– Ilaria Clara Urciuoli –
Il grande merito dell’arte di Folon è sicuramente la capacità di evocare, anzi compiutamente realizzare nell’osservatore, un mondo complesso attraverso l’essenziale, linea e colore che accennano e imprimono grande potenza. Chi lascerà la spiaggia di Viareggio e riuscirà a non rimanere sedotto dal lungomare e le sue manifestazioni – ricordo di tempi d’oro che rendono la città sempre suggestiva – potrà scoprire questo artista attraverso la mostra “Universi leggeri. Folon – la vita è viaggio“, visitabile al primo piano della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Lorenzo Viani fino al 10 ottobre.
Dichiarazione di questa capacità di sintesi sono le prime opere esposte, tre “semplici” inchiostri di china, due dei quali privi anche di titolo ma che individuano chiaramente uno dei temi chiave della contemporaneità: il dubbio. Un dubbio che mostra diverse sfaccettature: confusione, incertezza, impossibilità di una lettura chiara e univoca di quanto accade intorno a noi. Ma se in queste piccole opere domina il punto interrogativo (tanto che è proprio questo segno di interpunzione a sorreggere il mondo, da essere essenza del nostro cervello), le pose dell’uomo che con questo interrogativo si confronta sono altrettanto eloquenti e ancora più rappresentative dell’oggi: questi uomini sono ormai scoraggiati. Non accettano più la sfida di trovare un nuovo Dio dopo la morte costatata da Nietzsche, ma restano attoniti a costatare il limite in attesa forse di un lampo, di un’illuminazione che sia veicolo per una fuga dalla stasi, che faccia da scintilla del motore a scoppio di un nuovo entusiasmo.
Il tema centrale della mostra viareggina è il viaggio. Un viaggio prima di tutto interiore – come tutti i viaggi di cui siamo realmente consapevoli. In questo viaggio a emergere è un Folon perennemente innamorato della vita, anche quando oggetto dei suoi quadri è la desolazione, lo scempio, il dolore, la rovina. Anche qui, nel male profondo dell’uomo, la salvezza – veicolata forse dalla sapiente leggerezza nell’uso del colore – è dietro l’angolo, è la possibilità da cogliere per realizzare l’immensa bellezza ancora in parte potenziale del mondo.
Tanti i richiami alle sfide interiori dell’uomo disorientato dal moltiplicarsi degli sguardi, proprie e altrui (in Le voyant) o dall’ingrandirsi smisurato delle sue orecchie (in A l’ecoute), simboli forse proprio di quell’incertezza cui siamo sottoposti, e di cui diventiamo talvolta vittime, in un mondo complesso come il nostro, scrutabile da tanti punti di vista, percepibile attraverso tante voci diverse; sfide anche dell’uomo ormai quasi irreversibilmente isolato dall’altro, chiuso in bolle e bottiglie che rendono con forza drammatica il tema dell’incomunicabilità.
Se sono tanti e importanti i richiami a queste sfide legate all’interiorità non sono meno evidenti quelli alle sfide sociali: il mare sembra catalizzatore di difficoltà. Così sembra nel mare in bufera de La fin de Babylone, d’apres Apollinaire, in cui la barca dell’umanità è costretta a cavalcare quest’indomita onda oltre la quale potrebbe trovarsi una speranza – minima a dire la verità – di salvezza; così le sabbie mobili che lasciano spazio a un mare calmo racchiuso (in un’allusione al bisogno di una coscienza civile) nell’occhio di chi non può dimenticare quella mano che spunta dall’acqua, estrema richiesta di aiuto di chi per salvarsi ha l’assoluta necessità dell’altro, di noi. Accanto a questi lavori che rimandano chiaramente al principio di solidarietà troviamo opere in cui le tematiche sociali si sviluppano anche in altre chiavi: l’ultima goccia d’acqua imprigionerà l’uomo che sarà a quel punto drammaticamente consapevole di quelli che sono stati gli squilibri tra uso delle risorse e capacità delle stesse di rigenerarsi; gli ingranaggi di quelle che un tempo rappresentavano le catene di montaggio e che oggi sono le nuove necessità sociali schiacceranno (anzi già schiacciano) l’uomo che non sarà più libero. Le possibilità che abbiamo di fronte a questa vita sono dunque diverse, e questo enigma della scelta da compiere emerge in Toutes derections, scultura in bronzo in cui il viandante resta (ancora una volta) immobile davanti all’interrogativo.
La capacità di giocare, di vivere con gioia e leggerezza, di innamorarsi, emerge anche nell’ultima sezione della mostra, quella che ripercorre il suo legame con Viareggio che ripropone un manifesto per il Carnevale del 2000 e soprattutto i lavori realizzati per la progettazione delle scenografie, dei costumi e degli attrezzi di scena per la Bohème di Puccini. Il Cafe Momus diventa allora una tavolozza i cui colori saranno i tavoli intorno ai quali i cantanti svilupperanno l’opera. Salutare Folon a termine percorso dispiace: non ho potuto non ripetere il percorso.
Ilaria Clara Urciuoli