Lo avevano soprannominato “uomo di ghiaccio”. Un po’ per scherzo, un po’ perché, effettivamente, sembrava avere un autocontrollo perfetto. Pregio ma anche difetto, per chi con i propri piatti deve trasmettere emozioni. Con l’andare avanti di Masterchef ha lasciato briglia sciolta alle emozioni (in particolare in una puntata) e con i suoi piatti è riuscito a rievocare i ricordi della sua infanzia. Antonio Colasanto, 26 anni, laureato in chimica, novarese ma pisano di nascita, è arrivato secondo all’ultima edizione di Masterchef. In questa intervista ci racconta un po’ di sé, della sua storia e dei suoi progetti.
Ricordi la prima volta che hai cucinato qualcosa?
La prima volta che ho provato interesse per la cucina è stata intorno ai 5-6 anni di età. Dissi a mia mamma: “Mi insegni a cucinare?”. Lei rispose: “Sì, cosa vorresti preparare?”. “Gli spaghetti allo scoglio!”. “Antonio – mi disse – forse è meglio partire da qualcosa di più semplice”. Devo dire che mi da piccolo mi è sempre piaciuto avere le mani in pasta, ad esempio aiutando le nonne o gli zii a mettere il ripieno nei ravioli e a chiuderli.
Chi ti ha trasmesso la passione per la cucina?
Varie persone. Sicuramente mia mamma, che cucinava molto benne, e le mie nonne. In particolare Emma, che lavorava alla mensa della scuola di Greci (Avellino). Oltre ai familiari più stretti, però, ha avuto una forte influenza su di me un medico, Francesco, che si era trasferito da Napoli a Novara. Quando ai primi tempi era solo, senza famiglia al seguito, spesso veniva a cena a casa nostra e a volte si metteva a cucinare per noi. Grazie a lui ho provato piatti e ingredienti che non avevo mai visto: il sedano rapa, ad esempio, oppure ricordo quando cucinò le lampughe all’acqua pazza. Ricordo ancora benissimo la zuppa della nonna di Pisa e i suoi spaghetti o risotti alle arselle.
C’è un piatto, nella tua esperienza a Masterchef, che ti è rimasto nel cuore?
Il piccione cotto a bassa temperatura che ho dedicato a mia nonna nel menu della finale. Ma anche il piatto che preparai con le frattaglie nella prova della “killer cloche”: Quaglia ripiena con cervello di vitello e lonza, coscette bonbon, salsa di demi-glace e insalatina di erbe. Una prova molto difficile, considerato che era la prima volta che usavo questi ingredienti.
Tra i concorrenti all’edizione 10 di Masterchef con chi hai legato di più?
Ho legato davvero con tutti. In primis con Azzurra, Federica, Alessandra, Federico, Irish, Monir e Aquila.
Non c’era una forte rivalità con Aquila, il vincitore di Masterchef?
Sì, fin dall’inizio, ma è sempre stata una rivalità scherzosa, soprattutto fatta di battute. In realtà ci siamo sempre stimati e apprezzati reciprocamente.
Vorresti continuare con questa tua passione per la cucina trasformandola in lavoro?
L’idea è quella. Mi piacerebbe molto aprire una pescheria con un piccolo ristorante annesso.
Se non sbaglio lo chef tre Stelle del ristorante da Vittorio, Chicco Cerea, ha detto che è una buona idea…
Sì, mi ha fatto molto piacere. Per il mio locale vorrei restare nella mia zona, Novara e dintorni, ma non escludo di avvicinarmi alla Lombardia, facendo le opportune valutazioni. Anche un locale a Pisa non mi dispiacerebbe.
Dove, sul mare?
Perché no. Ma anche sul lungarno non sarebbe male. Non escludo anche altre possibili attività legate a questo mondo: ad esempio corsi di cucina, chef a domicilio o altre idee.
Sei laureato in Chimica e tecnologie farmaceutiche e stai facendo un dottorato. Pensi che questi studi ti abbiano aiutato, ad esempio con la caramellizzazione di certi cibi…
Non tanto per la caramellizzazione (sorride). Un conto è conoscere bene i processi chimici, altra cosa è saperla fare. Comunque ti direi di sì, certi studi che ho fatto mi hanno aiutato, soprattutto per una cosa, conoscere la materia prima. Sapere alcune caratteristiche di certi frutti strani o piante, oppure avere idea della componente grassa di un alimento. Questo penso mi abbia agevolato in qualche modo.
Come ti vedi tra dieci anni?
Spero felice. E di aver portato a termine tutto quello per cui ho faticato e sudato.
Tra le prove esterne dove ti sei sentito più a tuo agio?
Sicuramente quella sul lago d’Iseo, ma mi rimarrà più impressa l’esperienza fatta al ristorante di Enrico Bartolini al Mudec di Milano. Lì ho vissuto davvero un bel momento, cercando di vivere l’esperienza stando tranquillo.
Non è stata una provo molto difficile?
Sì, ma la difficoltà è bella quando la provi in un ristorante tre stelle Michelin. Devo dire che lo chef è stato bravissimo mettendoci a nostro agio, nonostante i ritmi e i livelli di perfezione fossero quelli assillanti tipici delle brigate dei grandi ristoranti.
Torniamo alla prova esterna coi pescatori del lago d’Iseo. A un certo punto ti sei commosso. Ci ricordi perché?
Appena arrivato sul posto dove si sarebbe svolta la prova ho visto, in lontananza, gli archi di una galleria stradale, lungolago. Ho rivisto un panorama simile a quello dove spesso andiamo a pescare seppie e polpi con mio padre, tra Finale Ligure e Noli. Mi sono subito emozionato. Poi, una volta finita (e vinta) la prova, non ho più trattenuto le lacrime.
Nella finale hai dedicato un piatto a Pisa, la città dove sei nato. Quale ricordo ti ha ispirato?
La torta coi bischeri, che in realtà è di un paese in provincia di Pisa, Pontasserchio, dove abitano i miei zii, e ci sono alcune pasticciere che si contendono il primato su chi la fa più buona. Mi è piaciuto partire dai ricordi di questo dolce, con la cioccolata, i pinoli, l’arancia candida. Poi ho aggiunto i brigidini, prodotto tipico di Lamporecchio, ma che si trova ad ogni festa che si rispetti. Io ricordo di averli mangiati spesso in occasione della festa pisana della Luminara, alla vigilia di San Ranieri (16 giugno). Poi il gelato ai pinoli di San Rossore, il grande parco dove spesso andavamo a passare delle belle giornate di svago con i miei, proprio vicino al mare. Spesso mi chiedono se mi sento più pisano o novarese. Direi che sono un mix di tutto: di Pisa, dove sono nato e ogni tanto torno, anche perché ho molti parenti, dell’Irpinia, terra degli altri nonni, di Novara e del Piemonte, dove sono cresciuto e mi sono formato.
Della cecìna (tipica farinata di ceci pisana, ndr) cosa mi dici?
L’ho mangiata proprio ieri sera, con una bella grattata di pepe nero sopra. Buonissima.
Prova di pisanità superata! Scherzo. Come ultima domanda vorrei chiederti quali sono i tuoi progetti futuri.
Prima di tutto completare il mio dottorato in Food Health Longevity. Nel frattempo mi guardo intorno e cerco qualcosa. Il mio sogno sarebbe riuscire a coniugare il lavoro con la mia passione.