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Covid e mente – Intervista alla dottoressa Rosanna Bertini

- Cultura, Interviste
9 Maggio 2021

Guido Martinelli

L’attuale situazione pandemica che a livello mondiale si sta trascinando da più di un anno reca con sé evidenti ed enormi disagi di ordine non solo sanitario ma anche psicologico, mi ha fatto riflettere sulla necessità di chiedere lumi a psicoterapeuti e operatori sociali. Ho iniziato, così, questo breve tragitto con l’esperta Dott.ssa Rosanna Bertini, psicologa e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico, operante a Pisa, Follonica ed anche a Milano su richiesta, che incontro, all’aperto, per un breve scambio di opinioni su questa tragica attualità.

Buonasera Dottoressa, ci illustri intanto il suo approccio terapeutico che sta portando avanti ormai da numerosi anni.
Il mio approccio è di tipo psicoanalitico-psicodinamico e mi occupo soprattutto di bambini e adolescenti, ma anche di adulti e coppie, riguardo a numerose patologie: disagio infantile, disturbi dell’apprendimento, iperattività, psicoterapia di coppia e individuale adulta, attacchi di panico, depressione, disturbi ossessivo compulsivi, disturbi del sonno e dell’alimentazione, nuove dipendenze e ludopatie.

I suoi psicologi di riferimento quali sono?
Nella mia preparazione teorica hanno un posto di rilievo psicoanalisti come Melanie Klein, che si è occupata di psicoanalisi infantile, e a seguire i vari autori della scuola inglese di psicoanalisi che all’analisi infantile hanno unito quella dell’analisi della psicosi come Herbert A. Rosenfeld e Wilfred Bion. Altro mio importante punto di riferimento clinico e teorico è Donald Winnicott, mentre per quindici anni ho seguito una supervisione con lo psicoanalista italiano Nino Ferro, figura di riferimento nel suo campo a livello internazionale. Negli ultimi anni ho, invece, seguito diversi seminari e avuto alcuni incontri con il dottor Antonello Correale. Il dottore, tra l’altro, è impegnato nello studio e nella cura della psicosi e di nuove forme di isteria legate ad aspetti esibizionistici dati dai social che possono indurre alla nascita di problemi di anoressia e bulimia. Altro aspetto fondamentale di cui lui si è occupato e si sta occupando che mi pare molto interessante ed estremamente attuale è l’effetto del trauma. Riallacciandomi proprio a questi studi si potrebbe sottolineare come quest’attuale situazione pandemica generalizzata e continuata stia rappresentando un trauma cumulativo di cui risentiremo progressivamente anche nei prossimi anni.

Come valuta, appunto, questa situazione che si sta protraendo ormai da più di un anno in tutto il mondo e di cui non s’intravede ancora la conclusione?
Da quando è iniziata questa pandemia la situazione si è progressivamente deteriorata. All’inizio del lookdown c’è stata una fase iniziale di sensazione di rinnovamento, di ripresa di tempo ed energia da dedicare a sé stessi; purtroppo, però, col tempo le persone sono progressivamente scivolate in una dimensione di apatia, di distacco affettivo, di senso di impotenza e di mancanza di prospettive per il futuro, non solo legate ad aspetti lavorativi ma soprattutto relazionali. Ho riscontrato, in questi mesi, un progressivo, notevole abbassamento del senso di vitalità, di condivisione, di aspettative nei confronti degli altri, e soprattutto un senso di allontanamento dagli altri. Soprattutto per quanto riguarda i bambini in età scolare e prescolare il danno è ancora più grande dato che vengono incentivate modalità di apprendimento che si legano all’uso che fino a quel momento era stato vietato o comunque limitato. Nella dad (didattica a distanza) il bambino s’impegna in una attività che fino a poco tempo prima era considerata esclusivamente ludica, fondamentalmente limitata da genitori e adulti, e che adesso acquisisce la forma di unica fonte di apprendimento. A proposito di questo è da notare soprattutto la maggiore stanchezza che viene in conseguenza dell’utilizzo per grossi periodi di tempo di questa strategia educativa derivante soprattutto dall’impossibilita di interagire e raccogliere tantissimi elementi anche emotivi dell’ambiente, come avveniva in classe, poiché tutta la concentrazione va su elementi razionali. La modalità educativa più profonda che fa da alone e dà significato a tutto il resto è sempre stata rappresentata dalla comunicazione non verbale composta da microatteggiamenti, tonalità della voce, espressività. L’uso esclusivo del mezzo informatico pone, invece, l’alunno a dover costantemente utilizzare solo il canale logico-razionale, la parte sinistra del cervello, a cui non arriva l’apporto molto importante dell’emisfero destro che è quello che cura la compenetrazione emotiva. Un altro aspetto da tenere presente in questo periodo è l’aggravamento dei disturbi del comportamento alimentare che nelle persone già affette subisce ovviamente un peggioramento, ma può estendersi anche ad altre che fino a quel momento non avevano registrato problematiche del genere in quanto il cibo, essendo la prima fonte di gratificazione, diventa un notevole mezzo di compensazione di tutto quello che manca nella vita reale e sociale. Al contrario, in alcune dimensioni dove il disturbo fondamentale è di tipo anoressico, si registra un incremento della modalità di controllo dell’alimentazione. L’anoressia, infatti, basandosi per molti aspetti proprio sulla capacità di controllo e sulla dimostrazione dell’onnipotenza della persona porta l’individuo in una situazione di estrema incertezza e a un incremento delle tecniche di evitamento del cibo in modo tale da condurlo a provare l’illusoria sensazione di controllare qualcosa che non è controllabile. In particolare, molte ragazze che hanno problematiche di questo tipo essendo una patologia molto femminile, hanno associato questo aspetto a una dimensione di esibizione sui social dove ostentare una crescente magrezza.

Come interviene l’approccio psicodinamico di fronte a queste problematiche?
Mantenendo il rapporto di terapia in presenza utilizzando tutte le precauzione del caso (aerazione delle stanze, uso perenne di mascherine) ma cercando, nei limiti del possibile e delle normative in tal senso, un approccio diretto e non a distanza.

La cura avviene sempre attraverso l’uso della parola?
Certo, ma la parola è veicolata dagli atteggiamenti, dalla tonalità della voce, dal modo di giocare e di gestire determinate cose. La parola non è fine a sé stessa ma si lega alla dimensione emotiva.

Il gioco, con i suoi elementi, diviene, quindi, importante per curare?
Senza dubbio, il gioco si serve dell’utilizzo di oggetti ma è importante l’interazione. Può essere un gioco di parole, un disegno, oppure modalità più strutturate. Sono solo mezzi perché l’elemento più importante è il tipo d’interazione che si crea tra il bambino e il terapeuta.

Quali sono le patologie che più patiscono questa pandemia?
C’è un aggravamento di tutte le patologie, in particolare di quei ragazzi che hanno disturbi nel contatto emotivo con altri ragazzi, perché ancora di più si trovano rinforzati in una dimensione di assenza e di distanza. Vorrei anche sottolineare come in questa dimensione di distanza tutti i sentimenti vengano smorzati, le aspettative del futuro, le passioni e tutto quello che conferisce un senso alla vita vivano come in una dimensione agonica, sospesa. Questo è un gravissimo indice di aspetti di depressione subliminale che comporta la perdita di progetti, d’impegno, di iniziative verso il futuro. Inoltre, l’uso di mezzi a distanza come i social, tipo WhatsApp e Facebook, incrementano aspetti che possono diventare patogenici perché molte persone vi vanno spesso a vedere cosa fanno gli altri e possono riportare una sensazione di impotenza e un sentimento di inadeguatezza che li induce a ritirarsi ancora di più in loro stessi. Un altro aspetto, forse preso poco in considerazione ma che ha effetti negativi anche sugli adulti, è la continua frammentazione dell’attenzione proveniente dall’uso massiccio di questi social o dall’uso di nozioni che si possono trarre dalla lettura d’internet. Serve molta forza di volontà per staccarsi da certe continue sollecitazioni della rete che portano a una dispersione dell’attenzione e danneggiano la capacità di concentrazione su un tema unico. Serve molta forza di volontà per staccarsi da questa dinamica. Ovvio, poi, che gli ossessivo-compulsivi sono incrementati dato che, in questo momento, il pericolo può essere esterno e ovunque, e questo pensiero alimenta un certo numero di fantasmi. Lo stesso discorso può essere per coloro che presentano aspetti paranoici, persecutori, per cui arrivano a interessarsi delle teorie del complotto, a non fidarsi di nessuno, perché ognuno può essere pericoloso. Il danno principale portato dal Covid, quindi, potremmo definirlo più psicologico che organico.

L’aspetto più distruttivo del sociale di questa pandemia qual è stato?
Sicuramente è rappresentato dall’evitamento del contatto. Si nota questo aspetto nel tentativo di tenersi a distanza oppure nell’opposto atteggiamento di negazione del problema maniacale che porta a evitare i normali criteri di protezioni richiesti in questo frangente. Si va per estremi senza avere la capacità di assumere condotte equilibrate e moderate. Le persone con patologie classiche come schizofrenia, depressione, disturbi ansiogeni e di altra psicosi, registrano un incremento dei loro disturbi, ma il danno più evidente va a carico degli altri che hanno sempre condotto una vita che potremmo definire “normale” e che sono stati o sono travolti da questo cambiamento drastico delle loro abitudini di vita a causa di questo ciclone pandemico.

Cosa prevede se la situazione non migliorerà?
Una distruzione del tessuto sociale, grosse difficoltà di varia natura nei bambini e negli adolescenti. In particolare ho notato, lo scorso anno, lo svilupparsi di problematiche molto grosse in bambini andati in prima elementare che hanno dovuto interrompere la frequenza scolastica dopo aver appena iniziato il processo di scolarizzazione e l’apprendimento basilare della lettura e della scrittura. Nell’ambito emotivo è entrata la componente ansiogena per cui sia i genitori sia gli insegnanti sono profondamente preoccupati del rispetto di certe norme igieniche e quindi, forse, non riescono ad approfondire gli aspetti emotivi che si accompagnano nei processi di apprendimento del leggere e scrivere.

Quali contromisure predisporrebbe di fronte a questo quadro sociale così denso di ombre?
Incrementare il più possibile le attività all’aperto con possibilità d’incontro con le persone che debbono riscoprire il piacere dell’incontro con l’altro senza dimenticarsi di rispettare le norme di sicurezza. Tenere presente atteggiamenti responsabili e rispettosi delle ordinanze, ma riprendere il corso normale della socialità sostituendo internet con le relazioni e cercare di non prendere in considerazione i bollettini dei contagi e altre informazioni negative che non generano sentimenti positivi e non trasmettono fiducia bensì torrenti di ansia.

Insomma, non c’è che da sperare in una conclusione veloce di questo delirio.
Senza dubbio, e al riguardo mi torna alla mente una celebre frase del Mahatma Gandhi che recitava: “Nessuno può farti più male di quello che fai a te stesso”. Bisognerebbe non dimenticarla mai e cercare di volersi più bene possibile.

Intanto speriamo di tornare al più presto ad incontrarci e a sorriderci senza questa mascherina che sta cominciando a diventare ingombrante e limitante dato che, come disse non ricordo più chi, “La vita è l’arte dell’incontro” e a stare da soli non si migliora e non si fanno passi avanti.
Concordo, e continuando a percorrere il sentiero delle citazioni potrei concludere con una di Carl Gustav Jung per cui “l’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche; se c’è una qualche reazione entrambe ne vengono trasformate”. Torniamo a trasformarci nel più breve tempo possibile.

Speriamo Dottoressa, e grazie
Grazie a lei. È stato un piacere. E speriamo.
Tanto non costa niente.

 

Foto: Pixabay

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