– Roberto Riviello –
Chi è stato a Figline Valdarno ha certamente visto piazza Marsilio Ficino; una delle più belle piazze della Toscana, con la superba Collegiata di Santa Maria da una parte e quello che un tempo fu lo Spedale di Sant’Annunziata dall’altra. All’umanista e filosofo neoplatonico è anche intitolato l’antico liceo classico paritario (da qualche anno anche liceo scientifico), situato presso il Convento francescano da cui ebbe origine. E senza dimenticare la Biblioteca comunale Marsilio Ficino.
La ragione di tutto ciò è facilmente comprensibile: Ficino nacque proprio a Figline nel 1433, anche se poi trascorse la gran parte della sua esistenza a Firenze, dove divenne l’intellettuale più importante della corte medicea che, grazie a Cosimo prima e a Lorenzo poi, favorì il nascere di quella straordinaria stagione artistica e culturale denominata Rinascimento.
Non è dunque un caso che a Figline si continui a studiare e diffondere l’Umanesimo, soprattutto grazie al Festival della Cultura umanistica che quest’anno – ce lo auguriamo – dovrebbe ritornare nella sua forma originaria pre-Covid, in una tensostruttura collocata nella piazza Marsilio Ficino come quella che tre anni fa permise a tantissimi studenti e cittadini di ascoltare studiosi di altissimo livello.
Come anticipo della prossima edizione del Festival, gli organizzatori hanno proposto una interessante conferenza sulle ultime opere di Ficino (De vita coelitus comparanda e I Pianeti) tenuta dal professor Carmelo Mezzasalma e dalla professoressa Giusy Frisina, a conclusione di un convegno su Ecologia e Sviluppo sostenibile; conferenza che ha trovato ospitalità nell’Aula Magna del liceo ed ha visto presenti studenti e genitori.
Ma per quale motivo una “lectio” su Ficino a conclusione di un convegno sull’ecologia? Non certo perché si possa considerare il filosofo figlinese un anticipatore dell’ambientalismo dei nostri giorni; e correttamente i due docenti non ne hanno proposto questa interpretazione. Per rispondere alla domanda bisogna tenere presente che Marsilio Ficino, prima ancora di essere uno studioso di testi antichi, filologo e traduttore di Platone, era un medico: suo padre Diotifeci, medico personale di Cosimo il Vecchio, lo aveva introdotto agli studi di medicina, o meglio di quella che era la medicina del ‘400 che si collocava a metà strada tra scienze naturalistiche, astrologia e magia.
Ebbene, questa formazione, da cui discendeva un interesse per l’osservazione degli astri e di tutti i fenomeni naturali, restò poi una costante del suo pensiero; e ben si collegava a tutta quella nuova cultura, i cui esponenti in campo artistico (pensiamo a un altro celebre valdarnese come Masaccio) o in campo tcnico-scientifico (Leonardo da Vinci) iniziavano a osservare e studiare la realtà con occhi completamente diversi dai loro predecessori medievali.
Ma la Natura per Ficino, come per gli altri umanisti e filosofi del ‘400, è sempre impregnata di spirito, perché opera della creazione di Dio; il quale è sia trascendente, in quanto creatore dell’universo, che immanente perché presente in tutte le cose, piante, astri, animali, esseri umani. E l’anima interiore (il microcosmo) di ciascun individuo si connette direttamente con l’anima dell’universo (il macrocosmo).
Si tratta di una visone neoplatonica e al tempo stesso cristiana dell’uomo e dell’universo: una caratteristica della filosofia di Marsilio Ficino – come anche del suo amico Pico della Mirandola – che impedisce di poterlo “arruolare” tra gli ambientalisti dei nostri giorni, per i quali l’ambiente diventa spesso un oggetto di vera e propria venerazione. E questa è una forma di neopaganesimo con la quale il Ficino non si troverebbe certamente d’accordo.
L’attualità del suo pensiero, allora, sta proprio in questo: nel ricordare ai giovani di oggi, i quali giustamente ritengono la questione ambientale di fondamentale importanza, che la Natura non è soltanto l’insieme dei fenomeni osservabili e scientificamente classificabili; ma il frutto della creazione e dell’amore di Dio per le sue creature.
Roberto Riviello