– Andrea Bartelloni –
L’11 febbraio 2004 moriva Marco Tangheroni, professore di Storia Medievale, all’età di 58 anni. Ha lasciato un ricordo indelebile in quanti lo hanno conosciuto e la sua città, Pisa, lo ricorderà in più di un’occasione durante tutto l’anno. Ne abbiamo parlato con Stefano Chiappalone, redattore della Nuova Bussola quotidiana, editor per alcune case editrici, laureato all’Università di Pisa in Storia medievale.
Chiappalone arriva a Pisa nel 2000 e, giovane matricola, conosce subito il professor Tangheroni frequentando il suo corso di Storia medievale nel primo anno di università: “Avevo sentito parlare di questo professore e del suo orientamento conservatore e questo mi incuriosì molto visto che risultava abbastanza controcorrente. L’incontro con il professor Tangheroni ha rappresentato per me, che ero ancora disorientato nei primi passi nel ‘nuovo’ mondo dell’università, un impatto veramente positivo e contribuì a rasserenarmi notevolmente. Le sue lezioni erano estremamente coinvolgenti e, anche se venivo dal liceo classico, fu solo grazie a Tangheroni che riuscii davvero a capire e apprezzare, ad esempio, Dante Alighieri. Il professore faceva lezione di storia medievale attraverso alcuni canti della Divina Commedia e ci portava dentro il Medioevo. Il filo conduttore era costituito da questi canti che conosceva a memoria e, ad un certo punto, interrompendosi, estraeva un nome e partiva una storia. Storie concrete”.
Quali caratteristiche ricorda del Tangheroni professore?
“Non stava rinchiuso nella sua nicchia specifica, ma spaziava molto. Il cuore delle sue ricerche era Pisa e il Mediterraneo, la Sardegna e altro, ma era una persona curiosa. Una delle raccomandazioni, presente anche in alcuni suoi scritti, è proprio questa della curiosità. Ricordava una frase di Ezra Pound che diceva: ‘Ai giovani raccomando la curiosità’. Questo era il motore del suo fare storia, la passione per uomini concreti. Non solo date, battaglie, eventi particolari, ma storie di uomini che erano i nomi che comparivano nella Divina Commedia ai quali si avvicinava con la stessa pietas che guidava Dante”.
Grazie al prof. Tangheroni si è accorto della bellezza degli studi universitari?
“Certo, persino nei periodi in cui, per così dire, ero più svogliato, non volevo perdermi neanche una lezione di Storia medievale”.
Tangheroni era una persona che non faceva pesare la sua alta cultura. Ha avuto modo di conoscerlo al di fuori del contesto universitario?
“Sì, e trovavo in lui, dentro e fuori l’aula, la stessa umanità senza perdere di autorevolezza. C’era in lui qualcosa di paterno che metteva a proprio agio lo studente o qualsiasi interlocutore, ma senza che venisse meno il ruolo: era sempre ‘il professore’. Quando lo incontrai a casa sua durante una riunione di Alleanza Cattolica, che allora avevo iniziato a frequentare, mi ritrovai davanti il professore che iniziava l’incontro recitando il Rosario in latino. Questo mi dette la percezione che la preghiera non fosse una cosa da ‘pie donne’ o da persone deboli, come si è soliti pensare, anzi si addiceva anche a personaggi importanti e realizzati, come io vedevo il professor Marco Tangheroni. Quella fu un’immagine significativa per la mia visione del mondo”.
Spesso il professore universitario fa lezione, gli esami, ma non si dedica molto agli studenti al di fuori di questi ambiti.
“Quando andavo da lui, nell’allora dipartimento di Medievistica, a chiedere informazioni sul corso o in vista degli esami, entrare nel suo ufficio era rasserenante; era incredibile la pazienza che aveva nell’ascoltare e rispondere anche a quesiti banali e insignificanti (a volte ripenso a quei colloqui e mi stupisco di quanto fossero ‘stupide’ le mie domande da neofita della storia). Nei primissimi tempi dell’università, dovendo preparare il piano di studi, non sapevo come muovermi e allora mi feci coraggio e chiesi aiuto al professor Tangheroni. Mi diede appuntamento alla fine della lezione. Mi aspettavo solo qualche consiglio e invece si sedette accanto a me su una panchina al piano terra del Palazzo Ricci, appena fuori dall’aula multimediale dove aveva fatto lezione, e mi aiutò pazientemente a compilare il piano di studi. E pensare che allora ci conoscevamo appena. Un altro aneddoto che mi è rimasto impresso ne illustra bene l’umanità: durante la sessione d’esami estiva del mio primo anno, una ragazza rimase completamente bloccata alla prima domanda scoppiando a piangere. Aveva studiato, ma una volta lì fece scena muta. Tangheroni le disse: ‘L’esame è distribuito in più giorni, sarà l’emozione, non si preoccupi, torni un altro giorno’. Non è un atteggiamento scontato da parte di un docente, avrebbe potuto bocciarla direttamente e invece capì e le diede il tempo di riprendersi”.
Il rapporto col prof. Tangheroni non si conclude con la sua morte…
“Tangheroni morì quando mi preparavo alla tesi di laurea triennale. Mi venne naturale tornare a bussare “da lui”, non più direttamente, ma tramite la prof.ssa Cecilia Iannella, che condivideva l’ufficio con lui e che, con mia grande sorpresa, mi propose di ricostruire la bibliografia di Tangheroni. Disse che secondo lei ero la persona più adatta, proprio perché lo avevo conosciuto sia come allievo sia al di fuori dell’ambito accademico. E così discussi una tesi intitolata Per una bibliografia completa di Marco Tangheroni. Ricerche e aggiornamenti. Inutile dire che fu un lavoro estremamente gratificante, che mi permise di scoprire ancora di più la vastità dei suoi interessi, oltre che di sentirlo ancora presente: in quei mesi successivi alla sua morte tornavo nel suo ufficio per preparare la tesi con la professoressa Iannella e la scrivania di Tangheroni era ormai vuota, ma sembrava quasi che lui non fosse assente”.
Umanità, competenza, cultura, umiltà, la cifra di un grande personaggio che a venti anni dalla sua scomparsa è ancora vivo in quanti lo hanno conosciuto.
Andrea Bartelloni