– Luca Marano –
Quando i fatti di cronaca risvegliano le nostre coscienze è solo allora che ci ricordiamo dei tanti morti sul lavoro. Si parla di due o più morti al giorno come di qualcosa di tristemente necessario per garantire il nostro tenore di vita. La verità è che non riusciamo più a rinunciare a niente e per questo siamo disposti a scendere a patti anche con la nostra coscienza. Personalmente ho la fortuna di lavorare da molti anni nell’ambito della sicurezza in campo industriale per un’azienda che investe molto in questo settore, ma non bisogna pensare subito a macchinari di ultima generazione dotati dei più sofisticati sistemi di protezione, oppure a dpi (dispositivi di protezione individuale) all’avanguardia basati sulle nanotecnologie. O meglio, nella mia azienda c’è anche questo, ma c’è soprattutto la consapevolezza che la sicurezza è un modo di pensare, un fattore culturale. Poco fanno le norme, i regolamenti e le imposizioni se chi deve operare in sicurezza, ovvero il lavoratore, che poi è colui il quale ci rimette in prima persona, non è realmente consapevole dei rischi che corre e di come può eliminarli o mitigarli.
Nella mia esperienza mi sono reso conto che con la formazione si ottiene più che con l’imposizione, con la collaborazione si ottiene più che con il controllo.
Si tratta di un fenomeno culturale né più né meno come nel caso delle cinture di sicurezza delle auto, per il casco quando si va in moto, per il fumo nei locali pubblici, oppure ancora per la tutela dei diversamente abili. Tutte conquiste che fino a qualche anno fa sembravano inimmaginabili ma che grazie ai mezzi di comunicazione di massa, in particolare alla televisione, al cinema e ai giornali, che certe pratiche sono diventate normali e non ci infastidiscono più. Quando vediamo eroi del grande schermo indossare la cintura di sicurezza alla guida di un bolide durante un inseguimento mozzafiato per imitazione tendiamo a fare lo stesso, anzi, ci sentiamo anche noi un po’ dei piloti quando compiamo quel semplice gesto di allacciare la cintura di sicurezza prima di partire.
Oggi il ruolo dei social è imprescindibile per far sì che alcuni concetti raggiungano tutti e vengano assimilati fino a renderli normali, quasi scontati. Tanto questo è vero che oggi ci chiediamo come sia stato possibile che per anni abbiamo fatto a meno di indossare il casco o di allacciare le cinture di sicurezza. E tutto grazie alla televisione ed al cinema!
Proprio per questo motivo faccio un appello ai principali social che pubblicano indistintamente qualunque tipo di filmato o tutorial che ritrae persone che utilizzano strumenti o macchine utensili senza rispettare le più elementari norme di sicurezza. Chiedo semplicemente che ogni video sia preceduto da un avviso che metta in guardia il fruitore del fatto che quel filmato contiene immagini di persone che lavorano senza rispettare le norme di sicurezza. In alternativa si potrebbe apporre un “bollino rosso” a margine del filmato ogni qualvolta si ravvisa o viene segnalato il mancato rispetto delle norme di sicurezza.
Ad onor del vero ci sono diversi filmati in rete che ritraggono persone che utilizzano correttamente i dpi e che esortano a rispettare le norme di sicurezza prima di effettuare qualunque operazione che possa mettere a rischio la propria o altrui incolumità.
Detto questo, risulta chiaro che i social possono e devono fare la loro parte per scongiurare il verificarsi di queste morti assurde, basta poco per non rendersi complici di questi delitti che avvengono quotidianamente e alla luce del sole. I social non possono continuare a far finta di niente potendo contribuire in maniera attiva a diffondere quella cultura della sicurezza che poi portiamo con noi nella vita di tutti i giorni tanto a casa (incidenti domestici), quanto sul posto di lavoro (incidenti sul lavoro).
Luca Marano
Foto: Pixabay