Mercoledì 1° marzo, ore 10. Sono sul trenino che parte dalla stazione di Santa Maria Novella, poi risale la collina fiesolana e continua a salire fino al confine appenninico della Toscana, toccando Borgo san Lorenzo, San Piero a Sieve, Marradi, per poi finire la sua “corsa” a Faenza, in terra di Romagna.
Io scendo a Marradi, il paese natale del poeta Dino Campana, dove sta abbondantemente nevicando e tutte le montagne che lo circondano sono completamente bianche. Ringrazio mentalmente la app del meteo che mi aveva avvisato già da un paio di giorni, sconsigliandomi di venire in macchina, e mi dirigo verso l’antico teatro degli Animosi, dove il Centro Studi Campaniano e l’Istituto comprensivo “Dino Campana” hanno organizzato una manifestazione per celebrare il 91° anniversario dalla scomparsa del poeta.
Quando entro nel teatro gli studenti e i loro insegnanti stanno vedendo “Il più lungo giorno“, il film che racconta la vita di Campana e che venne girato una ventina di anni fa. Vedo le ultime scene: il poeta, interpretato dal bravissimo Gianni Cavina, recentemente scomparso, si trova ormai recluso nel manicomio di Castel Pulci (dove morirà il primo marzo 1932) e sta disegnando per terra la pianta della casa di Marradi nella quale nacque e trascorse la giovinezza.
E mentre i suoi pensieri confusamente tornano al passato, riceve la visita del fratello Manlio che nella realtà fu una persona completamente diversa da lui, al punto da diventare direttore di banca. Manlio, nel film, era interpretato non da un attore professionista ma da Enzo Brogi, che allora era il giovane e amatissimo sindaco di Cavriglia, in provincia di Arezzo, dove vennero girate la maggior parte delle scene, coinvolgendo molti cittadini del paese che si prestarono a fare le comparse e, in alcuni casi, a interpretare veri e propri ruoli.
Finito il film, che i ragazzini applaudono calorosamente nonostante sia una storia drammatica e non certo facile a capirsi, una assai disinvolta insegnante, che fa da presentatrice, invita sul palco alcuni ragazzini di scuola elementare e di scuola media a recitare i versi di Campana, tratti dalla sua unica e ormai celeberrima raccolta “Canti Orfici“. E qui capisco veramente di essere a Marradi: perché loro non si limitano a una recitazione scolastica delle poesie: loro interpretano, modulano la voce, usano gesti efficaci, si capisce che quei versi li hanno letti col cuore e li sentono profondamente. Per quei bambini e ragazzini di Marradi la poesia di Campana è diventata quasi un elemento naturale della loro formazione, al pari delle montagne dell’Appennino e del fiume Lamone che hanno visto da sempre.
Che emozione sentire risuonare nel teatro degli Animosi, che Campana certamente frequentò, i versi di ‘La petite promenade du poète’:
“Me ne vado per le strade/ Strette oscure e misteriose/ Vedo dietro le vetrate/ Affacciarsi Gemme e Rose./ Dalle scale misteriose/ C’è chi scende brancolando/ Dietro i vetri rilucenti/ Stan le ciane commentando… Già le case son più rade/ E cammina e via cammina/ Trovo l’erba: mi ci stendo/ A conciarmi come un cane/ Da lontano un ubriaco/ Canta amore alle persiane”.
Oppure di ‘Barche amorrate’:
“Le vele le vele le vele/ Che schioccano e frustano al ventro/ Che gonfia di vane sequele/ Le vele le vele le vele!/ Che tesson e tesson: lamento/ Volubil che l’onda che ammoraza/ Ne l’onda volubile smorza/ Ne l’ultimo schianto crudele/ Le vele le vele le vele”.
E, dopo le poesie, la presidente del Centro studi Mirna Gentilini consegna le magliette con il volto del poeta e i suoi versi stampati, come premio per aver partecipato a un contest che riguarda il film appena visto. La mattinata campaniana si conclude alla presenza del regista, che racconta un po’ la storia del film e parla delle sue prime venute a Marradi, quando visitò la casa della famiglia Campana e i luoghi frequentati dal poeta.
I ragazzini lo subissano di domande e qualcuno lo rimprovera per aver girato solo poche scene nei dintorni di Marradi. Le mani continuano ad alzarsi per fare domande che sono tutte pertinenti e acute. Lui risponde, è contento davanti a tale entusiasmo. Fino a quando la prof dice che è ormai arrivata l’ora di chiudere la manifestazione e di tornare a scuola per il pranzo.
Giusto per dovere di cronaca, il regista de “Il più lungo giorno” è il sottoscritto.
Roberto Riviello