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La meraviglia di Marconi dimenticata da tutti – Podcast

- Cultura
10 Dicembre 2021

Luca Bocci

Noi toscani ci vantiamo spesso del fatto che dalle nostre parti ogni roccia può raccontare una storia incredibile. Altre regioni del mondo possono avere paesaggi splendidi o capolavori dell’arte, ma nessuna di loro ha la densità incredibile che si trova qui. Anche i tratti più bruttarelli, come la pianura a sud dell’aeroporto di Pisa, hanno fatto la storia del mondo. Nel 1911, nel piccolo villaggio di Coltano, Guglielmo Marconi costruì la prima stazione radio “ultrapotente”, che rimase all’avanguardia della telegrafia senza fili per decenni. ASCOLTA LA STORIA

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Quando l’esercito tedesco in ritirata distrusse le colossali antenne, la stazione non fu ricostruita, finendo per essere dimenticata da tutti. Ora solo l’edificio originale è sopravvissuto, in pessime condizioni peraltro. L’ultimo piano del Comune di Pisa per ristrutturarlo e costruire un museo della radio è fallito qualche anno fa.  Numerosi articoli accademici su questa stazione, come quello recente del professor Filippo Giannetti su una prestigiosa rivista internazionale, fanno sperare che si faccia avanti un nuovo sponsor che riesca a salvare questo pezzo di storia della scienza in Toscana. Ascoltate la storia di questa incredibile stazione e della sua sorella alla Hawaii che ha fatto la stessa fine in questa puntata del nostro podcast. Fateci anche sapere cosa ne pensate, partecipando alla conversazione sui nostri profili social o nei commenti all’articolo:
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La meraviglia di Marconi dimenticata da tutti

Basta parlare qualche minuto con un toscano per rendersi conto di come siamo intimamente convinti di vivere nell’angolo più straordinario su questa palla azzurra che rotola attorno al sole. Inutile provare a ragionare, far notare come ci siamo altre terre altrettanto ricche di arte e bellezze naturali, non riuscirete a farci cambiare idea. Mio padre, buonanima, ogni volta che si trovava di fronte ad un palazzo bellissimo o un panorama mozzafiato, non riusciva a fare a meno di paragonarlo ad una delle nostre meraviglie. Non subito, prima se lo godeva per qualche minuto ma, una volta passato il momento, il paragone scattava, inevitabile. Ebbene sì, siamo profondamente campanilisti, attaccati in maniera quasi morbosa alla nostra terra ed al nostro passato, il che ci rende ogni tanto piuttosto antipatici. Siamo fatti così, orgogliosi e sempre pronti a glorificare la nostra meravigliosa terra. Chi se ne frega dei fatti? La Toscana è la terra più bella del mondo – e chi non lo capisce, peste lo colga!

Logiche da strapaese a parte, alle volte mi sono chiesto se questo comportamento abbia o meno un fondo di verità. Senza scendere nei dettagli, mi sono fatto un’idea a proposito. Quello che rende la Toscana unica ed irripetibile non è la bellezza dei panorami o il valore assoluto dei capolavori che vi si trovano. Palazzi stupendi od opere d’arte incredibili si trovano dappertutto al mondo e certo la Toscana non ha l’esclusiva quando si parla di panorami meravigliosi. Quello che rende la Toscana superiore è la densità di queste bellezze artistiche e naturali. Quando ci raccontiamo la storia che ogni pietra da queste parti può raccontare una storia incredibile o che ogni villaggetto sperduto ha qualcosa di meraviglioso da dire al resto del mondo, stiamo sì esagerando ma anche dicendo una mezza ovvietà. Dovunque guardi puoi trovare qualcosa di speciale, unico – il che è allo stesso tempo un dono e una maledizione. Quando hai così tante cose straordinarie sottomano, come fai a promuoverle tutte come meriterebbero? Pensate alle montagne di capolavori rinchiusi nei magazzini degli Uffizi. In un qualsiasi altro paese non solo le tirerebbero tutte fuori, ma costruirebbero musei su musei per esibirle tutte. Come fai? Ne abbiamo davvero troppe! Mica puoi trasformare l’intero centro di Firenze in un museo! Inevitabile quindi che luoghi di grande tradizione ed opere d’arte splendide finiscano per passare inosservate.

Talvolta però, queste “dimenticanze” lasciano davvero interdette, specialmente quando succedono in zone che hanno molto poco da offrire. Detto tra di noi, pochi tratti della nostra regione sono meno attraenti della piana che si stende per chilometri a sud dell’aeroporto Galileo Galilei di Pisa. Se vi capita di passarci, non potete fare a meno di notare quanto sia profondamente brutta. Non c’è quasi niente, poche case, qualche albero, una sensazione irresistibile di quasi desolazione. Il paesino si chiama Coltano e molti pisani lo conoscono solo per i tanti campi da calcetto ed il fatto che ospiti un campo nomadi, con tutti i problemi di sicurezza e fastidi che porta con sé. Eppure anche qui, in questo paese dimenticabilissimo, si trova un posto incredibile, un luogo che ha fatto la storia del Ventesimo secolo e che è stato dimenticato praticamente da tutti. Da quelle parti, attorno al rudere dilapidato di una costruzione di inizio secolo, fino alla Seconda Guerra Mondiale si trovava la più potente stazione radio al mondo. Di questa stazione, figlia del genio dell’inventore della radio Guglielmo Marconi, non rimane nemmeno una targa. Questa è la storia della meraviglia tecnologica che stupì il mondo e di come sia praticamente svanita nel nulla.

Nonostante da quelle parti la gente viva da un’eternità, la storia sembrava aver dimenticato l’esistenza di Coltano. Di paludi all’epoca ce n’erano fin troppe in giro, perché mai preoccuparsi proprio di quella? Le cose iniziarono a cambiare nel XVI secolo, quando l’interramento del porto di Pisa spinse il governo dei Medici a pensare un primo canale per collegare l’Arno con il nuovo porto, che col tempo sarebbe diventato Livorno. L’arrivo dei Lorena portò nuove opere di bonifica e la nascita di alcuni allevamenti di cavalli di qualità, da usare nella vicina riserva di San Rossore. La passione per la caccia dei nobili locali portò alla crescita della riserva, che giunse ad incorporare questi terreni e gran parte dei boschi sulla costa, abbandonati da tutti e decisamente insalubri. Vittorio Emanuele II di Savoia adorava San Rossore e ci passava parecchio tempo, cosa che da lì a poco si sarebbe rivelata la chiave per il futuro della zona.

Il vero e proprio momento “sliding doors” avvenne qualche anno dopo e coinvolse un altro membro della famiglia reale ed un inventore con il pallino degli affari. 8 settembre 1902, l’incrociatore della Regia Marina “Carlo Alberto” sta riportando il nuovo re d’Italia Vittorio Emanuele III in patria dopo una crociera nel Nord Europa dedicata ad impegni di stato e le classiche public relations. Ad accompagnare il re, una vera e propria celebrità, un giovane inventore bolognese che si era guadagnato le prime pagine dei giornali con i suoi esperimenti sull’uso di quelle che all’epoca venivano chiamate “onde herziane”. Guglielmo Marconi, a soli 28 anni, era stato la vera star sia in Inghilterra all’incoronazione di Re Edoardo VII sia in Russia, a Kronstadt, dove lo zar Nicola II e la sua corte erano stati affascinati dall’invenzione dell’italiano, il telegrafo senza fili. Mentre i Romanov iniziavano a pensare a come la radio li avrebbe aiutati a governare un paese enorme e in preda a violente convulsioni rivoluzionarie, a bordo dell’incrociatore si iniziava a pensare allo sbarco ed al ritorno alla vita di tutti i giorni. A cena con il capitano della nave, Marconi guardò fuori e confessò all’ufficiale un progetto che aveva in mente: costruire la più grande stazione radio al mondo, con strumenti in grado di inviare messaggi oltre l’Atlantico. Il capitano fu incuriosito: perché mai costruirla proprio lì, dove non c’era mai stato niente a parte paludi, zanzare e vipere? Marconi sorrise sornione: proprio perché non c’era niente. La campagna attorno a Coltano era praticamente vuota, perfettamente piana ma allo stesso tempo non troppo distante da Pisa e Livorno, rispettivamente importante nodo ferroviario e porto capace di ospitare grandi navi. Le antenne necessarie per la radio, poi, erano parecchio ingombranti – difficile trovare posti in grado di ospitarle senza provocare reazioni da parte dei vicini. Il bolognese si perse poi nei dettagli tecnici, che l’ufficiale di marina capì a malapena, qualcosa sul fatto che il terreno ancora paludoso riducesse la dispersione delle onde radio. Una cosa però la capì al volo: il fatto che i terreni fossero tutti parte della riserva di caccia di San Rossore non era un caso. Comprensibile, peraltro. Perché mai dannarsi l’anima a convincere dieci o cento piccoli proprietari terrieri quando sarebbe bastato avere l’approvazione del re per dare il via libera al progetto. Un’altra cosa che capì subito fu l’importanza strategica della nuova tecnologia, qualcosa in grado di cambiare per sempre la vita di uomini di mare come lui.

A parte la fine dell’isolamento forzato, la possibilità di mettersi in contatto con i propri cari, mantenersi in contatto con le basi in tutto il mondo e comunicare nuovi ordini istantaneamente sarebbe stato la chiave del futuro della guerra, in mare, in terra e in cielo. Marconi aveva capito che quello era il momento giusto per chiedere l’aiuto del governo nazionale. A parte l’interesse della Marina, le ragioni per avere un canale di comunicazione indipendente con le colonie africane e la crescente comunità di espatriati nelle Americhe erano parecchie. Non ci volle molto per ottenere l’autorizzazione del re, ma quando si trattò di trasformare in realtà il proprio sogno le cose si complicarono non poco. Nonostante il premio Nobel gli avesse portato un’altra ondata di pubblicità, la compagnia fondata da Marconi ebbe bisogno di ben sette anni prima di completare la stazione di Coltano. Il 13 novembre 1910, un messaggio di prova fu inviato da Coltano alla stagione gemella di Grace Bay, in Nova Scotia, sulla costa atlantica del Canada. La notizia fece scalpore ma l’impianto pisano non era ancora perfettamente a punto. Un anno e due giorni dopo, un nuovo messaggio fu inviato, stavolta diretto al comandante della guarnigione italiana a Mogadiscio, una dimostrazione delle capacità militari della radio che arrivò esattamente al momento giusto.

Otto giorni dopo la stazione Marconi fu inaugurata ufficialmente con la presenza non solo del padrone di casa, il re, ma anche di una nutrita commissione militare. Perché mai così tante uniformi in giro? Semplice, l’Italia era di nuovo in guerra, stavolta contro il “malato d’Europa”, quell’Impero Ottomano che dopo aver terrorizzato il Vecchio Continente per secoli, era ormai in evidente stato di disfacimento. L’Italietta liberale colse l’occasione al volo per garantirsi la cosiddetta “terza sponda”, lo sbocco in Nordafrica venduto come la panacea di tutti i mali di un paese che stava già faticando a tenere il passo delle grandi potenze. Il fatto che la Tripolitania si sarebbe rivelata ben diversa dal “suol d’amore” delle canzoni e uno “scatolone di sabbia” dove i coloni italiani si sarebbero spaccati la schiena per decenni era ancora al di là da venire. A Marconi interessava poco. Non era ancora un politico. Aveva una tecnologia da sviluppare, impianti da costruire in mezzo mondo e un successo a Coltano gli avrebbe portato tanti e lucrosi contratti. La stazione pisana era operata da personale della Regia Marina, lo sponsor più sollecito nel sostenere la nuova tecnologia.

I militari avrebbero preferito qualcosa di più semplice da nascondere, ma Marconi era stato chiarissimo: servivano antenne grandi, mai viste prima. A chi passava da quelle parti, la stazione Marconi sembrava venire fuori da un romanzo di Jules Verne. Nel mezzo del nulla erano spuntate due enormi antenne direzionali, una puntata verso il Canada, l’altra verso il Corno d’Africa, a nord e a sud dell’edificio di controllo, l’unica costruzione ad essere sopravvissuta alle ingiurie del tempo. Per supportare le antenne, lunghe 530 metri l’una, furono costruite 16 torri di metallo alte 75 metri, con punte di legno per dissipare l’elettricità statica. Lavorando con onde estremamente lunghe, le più adatte a rimbalzare sulla ionosfera e superare la curvatura della Terra, servivano strutture imponenti e potenze di trasmissione mai viste prima. La notizia fece il giro del mondo, guadagnandosi un posto sulla prima pagina del New York Times, che definì Coltano la “stazione radio più potente al mondo”. Il rapido progresso della tecnologia nel colossale tritacarne della Grande Guerra portò nuovi, cospicui investimenti alla stazione pisana, ancora una volta supportati dalla Regia Marina. Nel 1919 fu approvata la costruzione di una nuova stazione intercontinentale, la prima in Europa in grado di fornire un canale di comunicazione aperto anche ai privati verso il Nord America. Per migliorare il servizio verso il cuore industriale del paese e la capitale, furono potenziate le linee telegrafiche e telefoniche. In un raro esempio di lungimiranza, il comando della Marina non demolì né il centro controllo né le vecchie antenne.

Coltano fu la prima stazione di nuova generazione, un centro integrato in grado di usare sia le onde super lunghe che le onde medie, garantendo un servizio migliore e molte economie di scala. Quando il nuovo centro aprì i battenti nel 1923, la nuova antenna non passò certo inosservata. Al posto delle due antenne direzionali, stavolta bastò una sola, impressionante antenna, un quadrato di 420 metri sostenuto da quattro giganteschi piloni d’acciaio alti 250 metri l’uno. Questi enormi tralicci metallici erano ancorati al terreno da colossali blocchi di cemento ed erano in grado di trasmettere onde radio lunghe 16 chilometri ad un livello di potenza astronomico per l’epoca. L’impatto sulla costa toscana fu altrettanto impressionante. I quattro piloni, alti come quattro Torri Eiffel una sull’altra, dominavano l’orizzonte per chilometri, affascinando i viaggiatori dell’epoca che passavano sulla vicina linea tirrenica. Le migliorie continuarono per tutti gli anni 20 e 30, col progressivo passaggio all’uso delle onde corte, completato nel 1934. Questa fu l’età dell’oro per la stazione Marconi, favorita anche dal passaggio dalla Marina al Ministero della Posta, che la rese la chiave di volta del sistema nazionale di telecomunicazioni. Coltano diventò parte integrale del sistema mondiale che permetteva di rimanere costantemente in contatto con navi e stazioni remote. Marconi, ormai stimatissimo senatore del Regno e nume tutelare delle comunicazioni senza fili, non smise mai di mettere a punto dimostrazioni pubbliche della sua tecnologia, come quella del 13 settembre 1931.

Dal suo ufficio a Palazzo Madama fece partire il comando che accese i riflettori sotto la nuova statua del Cristo Redentore, che da allora domina il Pan di Zucchero e la sottostante città di Rio de Janeiro. Il segnale, ovviamente, passò dalla mega-antenna di Coltano. I record erano utili per far contento il Duce e riempire le prime pagine dei giornali ma all’inventore bolognese interessavano di più per la pubblicità gratuita che garantivano alla sua compagnia. Quando l’aprile successivo gli ingegneri pisani misero a segno un nuovo record mondiale, riuscendo a mantenere aperto un canale di comunicazione con il piroscafo “Conte Rosso”, al largo di Shanghai, ad oltre 10000 miglia dalla costa pisana, non furono solo gli apologeti del regime a festeggiare il successo della tecnologia italiana.

I grandi successi non furono sufficienti ad evitare che, come molte altre eccellenze italiane, la stazione Marconi fosse travolta dall’onda anomala della guerra. Nel 1944, poco prima di ritirarsi a nord della Linea Gotica, reparti di artificieri della Wehrmacht fecero saltare le enormi antenne e gli impianti di trasmissione. Si salvò solo l’edificio di controllo originale, quello che ospitava gli strumenti originali di Marconi, il resto fu devastato, quasi senza lasciare traccia della grande stazione pisana. Alcuni degli strumenti furono recuperati dalla Marina, che li ha conservati in magazzino per decenni. Dal 2017 sono di nuovo esposti al pubblico al Museo Tecnico Navale di La Spezia, in una nuova e moderna sala dedicata alla storia dell’impiego della radio sulle navi della Marina Italiana. La RAI non abbandonò del tutto Coltano, mantenendovi per anni un ripetitore dei propri canali ad ampiezza di modulazione, ma della stazione Marconi non c’è quasi traccia. Non un solo cartello stradale, neanche una misera targa che ricordi il valore storico straordinario di questa installazione.

Gli appassionati locali la conoscono, ovviamente, ma è solo una delle tante storie che passiamo di padre in figlio senza mai prenderci il disturbo di andarla a vedere di persona. D’altro canto, cosa c’è mai da vedere? Una palazzina d’inizio secolo con le finestre sfondate, erbacce ovunque? Un trattamento ben diverso da quello che la città natale di Marconi ha riservato all’inventore, dove un intero paese ha cambiato nome per celebrare il fatto che i primi esperimenti con le onde radio fossero stati fatti da quelle parti. Sul sito di Coltano è calato un silenzio tanto profondo quanto sospetto. Il fatto che da maggio a settembre 1945 le forze alleate vi avessero ospitato migliaia di prigionieri di guerra tedeschi e fascisti non ha certo aiutato. Molti, troppi, nomi famosi erano ansiosi di far dimenticare il fatto che, anche loro, erano stati internati dopo la sconfitta nella guerra civile.

L’elenco certo fa impressione. A parte vari generali rimasti fedeli al Duce, molti protagonisti della cultura e dello spettacolo del Dopoguerra passarono da Coltano, da Dario Fo a Walter Chiari, da Enrico Maria Salerno a Raimondo Vianello, dalla voce di “Tutto il calcio minuto per minuto” Enrico Ameri a Mauro de Mauro, grande firma dell’Ora di Palermo rapita dalla mafia nel 1970 e mai più ritrovato. Agli abitanti del posto la scomparsa delle grandi antenne non dispiacque più di tanto. Tornarono alla normalità di sempre, specialmente a partire dagli anni 70, quando molti terreni furono rimossi dalla tenuta presidenziale di San Rossore e venduti ad agricoltori locali. Da allora stanno provando a reintrodurre prodotti tipici del territorio e farsi spazio nel competitivo mercato degli agriturismo. Molti, a partire dalla figlia di Marconi, Elettra, si sono battuti per anni per fare in modo che la stazione di Coltano sia recuperata e trasformata in un museo dedicato alla storia della telegrafia senza fili. Nel dicembre 2017 le stelle sembravano essersi finalmente allineate. Il Comune di Pisa annunciò con grande enfasi di aver ottenuto dal Demanio un permesso di due anni per ristrutturare l’edificio originale e costruire nuovi edifici grazie al contributo di sponsor privati. Il progetto, approvato nel 2014, sarebbe costato circa due milioni e mezzo di Euro, grazie al finanziamento della compagnia greca Intracom Telecom. Non solo la palazzina Marconi si sarebbe salvata ma i nuovi edifici avrebbero ospitato non solo un’area espositiva ma anche un centro di ricerca sulle tecnologie wireless che avrebbe attirato ricercatori e capitali privati nell’area. Un bel sogno che purtroppo finì malissimo.

Quando Pisa passò a sorpresa al centrodestra, il piano sembrò collassare come un castello di carte. Il passaggio delle consegne fu particolarmente molto complicato e la giunta Conti aveva ben altre gatte da pelare. Nonostante il sindaco abbia più volte affermato che salvare la stazione Marconi è una priorità della sua amministrazione, niente è stato fatto a riguardo. La compagnia greca si è presto defilata ed il permesso di costruzione è scaduto dopo che sono stati completati solo i lavori più urgenti alla palazzina storica. La giunta ha chiesto un’estensione al permesso ma senza un nuovo sponsor privato i piani più ambiziosi di rilancio dovranno aspettare tempi migliori. Il sindaco Conti ha detto che non si indebiterà per salvare un sito storico prima di aver fatto tutto il possibile per migliorare la vita dei cittadini pisani, che hanno problemi molto concreti e decisamente più urgenti. Niente di male, ci mancherebbe, specialmente se vuoi garantirti un nuovo mandato alle amministrative del 2023 ma il sapore in bocca non è dei migliori. Fa una tristezza infinita vedere la stazione languire così, dimenticata da tutti dopo essere stata all’avanguardia per decenni. Non servono grandi antenne per ricevere il suono della desolazione. Quel silenzio imbarazzato vale più di mille parole.

Per fortuna sono ancora molti gli studiosi e gli appassionati della radio che stanno lottando per salvare questo pezzo di storia della scienza in Toscana. Nel 2017 sull’Arno raccontammo di come Filippo Giannetti, professore di telecomunicazioni all’Università di Pisa, avesse riportato l’attenzione del mondo accademico sulla storia della stazione di Coltano. Il suo articolo, pubblicato da una prestigiosa rivista specialistica in lingua inglese, è il frutto di un lavoro certosino d’archivio effettuato dallo studioso pisano. La documentazione sulla stazione è frammentaria se non incompleta, molti testi sono difficili da trovare e diversi articoli pubblicati in passato sono pieni di inesattezze. Giannetti si propose quindi di realizzare “una trattazione che sia completa dal punto di vista storico ed al tempo stesso rigorosa dal punto di vista tecnico e scientifico”.

Le molte fonti originali, rinvenute negli archivi della Marconi Company, ora alla Bodleian Library di Oxford, e molti studi riesumati dalla biblioteca della facoltà di ingegneria pisana, rendono questo studio unico, come il fatto che sia disponibile in inglese, rendendolo accessibile a studiosi in tutto il mondo. Non è la lettura più facile del mondo, ma getta luce sulla strategia di Marconi in Italia e all’estero, di come vedesse Coltano come la chiave per vendere impianti simili nel resto del mondo. Leggendo l’articolo abbiamo scoperto come la stazione pisana avesse una sorella dall’altra parte del pianeta. Nel 1914 gli stessi strumenti furono usati per costruirne un’altra su un’area di 89 acri vista oceano sulla costa nord di Kahuku, isola delle Hawaii. A metà strada tra un famoso campo da golf e un altrettanto noto allevamento di gamberi, la stazione Marconi ha fatto la stessa fine di quella pisano, finendo abbandonata. La stazione di Kahuku faceva parte di quella che gli inglesi chiamarono pomposamente la “British Imperial Chain”, una rete di impianti che avrebbero tenuto unito l’Impero Britannico. Da Londra il segnale andava nel New Jersey, poi a Panama, nelle Hawaii, nelle Filippine, Singapore, India, Africa, Toscana e di nuovo a Londra. Quando fu inaugurata nel 1914, la stazione delle Hawaii era ancora più potente di Coltano. D’altro canto serviva molta più potenza per far arrivare il segnale fino al Giappone, a più di 4200 miglia di distanza.

Se il panorama è sicuramente più affascinante del nulla di Coltano, gli edifici sono decisamente più dimenticabili. A differenza della stazione pisana, gran parte dei fabbricati sono ancora in piedi, visto che nella Seconda Guerra Mondiale l’aeronautica americana usò l’area per farvi transitare aerei cargo. La stazione rimase operativa fino al 1957, quando fu inaugurato un cavo sottomarino in grado di collegare l’arcipelago con la costa ovest degli Stati Uniti. La proprietà è abbandonata dal 2005 ed il proprietario spera di riuscire a trasformarla in un museo. Nel 2013 è stata aggiunta all’elenco dei luoghi storici delle Hawaii ed è una delle due stazioni radio sopravvissute nell’arcipelago, sentinelle silenziose di un tempo nel quale il telegrafo senza fili era la meraviglia del mondo.

Speriamo davvero che le stazioni Marconi a Kahuku e Coltano riescano a tornare allo splendore dell’epoca d’oro. Avremmo davvero tutti bisogno di ricordare quei tempi eroici, quando la tecnologia era ancora in grado di far sentire il mondo più unito, invece di rinchiuderci inesorabilmente in comodi loculi super-connessi dove passare la vita guardando il mondo dai nostri schermi luminosi. Quei tempi probabilmente non torneranno più ma possiamo continuare a sperare. Sognare, almeno per ora, non costa niente. E fa tanto bene all’anima.

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