L’argomento forse non meriterebbe molta considerazione se non fosse per il contorno di bugie storiche. Il 25 luglio Unicoopfirenze e Anpi invitano a Barberino a mangiare la “pastasciutta antifascista”. Il tutto in ricordo della pastasciutta offerta dai fratelli Cervi, una famiglia di agricoltori del reggiano, per festeggiare la caduta del fascismo. L’episodio storico non si discute e nemmeno il perpetrarne il ricordo, quello che lascia perplessi è il voler arruolare la pastasciutta tra i cibi antifascisti. Arruolamento legato ad un’affermazione di Filippo Tommaso Marinetti (1874-1944) che nel volumetto, la Cucina futurista (1932) scritto assieme a Fillìa (Luigi Colombo) auspicava “l’abolizione della pastasciutta, assurda religione italiana” (pag. 28) che darebbe “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo” e numerose altre considerazioni spregiative supportate da citazioni di medici e menù fantasiosamente futuristi.
Ma se andiamo a vedere i libri di ricette del ventennio troviamo ampiamente descritte ricette dedicate alla pastasciutta in tutte le sue presentazioni, fra tutti il volume La cucina autarchica edito nel 1942 e scritto dalla professoressa Elisabetta Randi di Firenze e dedicato “alle donne d’Italia, perché dall’arte difficile e delicata della cucina, sappiano trarre elementi di benessere per la propria famiglia e per la Patria”.
Da pag. 132 a pag. 139 troviamo ricette di “paste asciutte”: spaghetti, maccheroni, pappardelle, gnocchi e niente che lasci pensare a “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo” come scriveva Marinetti trascinando nella sua furia distruttiva del passato anche la pastasciutta alimento importante, economico e alla portata di tutti e certamente ben gradito, oltre che facile da preparare, dagli abitanti della Bassa emiliana.
Andrea Bartelloni