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Dagli alberi di Venturina all’Accademia di Belle Arti. Scopriamo la pittura di Chiara Nannelli

- Cultura
21 Gennaio 2023

Roberto Riviello

È la nipote di Giovanni Nannelli, pittore e architetto nato a San Miniato fiorentino nel 1898 e morto a Genova nel 1982; e da lui ha ereditato l’amore per la pittura e in particolare per la pittura di paesaggio: quella che nella tradizione dell’impressionismo veniva chiamata “en plein air”. Una tradizione di famiglia, dunque, ma anche un debito di riconoscenza che Chiara Nannelli (classe 1998) ha voluto onorare facendo diventare lo zio artista l’argomento
della sua testi di laurea all’Accademia di Belle Arti di Firenze.

La incontro nella bella piazza di Figline Valdarno, dove lei vive, in un pomeriggio gelido ma soleggiato di questi ultimi giorni di gennaio che, finalmente, ci hanno riportato l’inverno vero e proprio. Entriamo in un bar e beviamo un caffè caldo, ma so già che la nostra conversazione non potrà durare più di un’ora, perché alle 16 inizia il suo turno nella libreria “La parola” a due passi dalla piazza.

Il tempo di zuccherare e sorseggiare il caffè, e poi lei tira fuori dalla tasca del suo eskimo verde (a vederlo mi viene in mente che negli anni Settanta ne avevo uno anch’io!) il catalogo delle sue opere. “Opere in vendita” precisa, quasi a voler mettere subito le cose in chiaro; e cioè che la pittura per lei non è un passatempo giovanile, ma è la vera passione della sua vita e diventerà una professione a tutti gli effetti.

Io le avevo già viste queste opere sul suo profilo Instagram, perché è sui social che i giovani artisti dei nostri giorni iniziano a farsi conoscere, prima ancora di trovare un gallerista che si interessi a loro e sia pronto a sostenerli. E mi aveva colpito la sua pittura che sembra provenire da quell’antica tradizione, francese, tedesca ma anche italiana, che è la pittura di paesaggio interpretata secondo la visione del Romanticismo.

“Chiudi l’occhio fisico per vedere con l’occhio dello spirito”, diceva il grande pittore romantico Caspar David Friedrich, per il quale l’opera pittorica era una superficie in cui far emergere la propria sensibilità e il proprio mondo interiore; ed i suoi alberi frondosi, i cespugli, le rocce, le nuvole, le onde del mare sempre in tempesta stavano a rappresentare una ricerca continua dell’infinito più che la realtà oggettiva.

A conferma della sua vocazione paesaggistica, in lei poi rielaborata con lo stile e gli strumenti dell’arte contemporanea (soprattutto astrattismo, fotografia e digitalizzazione), Chiara spiega che il luogo in cui ha scoperto il suo talento è stata la casa dei nonni a Venturina Terme (Campiglia Marittima), dove trascorreva le estati da bambina. È stato lì che ha iniziato a disegnare gli alberi tipici di quella campagna, e a trovare nell’arte il modo di entrare in sintonia con la natura.

E poi sono arrivati gli anni fondamentali dell’Accademia di Belle Arti a Firenze, quando ebbe la fortuna di incontrare Adriano Bimbi, scultore ma anche pedagogo, maestro di tanti giovani artisti. Chiara ricorda, senza celare la nostalgia, gli incontri pomeridiani, durante i quali lo scultore riuniva i suoi allievi per delle libere conversazioni sull’arte, l’estetica, la poesia, la filosofia; e così facendo ne plasmava il carattere e accresceva in loro il desiderio di dedicarsi alla ricerca della bellezza.

Chiara Nannelli ha iniziato a dipingere con gli acquerelli; e, col passare del tempo, i suoi paesaggi sono diventati onirici, come perennemente immersi in una nebbiolina liquida e trasparente che smaterializza gli oggetti e ne confonde le sagome, incanta l’osservatore e lo trasporta verso un altrove misterioso. E anche quando poi ha usato i colori ad olio, lei ha mantenuto quella leggerezza, quella liquidità e quella grazia che sono i segni, personalissimi, della sua pittura.

Autoritratto di Giovanni Nannelli

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