– Guido Martinelli –
Se sei un po’ snob e ti trovi meglio ad andare sempre controcorrente; se ritieni che la musica senza Mick Jagger sia il nulla, oppure sei un inguaribile esterofilo; se pensi che la musica e la cultura in genere siano roba da comunisti sgranocchianti bambini anche crudi; se hai tanto astio da smaltire e sei convinto che se si parla di buoni sentimenti si è fottuti e deprecabili buonisti; se non sei nottambulo; se sei seguace di quel generale e la visione di un uomo in gonna, ammenoché non si tratti di uno scozzese, ti fa andare in escandescenze; se pensi che la musica in genere non serva a niente; se pensi che al mondo ci siano cose ben più vitali del canto; se pensi che l’arte in genere sia Belzebù; se detesti di sentir parlare di amore, tesoro, salsiccia e pomodoro: ecco, se rientri, anche un po’ di sghimbescio, in una di queste categorie, per te “Sanremo” è solo un’espressione geografica.
Se, invece, sei uno che ami le canzoni e le competizioni in genere è probabile che tu abbini subito la parola Sanremo sia al Festival della canzone italica sia alla classica “monumento” ciclistica Milano-Sanremo. Se, poi, addirittura sei vissuto in una famiglia in cui le canzonette (come le chiamava mia zia Maria) festivaliere erano un momento di festa in cui la famiglia si riuniva intorno al tubi catodico in bianco e nero assistendo in religioso silenzio di fronte alla rituale liturgia canora sanremese, si comprende come le carte in tavola acquistino un altro e ben più determinato valore.
Per me, quei tre giorni musicali diventati in tempi recenti ben cinque, sono stati la scoperta della musica che negli anni mi ha portato a pascolare in ben altri campi rendendomi un ascoltatore onnivoro, ma una volta l’anno l’evento della cittadina ligure mi fa tornare a casa a celebrare il ritorno del figliol prodigo.Non c’è rischio di eresia, rispetto il culto con spirito fideistico puro. Tra l’altro non credo di far parte di una minoranza dato che quest’anno si parla di uno share record superiore al 60% e punte di spettatori oscillanti tra i 10 e i 12 milioni.
Praticamente almeno una italica creatura su sei sa cosa è successo su quel palco, anche solo a sommi capi. Anche se sui social e in giro non è scontato trovare persona che lo ammettono. Quanti “io il festival mai visto” in barba alle statistiche? Pare una situazione con punti di contatto con ciò che accadeva nella prima Repubblica dopo le elezioni, quando non trovavi uno solo che ammettesse di aver votato la DC (Democrazia Cristiana) nonostante risultasse il partito più votato.
Io, invece, affermo orgogliosamente che, pur amando i Pink Floyd e i Jefferson Airplane e benché legga una media di due-tre libri di narrativa al mese, anche quest’anno ho assistito al Festival come e più di sempre. Non mi sono esentato neppure dalle follie di Fiorello e company andate in onda alla fine della elefantiaca trasmissione, quando ormai anche i galli erano prossimi alla chiama e il sole timido accennava a far capolino.
Perché questo è diventata la competizione canora: un lunghissimo show televisivo con gara. Uno dei pochi momenti in cui ci si accorge della persistente esistenza della tivu generalista. Senza la pubblicità venduta in quei giorni con gli sponsor che accorrono per la massiccia esposizione mediatica dell’evento, credo che per la Rai ci sarebbe ben poco da ridere. Ovviamente la visione non tiene a bada il mio spirito critico per cui, quando ho visto il mito, mio e di millanta altri, John Travolta, ex Tony Manero, costretto a ballare una canzoncina per bambini in mezzo a ballerini vestiti da pulcini, ho avuto un moto di ribellione e repulsa.
L’ho visto come un atto di dileggio da parte dei due pur bravi capataz del festival, Fiorello in primis, verso un mito del cinema, a parte la faccenda delle bianche calzature sospette dell’interprete del meraviglioso “Pulp Fiction”, che forse gli serviranno per pagare i suoi futuri badanti. Il mio sdegno, comunque, si è acquietato già dal giorno dopo derubricando l’infelice gag come un infortunio, una momentanea caduta di stile, in un percorso settimanale generalmente divertente, ben organizzato e improvvisato, in cui il fantasioso e talentuoso Rosario, personaggio unico e raro, con i suoi compagni mi e ci hanno regalato momenti di ilarità e divertimento a più riprese.
Come anche i muri sanno quest’anno si è concluso il quinquennio di Amadeus, che mi pare abbia punti di contato con il settennato del Capo dello stato per come è stato considerato e valutato, che ritengo molto positivo. Il tempio della musica leggera italiana, fino a poco prima del suo avvento riservato in gran parte a melodici, quasi ottuagenari interpreti al netto di alcune sporadiche eccezioni, si è aperto al mondo giovanile lusingandone i gusti con una più ampia proposta di artisti vicini alle loro esigenze e persino disagi. Un’opera di svecchiamento che assicura longevità alla manifestazione. La grande professionalità e tranquillità di Amadeus ha permesso alle interminabili serate musicali di questo lustro di risultare gradevoli e interessanti per gli spettatori più forniti di resistenza psico-fisica.
E la Toscana, diranno i nostri tanti lettori dato che la nostra testata è soprattutto attenta alle faccende della regione più bella del mondo? (scherzo eh..ma mica poi tanto….). Ormai sono alle nostre spalle i fasti delle conduzioni dei nostri mitici Conti e Panariello, o delle vittorie dei cinguettanti Baldi, Bocelli, Vallesi, senza accennare ad altre nostre ugole corregionali tipo Pelù, Grandi, Canino, Nigiotti e tanti altri meritevoli che si sono esibiti con successo e colpevolmente tralascio per non stilare una lunga, noiosa, lista della spesa. Quest’anno sono saliti sul palco in competizione tre figli canori della Tuscia.
La brava e grintosa Emma Marrone, nata a Firenze nonostante si parli di lei come di un’artista salentina, già presentatrice e vincitrice della manifestazione, che si è classificata al 14esimo posto con la bella “Apnea”; il giovane carrarino Irama, al secolo Filippo Maria Fanti, ormai un habituè del Festival di questi ultimi anni, nonostante la giovane età, che con l’intenso brano “Tu no” ha ottenuto un lusinghiero quinto posto; la disincantata e giovanissima band empolese dei Bnkr44, che ha raggiunto la 28esima postazione con il suo fresco e velleitario “governo punk”, che avrà senza dubbio ottenuto il gradimento di molti loro coetanei. Va sottolineata anche la presenza della giovanissima cantante autrice lucchese Cecilia Del Bono che ha collaborato col duo dei Santi Francesi per il raffinato “L’amore in bocca” arrivato al traguardo diciottesimo.
Il fatidico giorno dei duetti hanno affiancato le ugole duellanti altri toscani di gran vaglia come l’immensa e immarcescibile senese regina del rock Gianna Nannini; un vincitore in passato di ben due edizioni festivaliere, il carrarino Francesco Gabbani; la stupenda voce di Veronica Lucchesi, la nota Rappresentante di lista nata a Pisa ma vissuta a lungo a Viareggio.
Questo è il ripasso della cronaca, ma scendendo in sede di commento da parte di un boomer non musicista come il sottoscritto, che di canzoni festivaliere ne ha ascoltate un‘infinità e un po’ l’orecchio lo ha allenato, posso dire che il livello delle canzoni in competizione quest’anno mi è parso buono ma non eccelso.
Interessante e vincente la rappresentanza di brani adatti a ogni fascia di età, ma resta il fatto che gli autori erano quasi sempre gli stessi e leggermente nepotisti (Petrella, Cheope figlio di Mogol, Antonacci fratello e compagnia..cantante,o meglio “auturante”) per cui avevi, a volte, la sensazione di imbatterti in un doppione di un’altra.
I testi sono stati, come sempre, centrati sulle problematiche amorose e tra le migliaia di versi me ne è rimasto impresso uno, ficcante, della bella Rose Vilain: “Ti ho fatto entrare nel mio disordine”. Solo due sensibili interpreti hanno provato a spostare l’attenzione verso le problematiche del mondo reale pulsante fuori dall’Ariston. Dargen D’Amico con il suo ennesimo ballabile in cui parla dell’Onda Alta travolgente per chi cerca altri spazi vitali lontani dal proprio sfortunato paese, riferendosi pure ai bambini che stanno morendo anche per le guerre in corso. L’ottimo Ghali, italiano vero ma di origine tunisina che alcuni hater sembrano non perdonargli, che ha ottenuto un meritato quarto posto con il suo “Casa mia” dove nel testo cita Gaza, e che ha avuto pure l’ardire di proferire la frase “no al genocidio” dopo l’ultima esibizione che io, ad esser sinceri, condivido in pieno.
Tra i trenta brani presentatai ci sono diversi ”tormentoni”, certamente non una novità dato che la canzone festivaliera in genere ricerca motivetti semplici, piccoli bon bon deliziosi da gustare fino a saziarsi, come quelli di Annalisa e dei Kolors, per riempire le tasche dei discografici. Ma è l’ascolto reiterato successivo, nel mio caso soprattutto in macchina, che porterà ad assimilare progressivamente le note e i testi dei brani, e a decidere i preferiti.
Per completare la mia confessione sanremese non posso non aggiungere che la maggior parte di questi brani dopo un mese mi stancano e cambio stazione radio appena li sento, perché Sanremo assomiglia un po’ a Natale: appena o dopo poco che è finito me lo sono dimenticato, anzi mi disturba nominarlo. Ma ci sono alcune canzonette che restano e non se ne vanno più via. E non credo di essere l’unico, tra gli estimatori, ad avere una bella mia play list che parte dalla notte dei tempi fino ad oggi.
Rispetto all’anno passato, quest’anno non ho ancora trovato un brano come quello stupendo delle Due vite di Mengoni degno vincitore, o l’ intenso Tango di Tananai in cui si accennava al conflitto russo-ucraino in modo struggente. In questa tornata mi ha colpito “Sinceramente” della brava e bella Annalisa; la struggente e disincantata ballad romantica “Tutto qui” del romano Gazzelle; l’autobiografica, coraggiosa e ruggente “Pazza” dell’intramontabile Loredana Bertè solo un po’ simile ad altri suoi brani; l’ottima cumba della vincente Angiolina Mango; il raffinato e profondo inno femminile “Mariposa” giustamente premiato come miglior testo della sempre apprezzata Fiorella Mannoia. Non ho disdegnato neppure i brani di Diodato, Mahmood, Alessandra Amoroso, Emma, e persino gli antidiluviani Ricchi e Poveri che mi riportano ai fasti giovanili.
Gli altri cantanti, come il partenopeo Giolier che ha sfiorato la vittoria finendo secondo con una canzone incomprensibile in lingua italiana ma col televoto dalla sua, e tutti gli altri li ho messi, per ora, in naftalina, ritenendoli o troppo giovanilisti o lontani dai miei gusti. Per tutti questi un’ideale pacca sulle spalle incoraggiante per la prossima volta. Sempre che l’ascolto ripetuto e coercitivo della radio non modifichi un pochino il mio giudizio verso alcuni di loro.
Per chiuderla definitivamente su questa edizione ho deciso di rendere nota la mia personale classifica festivaliera, riportandola qui sotto, utile solo per dare un senso a tutte le mie ore trascorse sul divano.
Ciao Sanremo, allora, e arrivederci al prossimo anno per le canzonette! Intanto, a marzo, ci vedremo per le bici che concluderanno, come sempre, le loro fatiche sulla tradizionale via Roma: ah, vincesse dopo tanto tempo un italiano!
Mia personale Classifica Finale del 74^ Festival della Canzone Italiana
1) ANNALISA
2) LOREDANA BERTE’
3) ANGELINA MANGO
4) GAZZELLE
5) GHALI
6) FIORELLA MANNOIA
7) DIODATO
8) EMMA
9) ALESSANDRA AMOROSO
10) MAHMOOD
11) IRAMA
12) SANTI FRANCESI
13) DARGEN D’AMICO
14) RICCHI E POVERI
15) THE KOLORS
16) ALFA
17) NEGROAMARO
18) BIG MAMA
19) ROSE VILAIN
20) GEOLIER
21) MANINNI
22) CLARA
23) IL VOLO
24) MR RAIN
25) NEK E RENGA
26) BRNR46
27) SANGIOVANNI
28) LA SAD
29) IL TRE
30) FRED DE PALMA
Guido Martinelli
Foto di Guido Martinelli e della rete
Visto che da sempre il “premio” al festival sanremese è oggetto di contestazioni per evidenti o supposti brogli, visto anche che a volte il brano premiato ha fatto fiasco mentre un altro ha ottenuto successo di accettazione e vendite, forse sarebbe meglio abolire classifica e premi lasciando al vasto pubblico il successo di gradimento e mercato.