Commenti e considerazioni su un mondo che ha perso la testa di un giornalista col cuore in Toscana e la testa da qualche parte tra Londra e il Texas. Se volete, chiamatemi Apolide / di Luca Bocci
Ironico che l’estate dell’inaspettato trionfo della banda Mancini sia la più difficile di sempre per il calcio italiano. Soldi in giro quasi zero, montagne di debiti coperte a malapena da dolorosissime cessioni, i pochissimi colpi di mercato compiuti solo grazie ad astruse alchimie finanziarie. In mezzo il povero tifoso, costretto ad entusiasmarsi per l’ennesimo scarto di una grande spacciato come occasione della vita. L’annus horribilis del calcio non ne vuole proprio sapere di finire. Difficile però immaginare un destino peggiore di quello del Livorno, che nel giro di poche settimane si è visto cancellato. L’addio di Spinelli, che da un pezzo aveva fatto capire che si era stufato di lottare contro i mulini a vento, ha aperto le porte all’ennesimo anno zero per il calcio labronico. Dopo lo shock, il solito balletto delle voci, le dichiarazioni del sindaco pronto ad affidarsi a chiunque pur di evitare il peggio.
Alla fine, grazie all’intervento di Cristiano Lucarelli, il “salvatore della patria” è stato trovato. Presentazione trionfale all’Armando Picchi, dichiarazioni che sembrano fatte apposta per i tifosi, “la sciarpa devo meritarmela”, “abbiamo l’obbligo di vincere”, la Curva Nord “convinta” dal suo entusiasmo, solita storia vista e stravista. La nuova società avrà il vecchio nome di Unione Sportiva ma è una scatola vuota. Il simbolo arriva forse in comodato d’uso, non c’è un ufficio, non si sa dove allenarsi o chi giocherà. A parte presidente, DS e allenatore, tutto si dovrà mettere in piedi in due settimane. Tutto bene, quindi? Non proprio.
Chiedete a Prato cosa ne pensano di Paolo Toccafondi e degli ultimi anni della gestione della squadra locale. Certo, la storica famiglia pratese diventata ricca a Bergamo con la logistica non ha lasciato debiti ma pochi li rimpiangono. L’ex portiere di Prato e Alessandria ha litigato praticamente con tutti. Già, ma “Livorno è diversa”, come dice lui. Ad ingolosirlo il bacino di tifosi sfegatati che continuarono a riempire l’Ardenza anche in Eccellenza fino a riportare i labronici in Serie A. Succederà anche stavolta? Forse, il calcio a Livorno è quasi una religione. Lasciamo perdere le accuse di frode sportiva e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina minorile per la tratta di baby-talenti africani, la giustizia farà il suo corso. Il problema è un altro – ben più grave.
Ancora una volta, il mondo del calcio toscano si è lasciato sfuggire l’occasione di ripartire in maniera nuova, coraggiosa, sostenibile. Ancora una volta nessuno si è rimboccato le maniche per mettere in piedi una società dalle fondamenta solide, fatta dai livornesi e per i livornesi. Ebbene sì, sto parlando proprio di azionariato diffuso, quella stessa formula di cui tutti parlano ma che nessuno vuole davvero. Gli stessi tifosi che si dicono pronti a tutto per sostenere la propria squadra rimangono sempre lì, a pregare che si faccia avanti l’ennesimo imprenditore innamorato delle telecamere a far risorgere il glorioso club. Non importa che questi tentativi continuino a fallire con regolarità impressionante, non riescono proprio a capire che il calcio non potrà mai funzionare senza una rivoluzione copernicana, un vero cambio di paradigma. Tutti lì a sperare che il nuovo Paperone sia più capace del vecchio – una caparbia quasi patologica. Il futuro del calcio toscano non sta nelle tasche di ricchi padroni stranieri, che certo non arrivano dalle nostre parti per far beneficenza. I tifosi, invece di andare all’Ardenza a fare da sfondo all’ennesimo malato di protagonismo, meglio avrebbero fatto a mettersi in gioco in prima persona.
Senza scomodare colossi come il Bayern Monaco, perché non ricordare quel che successe qualche anno fa al Wimbledon? Il padrone del club si era stufato del vecchio stadio e della riottosa tifoseria e pensò bene di trasferirsi in una città vicina, dove i terreni costavano meno e squadre di tradizione non ce n’erano. Il Wimbledon si trasformò quindi nei Milton Keynes Dons, fatto più unico che raro nella tradizionalissima Inghilterra. I tifosi però non si diedero per vinti, ricrearono da zero la propria squadra e fecero di tutto per risalire la piramide del calcio inglese. Il nuovo Wimbledon non ha ripetuto le imprese del passato, la Premier League è ancora un miraggio, ma c’è, esiste, nonostante tutto e viene gestito in maniera sostenibile da quegli stessi tifosi sedotti ed abbandonati dal Paperone di turno.
Un calcio diverso è possibile, basta volerlo davvero. Insomma, tifosi, se ci siete, battete un colpo. Non ve ne siete accorti ma il giocattolo si è già rotto da un pezzo. Se non scendete in campo voi, il calcio non ha futuro.