Trentadue morti, decine di feriti e danni ingenti agli immobili. È il bilancio della tragedia ferroviaria che sconvolse Viareggio il 29 giugno 2009. Dopo 14 anni ancora non c’è stata una sentenza definitiva che accerti le responsabilità di quanto accaduto. I familiari delle vittime continuano a battersi per avere quello che, in un Paese civile, sarebbe scontato, oltre che doveroso, l’accertamento dei fatti. “Perché abbiamo perso i nostri figli? Vogliamo saperlo”, dice Daniela Rombi. E prosegue: “Ogni anniversario che passa senza che ci sia un colpevole, una sentenza definitiva che ci dica perché abbiamo perso i nostri figli, è una ferita dentro l’enorme ferita di quella notte”.
È un ritardo vergognoso, indegno di un Paese che voglia dirsi civile. Una ferita che ancora sanguina, non solo nel cuore dei familiari delle vittime, a cui ci sentiamo vicini.
“Non dimenticate quella notte – prosegue Daniela – perché da quella notte doveva cominciare una battaglia per chiedere più sicurezza sui treni e poi verità e giustizia. Ma se anche una sentenza arrivasse domani mattina, quattordici anni dopo quel 29 giugno quando ci squillò il telefono in piena notte e cominciò per la mia Emanuela un calvario di 42 giorni in lotta con le ustioni su tutto il corpo, ecco pensateci. Vi sembra una qualche forma di giustizia?”.
Non dobbiamo dimenticare quelle povere vittime, e i loro familiari. E non dobbiamo mai smettere di pretendere che sia fatta giustizia, che siano accertate le responsabilità e che chi ha sbagliato paghi. Tra ritardi e prescrizioni il rischio, ovviamente, è che la giustizia non arrivi mai. Vorrebbe dire uccidere due volte quelle persone.