– Renato Sacchelli –
Un giovane lupo, un esemplare stupendo di quella razza di animali destinati a scomparire dal pianeta Terra, se non verranno emanate e osservate severe leggi in virtù delle quali sarà possibile salvaguardare la loro esistenza, da un po’ di tempo in qua desiderava allontanarsi dal branco per andare a vivere in luoghi più accessibili e belli. Benché fosse ancora giovane, già era stanco della difficile vita che conduceva nei territori aspri e selvaggi in cui era nato e cresciuto. Immaginava nuovi posti ricchi di selvaggina, tanto da vedersi in sogno protagonista di eccezionali battute di caccia.
Nei nuovi orizzonti pensava di poter convivere tranquillamente con l’uomo, nei confronti del quale, al contrario di altri lupi, non avvertiva alcun senso di paura, anche se gli era stato detto più volte che doveva considerare proprio l’uomo quale suo peggiore nemico. Da qualche settimana gli appariva anche più dura da sopportare la ferrea disciplina imposta dal capo branco che tutti, tranne lui, forse per gelosia, ammiravano per le sue qualità fisiche, l’intelligenza e l’attitudine al comando sempre dimostrata in ogni occasione. Più i giorni passavano e più il desiderio di andarsene aumentava.
Una mattina, dopo una notte piena di stelle trascorsa nei boschi dove, per ore e ore, il silenzio era stato rotto dall’ululato dei lupi a caccia di prede, prima di attraversare un costone roccioso per ricongiungersi al branco che lo aveva distanziato, improvvisamente ritornò sui suoi passi. Raggiunto uno spiazzo posò lo sguardo sul fondo della valle coperto da una leggera coltre di nebbia, mentre alle sue spalle il sole spuntava dalle cime delle montagne ancora innevate.
In preda all’emozione per la decisione che stava per prendere, alzò con fierezza il muso e, dopo aver poggiato saldamente le zampe per terra, con un balzo degno di un giaguaro si lanciò di corsa giù lungo il pendio. Finalmente si sentiva felice, era bello da osservare. Ogni tanto ruzzolava volutamente laddove sull’erba alta erano cresciuti delicati fiori di bosco. Faceva delle capriole, poi si rialzava e proseguiva la sua possente corsa, mentre colombacci ed altri uccelli spaventati si alzavano in volo dai rami degli alberi sui quali si erano posati.
Attraversò zig zagando, come soltanto un campione di slalom sa fare, un bosco fitto di abeti. Si fermò soltanto quando arrivò a fondovalle, davanti al fiume, in un punto quasi nascosto da una folta vegetazione. Alle orecchie del lupo giungeva solo il cinguettio degli uccelli e il leggero fruscio dell’acqua limpida, che dolcemente scorreva sul letto ghiaioso. “Che meraviglia… che freschezza… è un incanto”, pensò il lupo dopo essersi dissetato. Poi, ancora tutto sudato, si tuffò nell’acqua, facendo allontanare in un baleno i numerosi pesci che stavano sul fondale, fra i sassi luccicanti.
Dopo una vigorosa nuotata si lasciò spingere dalla corrente fino al tratto in cui le rocce emergenti riducevano l’ampiezza del fiume e dove un forte e continuo gorgoglio accompagnava il passaggio dell’acqua divenuta spumeggiante. Ritornato sulla riva, si sdraiò su un tappeto d’erba e subito si addormentò, sotto un cielo che si colorava sempre più di azzurro.
Dormì per alcune ore e quando si svegliò sentì di avere un forte appetito. Istintivamente aprì la bocca piena di grossi e aguzzi denti, che già assaporavano fresca carne di selvaggina. Finalmente era giunto il momento tanto atteso, Rimessosi a camminare s’inoltrò, a passo lento, nei campi circostanti. Percorsi alcuni chilometri e superata una pioppeta, vide davanti a sé un gregge di pecore. Sotto l’ombra di una pianta il pastore le sorvegliava, avvalendosi di un grosso cane; appoggiato al tronco dell’albero, a portata di mano, l’uomo teneva un fucile da caccia a due canne.
Appena vide il lupo il cane si mise ad abbaiare facendo scappare le pecore in tutte le direzioni. Solo un agnellino, nato da poche ore, e quindi ancora malfermo sulle zampine, rimase indietro e su di lui il lupo si avventò. Ma il pastore che subito aveva imbracciato il fucile quando il cane si era accorto dell’arrivo del lupo, prima che quest’ultimo raggiungesse la piccola preda, prese la mira e sparo due colpi , uno dietro l’altro. La rosa dei pallini di piombo raggiunse il lupo all’altezza della coscia destra fino a spappolargliela. Il buco scavato nella carne dalle fucilate era grosso quanto il pugno di un uomo.
Dalla gola del lupo, in preda ad un dolore insopportabile, uscì un ululato spaventoso che si diffuse per tutta la valle fino ad arrivare alle orecchie dei lupi del suo branco, i quali, al riparo da ogni pericolo, stavano riposando in una tana, nascosta sotto alte piante di scopa e di rovi, difficile da localizzare. Sugli occhi dei più piccoli spuntarono alcune lacrime.
Per un momento il lupo credette di crollare per terra, ma miracolosamente ritrovò l’energia per girarsi e fuggire, nonostante avesse una zampa ciondoloni. Mentre correva disperato, trovò anche il tempo per una immediata riflessione. “Ma era proprio vero. Qui gli uomini ci uccidono solo perché diamo la caccia ad altri animali di cui abbiamo bisogno per alimentarci e senza i quali noi non potremmo vivere”.
Correndo su tre tre zampe, con la forza che traeva dallo spirito di conservazione, innato in tutti gli esseri viventi, riuscì subito a portarsi fuori dal tiro del fucile del pastore, il quale, tutto felice e contento per essere riuscito a salvare sia le pecore che l’agnellino, desistette dall’inseguirlo.
Il lupo in pochi secondi era stato ridotto in condizioni pietose. Raggiunto faticosamente il fiume, dove poco prima aveva sostato gioiosamente quando era sceso dalla montagna, passò lungamente la lingua sulla ferita, provando con ciò un temporaneo sollievo. Prima di riprendere il cammino s’immerse nell’acqua sperando che la rinfrescata gli facesse bene. Nel frattempo decise di tornare a vivere nel branco. Non aveva altra scelta, anche se non era sicuro di farcela con la fame addosso e la ferita che continuava a farlo soffrire. Mentre risaliva la montagna, infreddolito, febbricitante, zoppo e con la coda fra le zampe posteriori, vide, vicino al bosco, fra alcune piane recintate con paletti di legno, sui quali era stato inchiodato del filo spinato, una piccola casa che non aveva notato quando baldanzosamente era sceso a valle. Intorno all’edificio , tutto dipinto di bianco e con tanti vasi di fiori messi sui davanzali delle finestre, c’erano numerose galline, e pulcini, questi ultimi guidati dalle loro chiocce. Non mancavano alcuni grossi galli.
Il lupo alla vista di tutto quel pollame sentì crescere la fame che aveva in corpo. Pensò che per acquisire nuove energie avrebbe dovuto necessariamente sfamarsi, altrimenti sarebbe morto lungo la via. Senza valutare più di tanto i rischi a cui si esponeva, volle approfittare della buona occasione che gli si era presentata. Raggiunto il recinto si distese per terra e, strisciando lentamente sul ventre, riuscì a passare dall’altra parte, senza poter evitare di lasciare attaccati al filo ciuffi del suo pelo lungo e ispido di color grigio bruniccio.
Al suo apparire le galline svolazzarono in qua e là, mentre le chiocce, sbattendo disperatamente le ali, incitavano i pulcini a correre e a scappare. Si creò un gran baccano, che richiamò fuori l’anziana contadina che si trovava all’interno della casa, intenta a preparare il pranzo. La donna, alla vista del lupo, anche se si accorse che l’animale era ferito, spaventata si mise a chiamare a voce alta il figlio trentenne che viveva con lei e che in quel momento si trovava nel bosco, vicino alla casa, a tagliare della legna secca: “ Aiuto…aiuto… vieni Giovannino, il lupo mangia le galline… aiuto…”.
Udite le grida della madre, il figlio abbandonò il fascio di legna che stava per caricarsi sulle spalle e con l’accetta in mano si diresse precipitosamente verso casa, per prendere il fucile da caccia che teneva attaccato al lato del camino. Si trattava di una vecchia arma a ripetizione che gli aveva lasciato il fratello più grande, quando, tanti anni prima, appena divenuto maggiorenne si era recato a lavorare in una fabbrica di orologi in Svizzera, dove poi si era sposato e stabilito definitivamente. Quando staccò il fucile dal chiodo, nella mente di Giovannino, seppure in preda ad una comprensibile agitazione, riaffiorarono i ricordi dei difficili tempi vissuti da ragazzo. Il reddito che derivava dal terreno era scarso e i bisogni in casa erano tanti. Non riuscivano a tirare avanti nemmeno con la pensione di guerra che percepiva la madre per la morte del marito, avvenuta nel 1944, in un campo di concentramento in Germania, dove era stato deportato dai Tedeschi, quando venne fatto prigioniero in Albania, con altri commilitoni, nel settembre del 1943, dopo l’armistizio.
Intanto il lupo, preoccupato per il subbuglio che il suo intervento aveva procurato, dopo aver ingoiato un galletto e con ancora in bocca due pulcini, ritornò di corsa nel bosco ferendosi ulteriormente nel passare, questa volta senza alcuna cautela, sotto il filo spinato. La sua azione, con tutto il putiferio che aveva scatenato, gli era valsa a rimediare soltanto un modesto antipasto. Quando Giovannino uscì di casa col fucile in mano, il lupo era già scomparso.
“Vai, vai Giovannino, inseguilo, corri, uccidilo, altrimenti ci rovina se ritorna, e mangia i nostri polli”, continuava a ripetere la madre.
E Giovannino, incitato dalla mamma, s’inoltrò nel bosco col fucile spianato, procedendo cautamente fra i cespugli alla ricerca delle tracce del lupo. Mentre si accingeva ad attraversare un piccolo canale, da una siepe si alzarono in volo alcuni merli chioccolando. Proseguendo le ricerche entrò in una selva dove, in mezzo ad alte felci, vide una massa pelosa apparentemente immobile: era il lupo.
L’animale ansimava debolmente, aveva la bava alla bocca e stava malissimo. Il suo sguardo era tutt’altro che feroce, appariva docile e implorante. Quasi sembrava che volesse dire: “Aiutami uomo, ho bisogno di te. Non mi uccidere!”
Ma Giovannino non era in condizioni di capire il messaggio lanciatogli con gli occhi dal lupo. Pensava ancora ai polli che l’animale gli avrebbe potuto mangiare. In quello stato d’animo era assurdo ritenere che potesse comprendere le ragioni dell’esistenza dei lupi e degli altri animali selvaggi.
Infatti non si abbandonò ad alcuna considerazione. Puntò l’arma e premette il grilletto. Il colpo sparato raggiunse il muso del lupo. Il corpo dell’animale si contorse, come se fosse stato attraversato da una scarica di corrente elettrica ad alta tensione. Incredibilmente sembrò che stesse per rialzarsi. Il muso del lupo, specie da sempre espressione di forza e fierezza, era ridotto ad una maschera di sangue, solo i denti erano rimasti intatti.
Morì sul colpo, povero lupo. Negli agognati nuovi orizzonti in cui gioiosamente si era inoltrato, aveva immediatamente conosciuto l’uomo.
“Mamma l’ho ucciso!”, gridò fiero di sé Giovannino. “Bravo, bravo”, rispose la madre, che nel frattempo l’aveva raggiunto nella selva. Ho sempre saputo di avere un figlio in gamba, anzi due figli..”. aggiunse orgogliosa la donna, mentre Giovannino si dava da fare per trascinare la carcassa dell’animale davanti alla sua casa, dove più tardi molti valligiani si recarono per vederlo, quando si sparse la voce della sua uccisione.
A memoria d’uomo nessuno ricordava un evento del genere. Anche il pastore andò a vedere l’animale morto. Tutti parlavano delle pecore, agnelli e vitelli mangiati dai branchi di lupi affamati e del pericolo che lo stesso uomo poteva correre se li avesse incontrati, senza avere con sé il fucile. Un contadino, al quale le volpi avevano mangiato alcune galline, raccontò di essere riuscito, in poche notti, appostandosi vicino al pollaio con un gallina, alla cui zampa aveva legato un filo allacciato all’esterno del recinto, ad uccidere a fucilate ben otto esemplari di quella specie di fauna, che viveva numerosa nella zona. Nessuno accennò al nutrimento di cui i lupi e gli altri animali selvaggi hanno bisogno per sopravvivere ed il loro diritto alla vita in un ambiente protetto.
Ma a chi poteva interessare l’uccisione di un lupo, quando a causa dell’uso della droga muoiono tra inenarrabili sofferenze, tanti giovani, alla ricerca disperata di effimeri paradisi artificiali, per non parlare dei loro sfortunati genitori, colpiti anche loro da un dolore senza fine? Chi può soffrire per la morte di un lupo quando in tante parti del mondo ci sono milioni di esseri umani che muoiono di fame, bambini scarni e denutriti, con il pancino grosso e deforme. Il discorso sarebbe ancora lungo… Fortunatamente esistono molti uomini che amano e proteggono la natura e anche gli animali e ci è di conforto sapere che ancora ne nasceranno perché è di loro che il nostro mondo ha bisogno.
Renato Sacchelli
Foto: Pixabay