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La visita di Hitler a Firenze e il gran rifiuto del cardinale Dalla Costa

- Cultura
4 Gennaio 2022

Paolo Lazzari

Firenze, 9 maggio 1938. Se ti trovi coinvolto in questa piega della storia per qualche motivo, devi sapere che probabilmente la fortuna non è tua vicina di casa. Ad ogni modo ci sei, questo è il destino che ti è toccato in dote. Sfili per le vie del centro e scruti la locandina de “La Nazione”. Il giornale non ha dubbi: “Firenze insuperabile in ardore inneggia al capo della Germania amica e al Duce”. Che ti dicevo? Il clima rischia di arroventarsi da un momento all’altro. Le facce dei passanti raccontano un portamento dignitoso, anche se rigato da una paura latente.

Una tra le pagine più tetre della città sta per essere messa nero su bianco. Il Fuhrer arriva accolto da ali di folla festante, assieme ad un nutrito manipolo di gerarchi del Reich. Il culmine, questo, di una visita in Italia che diventa punto di non ritorno nell’alleanza con Mussolini. Di lì a poco, la storia ce lo ricorda, il Duce avrebbe infatti sottoscritto le leggi razziali a due passi da Pisa, a San Rossore.

La scena è tutt’altro che edificante. L’intera città è tappezzata di drappi, labari, bandiere: il vestito migliore, indossato per accogliere e celebrare le camicie nere e i nazisti. I simboli della Germania hitleriana punteggiano via de’ Cerretani e si mescolano con quelli delle antiche corporazioni e con gli arazzi gentilizi, producendo un mix che stride e fa male agli occhi. Se sei di queste parti, sai bene che il Comune sta preparando questi “festeggiamenti” da oltre sei mesi. Ad alcuni cittadini, magari ci sei anche te tra questi, ha pure chiesto di togliere l’intonaco dalle facciate di casa, per restituire alla città un sapore medievale, distante dalle concessioni libertarie del Rinascimento.

Primo pomeriggio. A Santa Maria Novella giunge un treno da Roma. Ad attendere Hitler, al binario 16, ci sono Mussolini, Ciano, Bottai, Starace e molti funzionari fascisti. Sole alto nel cielo, giornata tersa. Fuori dalla stazione, trecentocinquantamila persone provenienti da tutte le province circostanti. Adesso li vedi anche te: i due capi di Stato sfilano per le vie del centro a bordo di una vettura che procede lenta, la gente intorno li acclama, la propaganda lavora fino al midollo convinzioni di burro. Le tappe sono segnate: Palazzo Pitti – ultima residenza di Anna Maria Luisa de’ Medici, tanto per incrementare lo spregio – il Sacrario dei Martiri di Santa Croce, piazzale Michelangelo, il Giardino di Boboli. Cos’è tutto questo trambusto, dici? Sono le centinaia di figuranti che stanno accogliendo Hitler e Mussolini a porta Romana, mettendo in scena gli antichi giochi fiorentini. Quindi ecco il passaggio agli Uffizi e, in serata, l’approdo a Palazzo Vecchio. Da qui i due dittatori si affacciano per salutare la folla in tripudio.

Una giornata trionfale, guastata almeno in parte dal grande dissenso espresso dalla massima carica ecclesiastica cittadina, il cardinale Elia Dalla Costa. Pochi mesi prima il religioso aveva scritto una lettera pastorale all’interno della quale dichiarava “contrarie alla dottrina della chiesa le teorie che a Dio sostituiscono la stirpe, lo Stato o qualsiasi ideologia politica”. Dalle parole ai fatti, Dalla Costa fece serrare porte e finestre dell’Arcivescovado e stabilì che quel giorno tutte le chiese rimanessero chiuse, costringendo gli organizzatori a cambiare almeno in parte il programma del corteo. Un gesto, se rammenti, per nulla isolato: il cardinale aveva seguito pedissequamente la posizione della Santa Sede, dal momento che il Papa aveva fatto chiudere i musei Vaticani e si era ritirato a Castel Gandolfo durante l’escursione romana di Hitler.

L’impegno di Dalla Costa si rivelerà tuttavia ancora superiore. La sua coerenza e il suo coraggio si manifesteranno in tutta la loro ampiezza nei mesi successivi, durante la persecuzione degli ebrei. Il cardinale fiorentino diventerà uno dei massimi coordinatori della rete di assistenza che cercò di salvare dalla deportazione migliaia di persone. Un impegno ed un’umanità che gli varranno il titolo di “Giusto fra le Nazioni” da parte del Museo dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme.

 

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