“Mimosa non è un fiore” (edizioni La Gru) è un romanzo ambientato a Livorno nei giorni successivi all’alluvione del 2017. Parla di una madre che lotta per crescere sua figlia, una donna sola e chiusa in se stessa, una città ferita. L’autore, Carlo Banchieri, in questa intervista ci racconta un po’ del suo libro, della sua vita e della sua città.
Come nasce l’idea di questo romanzo?
Nasce da molte idee lontane tra loro. Intanto dalla mia interpretazione della realtà, che osservo tantissimo. Mi sono reso conto che c’era bisogno di raccontare anche le storie di cui nessuno parla, quelle dei meno fortunati, dei più soli. Persone come la protagonista del libro che nella vita incontrano tante difficoltà. Vite che sono sempre in salita ma di cui nessuno si interessa. Perché non rientrano in nessuna delle categorie cui si fa riferimento quando si parla di disagio sociale o di vita difficile. Ma il bello dello scrivere è poter modellare la realtà e renderla, se si vuole, migliore. “Mimosa non è un fiore” è una storia di riscatto, di speranza, di amore materno, di perseveranza. Poi c’era la voglia di parlare di Livorno, di un’alluvione che ha distrutto e cambiato la vita di tanta gente. Alluvione di cui nessuno aveva ancora scritto. In questo libro c’è un forte senso di resilienza.
Ha scritto altro in precedenza?
In passato, nel 2012 e nel 2013, ho pubblicato un paio di libri tramite selfpublishing. Mi sono sempre dedicato ai racconti brevi. Ne ho scritti tanti prima di decidermi e lanciarmi nel tentativo di scrivere un romanzo. Questa storia era già chiara dentro di me e così nel giro di poco l’ho scritta. Ho avuto la fortuna di trovare un editore che non chiede alcun contributo agli autori (prassi che purtroppo oggi è molto diffusa) e che crede in questo libro e nella storia racchiusa tra le sue pagine.
Di lavoro fa l’operaio. Di cosa si occupa in particolare? Nel tempo libero che fa, oltre a scrivere?
Si faccio l’operaio. Sono un portuale. Lavoravo già sul porto anni fa. Poi c’è stata una lunga parentesi in una cartiera lucchese. Nel tempo libero cerco di stare il più possibile con i miei due bimbi e con mia moglie. Conduco una vita semplice. Scrivo a scappa tempo buttando giù idee che poi prendono forma al momento giusto.
Nel suo ultimo libro si parla dei giorni dopo l’alluvione del 2017. Che ricordi ha di quei giorni?
È un periodo che per varie ragioni mi ha lasciato dentro qualcosa di negativo. Sentimento che però si è trasformato col tempo e anche il dolore di certe cose ha trovato una sua dimensione. Tutto trova una sua dimensione. Come nel mio libro dove il fango e la distruzione hanno saputo portare anche anche a cose belle. La gente che andava ad aiutare altra gente. Quella ad esempio è stata una cosa bella. L’incontro tra le due protagoniste, nel mio libro. Un’altra cosa bella.
Come si vive oggi a Livorno?
Livorno è molto diversa da vent’anni fa. Molti quartieri sono cambiati e risentono degli stessi problemi di tutte le città d’Italia. Manca il lavoro. La vita in molti quartieri è peggiorata. Ma da livornese innamorato della propria città continuo a pensare che sia la più bella del mondo. Ma forse è più una speranza.
Ci spiega, in poche parole, il rapporto tra i livornesi e il mare?
Livornesi e mare. La prima cosa che mi viene in mente è la parola risi’atori (risicatori). Gente che in un passato nemmeno troppo lontano affrontava il mare aperto per accaparrarsi il diritto di scaricare le navi in rada. A Livorno siamo gente di scoglio, gente pirata e non è solo un luogo comune. Un livornese senza il mare? Lasciamo perdere.
Toscana e campanilismo. Tra livornesi e pisani è guerra continua. Lei che ne pensa? C’è un motivo o è solo, ormai, un residuo storico quasi ai titoli di coda?
Sulla rivalità tra Livorno e Pisa penso che sia una cosa che fa parte della natura di entrambe le città. Siamo cresciuti così e anche se ci chiamano cugini trovo che invece siamo molto diversi. Sono due città molto differenti, ognuna con la sua storia ed è bello che entrambe portino avanti la propria appartenenza. Non ci trovo nulla di male in un sano campanilismo.
Una domanda sul calcio: come si è arrivati alla retrocessione del Livorno in Serie D?
Sul calcio non saprei cosa dirle. Il mio sport è sempre stato il rugby.