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Il Montino e i segreti della cecìna più buona del mondo

- Cultura, Interviste
19 Gennaio 2024

Maurizio Ficeli –

Passeggiando per le antiche strade di Pisa mi sono imbattuto in una storica bottega che profuma di verace pisanità, non per niente si trova vicino ai mercati di piazza delle Vettovaglie e piazza Sant’Omobono. Si tratta della secolare pizzeria “Il Montino”, il re della cecìna e della pizza pisana, luogo che tante generazioni di pisani e non solo (penso ai tanti studenti fuorisede o ai militari) hanno frequentato almeno una volta nella vita. Sono quelle attività che resistono ancora alla grande, malgrado la globalizzazione imperante. Ho voluto andare a fondo andando a intervistare uno dei titolari, Stefano Poggetti, che insieme al fratello Andrea ha preso in gestione da ben 30 anni questa attività. Ne è venuta fuori una piacevole chiacchierata, con interessanti pillole di pisanità. Stefano è andato a ruota libera nei racconti, con la simpatia che lo contraddistingue.

Stefano, ci può fare la storia di questa pizzeria?
“Si parla dell’esistenza di questa attività dal 1800, anche se una data certa non esiste, ma in antiche carte viene citato questo vano del forno. Nel 1922 il locale fu acquistato da Italo Collodi, il marito della sorella di mio nonno, Primo Poggetti, e da lì subentra il ramo della mia famiglia, con mio padre, Marcello. Poi siamo arrivati noi, io e mio fratello Andrea”.

Stefano Poggetti

La vostra famiglia è pisana?
“Non proprio. I miei antenati erano tutti di Chimenti, frazione divisa fra due comuni, Altopascio (Lucca) e Castelfranco di Sotto (Pisa). Per fare un po’ di geografia, la parte sinistra di quel paese, verso Orentano, è di appartenenza pisana, quella destra è lucchese. D’altronde un tempo tutti i castagnacciai, non solo a Pisa, ma anche a Viareggio o Livorno, provenivano da questo territorio”.

Come mai il nome Montino?
“Si parla che siamo nel Vicolo del Monte, la vicina via Ulisse Dini era via del Monte (il Monte di pietà). Vai a capire perché lo chiamarono il Montino. Evidentemente perché qui eravamo nella parte più alta di Pisa, e nel periodo dell’alluvione qui l’acqua non arrivò”.

Gestisce questa attività con suo fratello, quando siete subentrati?
“Abbiamo rilevato questa attività nel 1994, quindi 30 anni fa, ed io e mio fratello siamo pisani doc, nati a Pisa, in via della Faggiola”.

Aneddoti ed episodi curiosi in tutti questi anni di attività ne avete vissuti?
“Ce ne sarebbero talmente tanti che ci vorrebbe un libro, lo dico sempre a tutti. Diciamo che Pisa è cambiata nel tempo, è sempre stata una città di universitari, anche se, con il tempo, le abitudini sono cambiate molto. Le maggiori soddisfazioni, per noi, sono vedere rivedere persone che erano nostre clienti 50 anni. Tornano a trovarci per assaporare questi nostri vecchi sapori che amano ancora oggi. Persone anche di 85-90 anni che, quando hanno occasione di venire a Pisa, pur con i problemi legati all’età, prima di andarsene vogliono passare da noi ad assaggiare la cecìna e rinverdire i loro ricordi”.

Stefano e Andrea Poggetti

Come è cambiata la clientela di oggi rispetto a quella di una volta?
“Eh, son cambiate tante cose, anche il modo di porsi. Prima si rivolgevano a noi dicendo ‘mi prepara…’ adesso ‘mi dai..’. Il ‘mi prepara’ significava che il cliente voleva che gli fosse preparato quel prodotto, ora vorrebbero il prodotto ‘cotto e mangiato’, in sintesi vogliono essere serviti più veloci”.

Le vostre specialità principali quali sono?
“La frittella con la cecìna, e il quarto di pizza alla pisana che è tornata di moda. C’è stato un periodo in cui l’acciuga, che fa parte di questa tipologia di pizza, non era tollerata da alcuni nuovi clienti, mentre per i pisani veraci l’acciuga è una tradizione. Così dal 2000 ho deciso di togliere l’acciuga alla pizza pisana, mettendola solo a richiesta”.

Non molto tempo fa è stato proposto di introdurre la Dop per la cecìna, cosa ne pensa?
“Guardi, è venuto qui da me il ministro Lollobrigida, accompagnato dal sindaco Conti ed ha degustato le nostre specialità, rimanendo soddisfatto ed informandosi sul prodotto . Io vedo favorevolmente la cosa, anche per valorizzare un prodotto che è un bene, non nostro, ma di tutta la città”.

Cosa ne pensa di questa diatriba con i cugini livornesi, che si sentono i pionieri della cecìna, da loro chiamata torta?
“Sono stati molto bravi a mangiarla (sorride, ndr), sono dei grandi consumatori, e di questo va dato loro atto. Sono rimasti in pochi a prepararla a Livorno, cito Gagarin, Cecco, oppure un altro nostro grande amico di famiglia che aveva l’attività in via Ernesto Rossi. Come origine vengono anche loro dalla zona di Altopascio. Sono stati bravi a valorizzare quel prodotto, e glielo direi in faccia alla signora Fiorella di Gagarin (sorride, ndr).

Se non sbaglio mettono la torta con le melanzane nella baguette. Ma in questo modo non si snatura il prodotto?
“Usano la baguette perché a Livorno sbarcavano i francesi, che a bordo delle loro navi facevano il pane e, una volta a terra, si trovavano a mangiare solo la torta, allora cominciarono ad organizzarsi, portandosi dietro il pane, quello francese, la baguette appunto, che noi chiamiamo la frusta. Fu dato valore a quei 5 centesimi di pane e quei 5 centesimi per un pezzo di torta, da lì nacque il 5 e 5. Via, ho fatto anche una piccola lezione anche sulla torta livornese”.

La cecìna è nata a Pisa?
“Sì, nasce a Pisa, che poi ci sia stata una certa influenza genovese è ovvio, perché si parla di questo cibo dai tempi della battaglia della Meloria, ma questo è un altro discorso. Livorno è nata dopo”.

Ci sono stati personaggi importanti che sono venuti a degustare le vostre specialità?
“Ne potrei citare tanti, fra attori e cantanti. Di recente penso a Riccardo Scamarcio, attore e produttore cinematografico, con cui ho parlato e scherzato, e quando tornerà a Pisa ha detto che ripasserà da me, ed ha mandato alcuni suoi amici a salutarmi. Poi ho conosciuto Chiara Mastroianni, figlia del grande Marcello. Sono tante le personalità passate da qui e che hanno lasciato un segno. Posso citare anche diverse personalità pisane importanti, come l’avvocato Paolo Carrozza. Era un piacere poterlo ascoltare, oppure il chirurgo plastico Gianluca Gatti, una bella persona oltre che un grande dottore”.

È fiducioso nella conquista della Dop per la cecina pisana?
“Assolutamente sì, ci spero, deve diventare una realtà. Non è una cosa politica ma un riconoscimento giusto e un indubbio vantaggio per l’immagine della città”.

A quei giovani che volessero intraprendere il vostro mestiere che consiglio si sente di dare?
“Quello di provare a riscoprire lavori come questi, che stanno scomparendo perché purtroppo nessuno li vuol più fare, bisogna ripartire da qui perché sennò si rischia di perdere quelle tradizioni belle che abbiamo ancora a Pisa, in quanto altre sono andate perdute. Bastava andare in piazza delle Vettovaglie ed avevamo quelle botteghe tradizionali che offrivano cibo sano. Forse alle 8 di sera erano chiuse, ma davano tanto alla città, ed ora purtroppo non ci sono più. Bisognerebbe che le istituzioni dessero a certe attività che ancora resistono degli incentivi per poter sopravvivere”.

Maurizio Ficeli

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