– Paolo Lazzari –
Il carattere, si sa, mica te lo puoi scegliere frugando tra le gondole di un supermarket. Dicono che ti capiti e basta e pazienza se poi ti fabbrica grane in serie, perché puoi provare a smussarlo quanto ti pare, ma le vene pomperanno più o meno sempre quell’attitudine lì.
Se scruti la vita (e le opere) di Benvenuto Cellini, ad esempio, hai la rappresentazione sfacciata di quanto sia onesta la premessa formulata in precedenza. Nato nel 1500 esatto, figlio di un costruttore di strumenti musicali, viene comunemente rammentato come uno dei più grandi artefici del manierismo. Orafo formidabile, ma anche scultore. Trattatista e scrittore. Argentiere e musicista senza pretese. Irrequieto, parzialmente irrisolto e, soprattutto, tremendamente irascibile. L’esistenza di Benvenuto è tappezzata di cicloniche risse corredate da fughe a gambe levate. Un dardo impazzito, una scheggia che procura guai e splendore in egual misura, di città in città.
Perché le sue, come direbbero i toscani sanguigni, sono molto più che semplici bischerate. Eppure babbo Giovanni ci aveva provato a incanalarlo nel placido torrente della musica. Niente da fare: il ragazzo ci prova, è anche apparentemente dotato, ma quella roba lì non fa per lui. Le mani sono buone, ma deve usarle in altro modo. Ha soltanto 14 anni e già lavora nella bottega di un artigiano prima e di un orafo poi. Le cose sembrano andare alla grande, ma quel caratterino incendiario è pronto ad erompere da ogni poro, promettendo di mandare tutto a catafascio. A 16 anni la pazienza sfugge già di mano e finisce in un parapiglia insieme al fratello Cecchino. Risultato? Meglio allontanarsi da Firenze, almeno per un po’.
Quel che potrebbe apparire come un dramma, in realtà, si rivela fucina esperenziale. Benvenuto prosegue il suo percorso formativo tra Pisa e Bologna, ma in questo periodo finisce in mezzo ad un’altra rissa ed è costretto a cercare riparo prima a Siena e poi a Roma. Qui, a nemmeno vent’anni, riesce ad infilarsi dentro alla bottega di Giovanni de’ Georgis. Un’esperienza che lo rassicura e lo convince ad aprire la sua bottega, ottenendo un successo sfavillante. Nel frattempo – le lancette recitano 1524 – trova il tempo di partecipare alla difesa di Papa Clemente VII durante il sacco di Roma, contribuendo all’uccisione del comandante Carlo III di Borbone con un chirurgico colpo d’archibugio.
La vita però continua ad assomigliare ad un cespuglio lordo di aculei e splendore. Benvenuto viene chiamato a Mantova, per creare opere alla corte dei Gonzaga, ma poco dopo deve incassare la morte del fratello Cecchino, provocata da un soldato di ventura. Tornato a Roma inizia a dilapidare incarichi al ritmo di un distributore automatico di toniche gelate nel cuore della Death Valley. Ad un certo punto si convince che il motivo sia da imputare alle cattive voci messe sul suo conto dall’orefice Pompeo de’ Capitaneis. La soluzione più logica viene assunta a vena rigorosamente chiusa: il nostro uccide Pompeo, ma continua ad andargli di lusso, perché il nuovo Papa decide di perdonarlo. Il figlio del pontefice, tuttavia, è molto meno misericordioso. Temendo di essere perseguitato per l’ennesima volta, Benvenuto fa ritorno a Firenze, dove viene accolto alla corte di Alessandro de’ Medici. Qui porta avanti la sua attività d’orefice, ma scansare i problemi è praticamente impossibile.
Benvenuto prova a inalare aria nuova, recandosi alla corte del Re di Francia, ma se ne viene via rapidamente per la mancanza di incarichi. Rientrato a Roma, lo sfacelo è pronto ad accompagnarlo alla porta del carcere: accusato di aver compiuto dei furti durante il sacco di Roma, viene rinchiuso dentro Castel Sant’Angelo. Finita qui? Non proprio. Qualche tempo dopo riesce ancora una volta a sfangarla, fuggendo e riparandosi di nuovo in Francia. Si scrive Cellini, si legge “avventuroso”.
Raggiunto finalmente un periodo di relativa quiete, può dedicarsi a sfornare alcuni capolavori autentici. La saliera, che rappresenta il mare e la terra, composta di ebano, oro e smalto. Il busto di Cosimo I in marmo. Perseo che decapita Medusa, il bronzo ancora oggi custodito nella Loggia dei Lanzi di Firenze.
Prima di morire, nel 1571, fa in tempo ad essere accusato e perseguitato per sodomia. Nel frattempo scrive la sua autobiografia: la narrazione, punteggiata da episodi divertenti e da un ritmo irresistibile, spiazza il pubblico dell’epoca.
Basculare perennemente tra miseria e splendore: in pochi avrebbero saputo farlo meglio di Benvenuto.