delle costole e, in un caso, di un timpano. Agli indagati si contesta anche il reato di falso ideologico in atto pubblico, perché avrebbero fatto passare gli abusi come episodi di resistenza da parte dei detenuti. Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha disposto la sospensione dei 9 agenti. Sarebbe stato lo stesso comandante di reparto a segnalare all’Autorità giudiziaria presunte situazioni anomale. Tra gli arrestati ai domiciliari anche una donna a capo della squadra di agenti accusati delle presunte torture.
Le indagini, che si sono avvalse anche di intercettazioni ambientali, sono partite dopo alcune denunce per resistenza a pubblico ufficiale a carico dei detenuti presentate dagli stessi agenti. Gli episodi di tortura contestati sono almeno due. I pestaggi sarebbero avvenuti nei confronti di un detenuto italiano e di uno marocchino.
Un episodio risalirebbe al 27 aprile 2019: un detenuto marocchino dopo aver risposto in malo modo a un agente, sarebbe stato condotto in un ufficio e malmenato da sette agenti, due dei quali gli sarebbero saliti sulla schiena e lo avrebbero ammanettato, portandolo infine in una stanza di isolamento, dove l’uomo sarebbe stato costretto a togliersi i vestiti e a rimanere nudo per pochi minuti, prima di essere portato in infermeria. La prognosi per il detenuto fu di venti giorni, con la frattura di due costole e un’ernia all’altezza dello stomaco. L’accusa sostiene che per coprire il pestaggio, avvenuto nel suo ufficio, l’ispettrice avrebbe scritto una relazione in cui dichiarava che i colleghi erano stati costretti a intervenire perché il marocchino aveva cercato di aggredirla sessualmente. Il secondo episodio di cui si parla nell’inchiesta risalirebbe al dicembre 2018: un detenuto italiano sarebbe stato immobilizzato da otto agenti, nell’ufficio del capoposto, e picchiato fino alla lesione del timpano.
“Non si conoscono ancora gli atti, né le singole contestazioni”, commenta Giuseppe Fanfani, Garante regionale toscano dei detenuti. “Bisogna quindi attendere le verifiche che la magistratura ha in corso, ma ove i fatti contestati fossero veri, sarebbero gravissimi ed inammissibili in un paese civile. Ove verificati, si tratterebbe di episodi da considerare sulla stessa linea di quelli gravissimi che hanno portato nel novembre scorso al rinvio a giudizio di agenti di polizia penitenziaria da parte del Tribunale di Siena. Il rapporto con i detenuti – prosegue – deve essere gestito con grande prudenza istituzionale e sociale, trattandosi di persone private della libertà, soggette alla autorità altrui, prive di mezzi di difesa, e come tali deboli. Questa loro posizione di soggezione, deve imporre rispetto, e rende intollerabile qualsiasi atto che, trasmodando dal ruolo proprio della polizia penitenziaria trascenda in violenza, soprattutto se gratuita”.
La notizia dell’arresto dei tre agenti ha anche risvolti politici. “Piena fiducia nell’operato della magistratura”, afferma il questore della Camera e presidente della direzione nazionale di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli. “Ma, al di là del merito giuridico che ha portato all’arresto odierno di tre agenti di polizia penitenziaria, ribadiamo la necessità di riscrivere il reato di tortura, che è stato introdotto dalla sinistra per delegittimare il lavoro delle Forze dell’ordine. Non siamo contrari, ovviamente, a punire le torture. Ma non cera bisogno di introdurlo perché esistono già i reati singoli, con l’aggravante se vengono commessi da pubblico ufficiale. Questa norma, invece, riteniamo sia stata ideata per trasformare in tortura altre condotte illecite e perfino molte altre che non lo sarebbero affatto, a scapito inevitabilmente dei nostri uomini e delle nostre donne in divisa che, ad esempio, nelle carceri vengono quotidianamente aggrediti da detenuti violenti. E a loro chi li difende? Di certo – aggiunge Cirielli – non il ministro Bonafede che, tuttora, non si è degnato di dotare il corpo di polizia penitenziaria del taser e dello spray al peperoncino o di inasprire le pene contro chi usa violenza contro gli agenti. Smettiamola, quindi, di discriminare, attraverso il reato di tortura, le nostre Forze dell’ordine e trasformiamolo in una circostanza aggravante con una pena triplicata. In ogni caso – conclude Cirielli – quando con il centrodestra torneremo al Governo, lo riscriveremo definitivamente”.