– Guido Martinelli –
Nello scorso mese di luglio, come già detto in altre occasioni, nella bella Piazza Cavallotti di Pisa, vicina alla torre, si è svolta un’interessante rassegna di editoria indipendente pisana di un certo livello. Ho deciso di incontrare uno di questi autori, di cui avevo già letto un precedente testo, in separata sede e di fronte a due bibite ghiacciate, per farmi descrivere questa sua nuova fatica letteraria. Parlo di Massimiliano Barsotti e del suo “Caleidoscopio di vite. Monologhi, dialoghi e brevi racconti”, edito dalla giovane e attiva casa editrice pisana “Marchetti Edizioni”.
Buonasera Massimiliano, ci parli di lei…
“Sono in pensione da due anni e mezzo dall’insegnamento di materie giuridiche ed economiche nella scuola superiore. Prima, per undici anni sono stato dirigente dello Stato, ovvero funzionario del Ministero dell’Interno, e in questo modo ho conosciuto Maria Fantacci, mia moglie, scomparsa da poco tempo per una terribile e veloce malattia”.
Sono contento che lei la citi perché Maria Fantacci (nella foto sotto), era una persona molto conosciuta a Pisa in quanto giornalista direttrice del “Fogliaccio” per diversi anni, oltre che operatrice culturale molto attiva, conosciuta e apprezzata da tutti. Ne potrebbe fare un breve accenno?
“Con molto piacere. Mia moglie Maria, che aveva frequentato anche la scuola di giornalismo ad Urbino, aveva un grande amore per il giornalismo oltre che per il teatro, il cinema e la cultura in genere. Era una firma conosciuta non solo per la direzione del Fogliaccio ma anche per avere collaborato nelle redazioni locali di quotidiani come il Tirreno e la Nazione per cui era riuscita a iscriversi all’albo dei giornalisti come giornalista pubblicista. Devo anche aggiungere, come ho scritto in una memoria scritta per lei, che le devo molto quel gusto che mi ha tirato fuori nel divertirmi nell’imparare a scrivere. Quando scrivevo qualcosa mi stimolava e mi invogliava a continuare. Devo dire che nonostante abbia fatto studi umanistici non mi ero mai addentrato nella scrittura come negli ultimi anni. Anche quest’ultimo libro è frutto di una esigenza che da quasi un anno mi è esplosa di mettere su foglio bianco in modo narrativo, impressioni, riflessioni, stati d’animo. Chi, tra i miei amici e conoscenti, ha avuto modo di leggerlo mi ha detto che c’è molto di me. Anche se molte di queste cose scritte sono frutto di pura fantasia”.
Lei ha scritto anche un precedente libro che ho avuto modo di leggere e apprezzare..
“Nel 2019 è uscito il mio ‘Manuale pratico di registrazione’, anche questo per i tipi dell’editore Marchetti, una casa editrice pisana con cui mi trovo molto bene in quanto la titolare, Elena Marchetti, è persona competente, attenta e precisa. Questo primo libro, della collana “Spazio scenico” ben curata da Pietro Malavenda, mi ha dato molte soddisfazioni, ha venduto in modo soddisfacente, non solo nel nostro territorio ma persino all’estero, per un illustre sconosciuto come me”.
Come è nata l’idea per questa prima opera?
“Il punto di partenza fu rappresentato dall’esigenza di mettere insieme una metodologia didattica per insegnare teatro a ragazzi delle Superiori. Per arrivare a tanto ho preso spunto anche da saggi di nomi illustri come Orazio Costa, Costa, Gassman, oltre che dalle mie numerose esperienza formative personali nel settore. Qui si parla di tecnica recitativa, di impostazione della voce, gestualità, pausa, senso del significato del testo e del sottotesto, studio della capacità attoriale in toto. Insomma, un manuale pratico da addetti ai lavori che chi vuole può consultare per trarre qualche spunto operativo”.
Anche in questa sua seconda opera si evidenzia già dal titolo la presenza di monologhi. Ci parli di questa sua passione teatrale.
“Fin dall’età di 17-18 anni mi sono dilettato a fare teatro in modo amatoriale, compatibilmente prima con l’università e poi col lavoro, partecipando ad attività di compagnie amatoriali e a corsi e a laboratori teatrali di vario tipo. Fra questi, quelli del ‘Piccolo teatro città di Pisa’ di Benozzo Conti con cui ho lavorato per tantissimi anni. Ma sono andato a formami anche a La Spezia, all’Università di Pisa, dove ho seguito lezioni importanti sul teatro scespiriano, ho coltivato per anni studi mirati su colossi del teatro mondiale come Goldoni e Pirandello. Nelle numerose messe in scena cui ho partecipato, sempre in ambito amatoriale, ho interpretato quasi sempre il ruolo del caratterista o del comprimario, ottenendo anche alcuni riconoscimenti in rassegne nazionali del settore. Gli autori che mi hanno permesso di calcare le scene sono stati Agata Christie, Moliere, Goldoni, Pirandello, Ezio D’Errico, Aldo De Benedetti, Sartre, Camus. In alcuni casi non opere complete ma brani tratti da questi autori. Tra i tanti rammento con piacere il monologo di Lutero di Osborne di Beckett, sempre sotto la regia di Benozzo Conti. Ho recitato con analogo, sentito piacere, anche in quella grande opera che è ‘Il giardino dei ciliegi’ di Cechov. In seguito mi sono sbizzarrito in recitazioni più o meno classicheggianti fino ad arrivare ai giorni nostri. Non posso tralasciare di citare anche la mia interessante attività di docente teatrale, ormai da diversi anni, presso l’UNIDEA (Università degli adulti) di Pisa. Capisce, a questo punto, che pure questo mio secondo libro non poteva non comprendere monologhi, pieces teatrali o raccontini che risentono un po’ di questo mio stilema in cui ci sono descrizioni letterarie ma sostanzialmente teatrali. Nei monologhi, per esempio, il lettore trova sospensioni, pause, immagini creative, come se il monologante si rivolgesse a un pubblico che gli sta di fronte attraverso un dialogo dalla forma teatrale. Infatti uso frasi che creano un flash, un’immagine. Vorrei anche aggiungere che sono stato influenzato anche da quel grande scrittore che è stato Georges Simenon, che non ha scritto solo le ben note storie di Maigret, ma decine e decine di libri non di genere, molti dei quali iniziano con immagini di ambiente, sensazioni, stati d’animo”.
Mi viene in mente lo stupendo ‘L’uomo che guardava i treni’…
“Esatto. Molto bello. Ma per me è stato importante anche il suo equivalente italiano, ovvero Ezio D’Errico, grande scrittore di gialli e di romanzi, che per i primi veniva definito il Simenon italiano. Lui inventò, con largo anticipo rispetto agli attuali commissari che vanno per la maggiore, la figura del commissario Emilio Richard. Era abile a creare tra i vari personaggi un’ambientazione particolare con annessi movimenti e riflessioni. È uno stile che a me piace, corrisponde al mio gusto e ha influenzato il mio libro”.
Quanto ha impiegato per realizzare quest’opera?
“Ho iniziato a scrivere dei raccontini ad Ottobre, e a dir la verità continuo tutt’ora”.
C’è qualcosa che si coglie subito in questi raccontini?
“Il senso della vita, del passare delle cose, delle illusioni, la malinconia come il bisogno di evasione, la ricerca della felicità ma anche il senso delle cose che rappresentano secondo me la felicità, il dolore, la gioia. In alcuni monologhi l’elemento fantastico si sposa con quello paradossale, surreale, addirittura grottesco della vita. Per esempio, nel libro si può trovare un dialogo tra un uomo e la sua ombra”.
Ci spieghi cos’è, per lei, il teatro e la letteratura?
“Vede, mi capita di svegliarmi la mattina di alzarmi, prendere un foglio bianco e aggredirlo Ho bisogno di cristallizzare, fotografare, imprimere riflessioni, impressioni, stati d’animo, pensieri passati, ricordi che ho vissuto. Volendo poi descrivere queste due dimensioni della scrittura potrei dire che ritengo la letteratura come il racconto della dimensione esistenziale della vita. Il teatro, invece, trovo che rappresenti l’allegoria della vita, fuori dai limiti dei condizionamenti sociali”.
Mi viene in mente quella descrizione del cinema come rappresentazione delle vicende della vita tolti i tempi morti.
“Edoardo De Filippo diceva che nel teatro ‘si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita’. Definizione, a mio dire, molto appropriata”.
Senta, mi piace spesso chiedere ai poeti se la poesia salverà il mondo, e ora vorrei spostare il quesito al teatro. Massimiliano, il teatro può fare qualcosa per salvare il mondo?
“Forse nel libro c‘è un piccolo racconto che potrebbe rispondere a questa domanda. Se le persone dialogassero in maniera sincera riconoscendosi l’uno con l’altro, identificando nei propri vizi le proprie virtù e viceversa, che nel teatro vengono a volte volutamente e giustamente esasperati, probabilmente tutti saremmo meno arroganti e più tolleranti l’uno verso l’altro. Non so se il teatro può salvare il mondo, ma essere umili e contemporaneamente incisivi nel teatro può essere un modo per essere incisivi anche nella vita. Ci credo molto nella funzione sociale del teatro”.
Secondo il suo punto di vista questa esperienza pandemica ci renderà migliori, peggiori o lascerà tutto come prima?
“Spero che ci renda migliori. Che ci faccia riscoprire il senso della sobrietà della vita, non ci porti all’esasperazione, ci faccia capire che l’uomo, come singolo e anche come collettività, ha bisogno di darsi dei tempi di vita che non siano esasperanti. Una società esasperante inaridisce la capacità dello stare insieme. Spero che dopo la pandemia rinasca più forte il bisogno dello stare insieme”.
In questo nuovo atteggiamento verso la vita successivo a questo disastro la letteratura e il teatro che ruolo potrebbero avere?
“Un ruolo determinante, perché sin da quando l’uomo scriveva sulle rupi non avendo la carta, sentiva la necessità del dialogo, della creazione artistica, sia che fossero gesti, mimica, che fossero simboli o espressioni vocali. Come animale sociale l’uomo diventa sempre capace di leggere l’altro quanto più riesce a leggere se stesso. E il teatro è un viatico in questo senso perché aiuta molto questo processo”.
Ringrazio e saluto Massimiliano Barsotti per questa interessante chiacchierata con cui abbiamo “sbrinato” le nostre idee nonostante la calura incombente. Grazie a lui concludo che bisognerebbe stare più a contatto con certi contesti culturali perché da li parte il progresso e il cambiamento positivo per tutti noi. Provare per credere!