– Paolo Lazzari –
Settant’anni e non sentirli neanche un po’. La carta d’identità magari è leggermente sgualcita, ma nel caso specifico va benissimo così, perché i Jeans sono fatti per essere indossati, vissuti, consumati. Probabilmente quando Francesco Bacci e sua moglie Giuliana partoriscono l’idea – era l’ormai sfumato e lontanissimo 1952 – non possono immaginare che il marchio Roy Roger’s incasserà un successo planetario.
Eppure è così che sono andate le cose: una ininterrotta storia toscana che oggi entra figurativamente nella sua “terza età”. L’obiettivo è da subito limpido: ad un certo punto la Sevenbell, modesta azienda manifatturiera fiorentina, si mette in testa di fare il primo blue jeans italiano prendendo in prestito qualche spunto dal mercato a stelle e strisce. Così Bacci alza il telefono: la voce scorre fluida lungo il cavo posizionato sul fondale oceanico. Dall’altro lato della cornetta c’è un dirigente della Cone Mills Corporation di New York. Alla fine della chiamata la piccola realtà toscana è riuscita a stringere una partnership con il colosso americano per la fornitura costante di denim (tessuto di jeans). Bacci si reca personalmente nella Grande Mela per mettere tutto nero su bianco e quando torna sventola l’accordo sotto il naso della moglie: “Lo abbiamo fatto davvero, Giuliana!”
Dagli USA i due coniugi attingono anche per il nome del jeans: Roy Roger’s è infatti l’identità del sarto che alla fine dell’Ottocento realizzava le tute da lavoro per i contadini californiani. Da quel momento in poi la storia inforca una direzione univoca verso il successo. Un’epopea toscana che oggi è approdata alla terza generazione, sotto la guida di Patrizia Biondi (figlia del fondatore e attuale presidente), affiancata dai figli Niccolò (amministratore unico) e Guido (direttore creativo). Per festeggiare i 70 anni del marchio è appena uscita la “Anniversary collection“: 30 capi, tra jeans, camicie, giubbotti, salopette e gilet, con l’obiettivo di rievocare il percorso del brand (focus particolare dagli anni ’50 agli ’80, collezione in mostra a Pitti Uomo).
Una proposta visiva, quest’ultima, capace di ripercorrere un largo pezzo di storia toscana e fiorentina. Ci sono i jeans con la zip sul retro, ispirati all’esigenza dei lavoratori di custodire le paghe appena ricevute; spiccano i gilet composti con patch differenti, per evidenziare le potenzialità infinite del denim; catturano lo sguardo le camicie punteggiate da bottoni a pressione, altro omaggio alla working class più autentica. Il tutto, con un occhio sempre incollato sul reused, per rendere più sostenibile il ciclo di produzione: un mantra che ha sempre contrassegnato l’azienda, fin da quel lontanissimo 1952.