Commenti e considerazioni su un mondo che ha perso la testa di un giornalista col cuore in Toscana e la testa da qualche parte tra Londra e il Texas. Se volete, chiamatemi Apolide / Luca Bocci
Alzi la mano chi si sarebbe aspettato di sentir parlare di Afghanistan nel 2021. L’intervento occidentale nell’immaginario collettivo aveva fatto più o meno la stessa fine del Grande Gioco ottocentesco tra Regno Unito e Russia, una nota a margine nel libro della storia contemporanea. E invece eccole lì, le immagini da Kabul che sembrano venire dagli anni ‘70, gli elicotteri che evacuano le ambasciate, migliaia di locali pronti calpestare tutto e tutti pur di salire sull’ultimo aereo. Immagini che abbiamo già visto, a Saigon prima, a Phnom Penh dopo. Oggi come allora, il mondo politico occidentale sembra cadere dal pero, dividendosi su tutto, sprecandosi in promesse tanto altisonanti quanto vuote, sdilinquendosi per il destino di quelle “povere donne afghane” delle quali nessuno parlava da almeno dieci anni. Ed ecco che scattano i paralleli con le fatali avventure americane in Indocina, con il ministro degli esteri iraniano che gongola e parla di “nuova disfatta americana”.
Nessuno si sarebbe mai aspettato che l’esercito governativo si squagliasse come neve al sole di fronte alle milizie talebane, che nel giro di pochi giorni hanno occupato uno dopo l’altro tutti i gangli del potere afghano. C’è chi chiede commissioni per investigare le cause di questo collasso e chi chiede di rilanciare la posta, al grido di “non possiamo abbandonare il popolo afghano”. Come al solito, i santoni del solidarismo globalista sono perfetti come cartina di Tornasole. Basta fare l’opposto di quel che dicono.
Kabul non è Saigon, è molto peggio. Il crollo del regime del Vietnam del Sud, altrettanto corrotto, inefficiente e imbelle di quello del mai nato “nuovo Afghanistan”, avvenne in un contesto internazionale ben diverso. Il Vietnam del Nord era stremato, tenuto in vita solo dagli aiuti sovietici, apertamente osteggiato dall’ex grande alleato cinese, ansioso solo di ricucire le ferite dei decenni di feroce guerra. La Cambogia dei Khmer Rossi era vista con ostilità dagli stessi vietnamiti e disconosciuta dalle grandi potenze comuniste. L’Afghanistan di oggi è molto diverso e rischia di aprire un nuovo fronte negli scontri tra le grandi potenze asiatiche, con conseguenze impossibili da prevedere.
Questo crollo non è figlio dell’implosione di un sistema sclerotico, sostenuto solo dai soldi degli stranieri, come avvenne a Saigon – stavolta i soldi sono arrivati nelle tasche giuste, nella forma di laute tangenti targate Pechino. Non fatevi ingannare dalle prese di posizione di Russia ed Iran, che si dicono prontissime a collaborare con il regime teocratico. La partita è già finita. Mentre l’Occidente continuava a baloccarsi con i suoi sogni di “nation building” e le sue ideologie dissennate, i mandarini del PCC, ancora capaci di vedere il mondo per com’è, si sono comprati qualche generale e si sono già spartiti la torta coi servizi segreti pachistani, il vero governo di Islamabad, ben più potente di quello guidato dalla star del cricket Imran Khan.
Oggi come nell’Ottocento, le sperdute vallate afghane saranno parte di un “grande gioco”, quello che la Cina sta giocando per l’egemonia sull’Asia Centrale. La vera sconfitta, in questo caso, è l’India, il gigante che dopo aver contrastato le mire espansionistiche di Pechino ad Est e nell’Oceano Indiano, ora si troverà ai confini un nuovo Tibet. I miliardi di dollari promessi da Pechino per costruire nuove autostrade, impianti elettrici e chi più ne ha più ne metta avranno fatto rabbrividire molti a Nuova Delhi.
L’Occidente, mi dite? Assente ingiustificato, sempre più irrilevante nel teatro geopolitico più importante del XXI secolo. Lasciate perdere i meeting, i discorsi alla nazione, le grandi dichiarazioni d’intenti. Aria fritta. Vent’anni, migliaia di morti, un paese talmente devastato da non ricordare nemmeno cosa voglia dire vivere in pace, centinaia di miliardi di soldi dei contribuenti buttati nel vento e cosa abbiamo ottenuto? Un bel niente, l’ennesima porta in faccia e la consapevolezza che questo Occidente pavido, in preda alle convulsioni di una crisi d’identità mai vista, non serve a un bel niente. Il tradimento dei generali afghani non è una vittoria per i sistemi totalitari, ma l’ennesima prova che questo Occidente riesce a far paura solo ai propri sudditi.
I Talebani sono rozzi, violenti, impresentabili ma, ora che alle spalle hanno i soldi di Pechino, sono meglio del governo afghano, buono solo a riempirsi le tasche coi soldi degli occidentali. Les jeux sont fait. A pagare il conto saranno gli afghani educati, quella classe media già duramente provata dai decenni di guerra. Risparmiateci la retorica ed i filmati lacrimosi. A nessuno è mai fregato niente di loro. Il Grande Gioco continua e l’Occidente stavolta non sarà nemmeno al tavolo. Detto tra di noi, forse è meglio così. Peggio, onestamente, sarebbe stato difficile fare.
Buongiorno, è sicuro che a pagare il conto saranno gli afghani “educati” ? I Paesi occidentali e ricchi (non l’Italia) sono pieni di siriani, libanesi e libici “educati”. Gli altri continueranno a sopravvivere all’inferno, non hanno mai conosciuto altro : uomini e donne, tutti/e vittime ! E anche noi siamo vittime del nostro delirio di onnipotenza : esportare la democrazia, i nostri valori ( quali ? ), i nostri prodotti (sempre di meno tranne quelli di lusso) in Paesi che non conosciamo e non capiamo. È la fine anche del nostro mondo com’è normale che sia.
Cordiali saluti. Vita Bruno
Salve, mi scuso per il ritardo nella risposta. Gli afghani “educati” sono quelli che si stanno accalcando attorno all’aeroporto per fuggire, unico modo per sfuggire ai rastrellamenti dei “nuovi” talebani, che appena si spegneranno le telecamere procederanno al repulisti vero e proprio. Gli altri, quelli “normali”, illetterati, incapaci di usare le armi pagate dai soldi dei contribuenti occidentali, continueranno come prima, senza forse rendersi conto di aver gettato via l’ennesima occasione di riscatto. I nuovi padroni, cinesi e (forse) russi, se ne fregano di esportare i loro valori, vogliono solo fare affari e li faranno con i tagliagole, i duri e puri dell’islamismo che si riempiranno le tasche esattamente come gli imbelli governanti che abbiamo foraggiato con centinaia di miliardi delle nostre tasse per vent’anni. Prima di dire che è la fine del nostro mondo ci andrei cauto. Ogni volta che l’Occidente prende una sberla, molti sinistri sono lì, pronti a stappare lo champagne. Eppure siamo ancora qui. Una volta passata anche questa buriana (e passerà, prima o poi) torneremo più forti di prima. Certo che se continuiamo a dare spago a chi non perde occasione per cancellare i valori fondanti della nostra cultura e le nostre tradizioni andremo poco lontano. Continuo a restare ottimista. Non godrà di ottima salute, ma la nostra civiltà non è ancora al capolinea. I nostri giorni migliori sono ancora davanti a noi.