Quella che vogliamo farvi conoscere oggi è una storia antica di oltre 2700 anni, una storia raccontata da sassi, raccolta in poggi e custodita da ulivi nodosi e da donne e uomini che alla professionalità uniscono cordialità ed entusiasmo. È una storia di recupero e scoperta, di nomi e identità cambiate, una storia di speranza per il futuro. Quella che vogliamo farvi conoscere oggi è in realtà una piccola parte della storia di una frazione nel sud della nostra Toscana.
Duecento abitanti (che in estate aumentano senza moltiplicarsi troppo), trecento i metri sul livello del mare. Un affaccio su una pianura che sa insieme di radici paludose, riserva naturale, colture e agriturismi. Vetulonia, frazione di Castiglione della Pescaia, ha oggi un’identità ben delineata ma una passeggiata sui suoi poggi basta per riavvolgere il nastro e rivivere un tempo in cui era altro. Colonna: l’identità del luogo era catturata da questo che è stato il suo nome fino al 22 luglio del 1887, quando un regio decreto di Umberto I sciolse almeno parzialmente una diatriba: questa è la prima parte della nostra storia e Isidoro Falchi è il suo protagonista.
Originario di Montopoli in Valdarno, volontario nelle guerre per l’unità d’Italia, Falchi era medico condotto a Campiglia Marittima. Qui ricoprì diversi incarichi che lo portarono a studiare le antiche città di Populonia e Vetulonia, la prima già individuata nel Golfo di Baratti, la seconda ancora avvolta nel mistero di una carta archeologica tutta da disegnare. Il nome di questa località florida ai tempi degli etruschi si conosceva grazie a un’iscrizione ma erano diverse le possibilità di collocazione e così in quei primi anni di Regno d’Italia si cercava nell’Etruria un luogo – nei dintorni di Massa Marittima forse? – dove poter far risorgere quella mitica Vatl.
Poi giunse il maggio del 1880: fu allora che Isidoro Falchi in visita a Colonna notò un tratto di mura (ciclopiche come quelle ancora oggi ben conservate della vicina Roselle), ascoltò storie di ritrovamenti di tombe, vide monete. Iniziò quindi scavi e ricerche – in pochi mesi portò alla luce una settantina di reperti numismatici – che confluirono prima nell’opuscolo Ricerche di Vetulonia che conteneva una carta topografica della zona, poi in una pubblicazione di poco successiva, “Gli avanzi di Vetulonia sul Poggio di Colonna nella Maremma grossetana”. La diatriba che prese avvio da questa attribuzione durò a lungo e fu definitivamente sciolta solo nel 1894 da una commissione dell’Accademia dei Lincei. Ma intanto Isidoro Falchi scavava (a volte dormendo nei luoghi che portava alla luce) e scopriva 800 tombe. Stimava di aver trovato solo un decimo di quanto la terra conservava.
È con una di queste che oggi vogliamo continuare il nostro racconto e per farlo dobbiamo fare un tuffo in una Vetulonia molto diversa da quella che troviamo ora, fatta di poche case, qualche chiesa, l’oratorio, il Cassero senese che pure ci racconta un’altra storia condivisa con un’ampia fetta di territorio circostante, il convento (quello però già defilato dal centro). Vatl era molto più vasta: la sua cinta muraria misurava – si pensa – cinque chilometri. Qui si coniava moneta (con simboli marini) e le attività commerciali erano fiorenti grazie al vicino lago Prile, sul quale sorgevano porti che permettevano facile accesso al mar Tirreno, dunque al Mediterraneo. È questo lago inscindibile dalla storia di questa terra: i commerci e la pesca, le saline e l’affermarsi della vicina Grosseto, poi la malaria e la morte raccontata nei canti popolari (ricordate “Maremma Amara”?). Oggi è nota come Diaccia Botrona: la palude rappresenta ciò che resta dalla bonifica ed è Riserva Naturale Provinciale aperta al pubblico con il suo Museo della Casa Rossa Ximenes. Ma queste sono altre storie.
La nostra invece ci porta al VII secolo a.C., quando Vetulonia era giovane, ma non troppo. Alle sue spalle già quattro secoli di storia e più, a giudicare dai ritrovamenti villanoviani effettuati. Qui, su Poggio al Bello, si lavora per dare una nuova “dimora” a un membro di una famiglia importante. Quella in cui sarà sepolto Rachu Kakanas è una tomba “a circolo” di cui pietre bianche delineano con continuità il contorno, definendo un’area dal diametro di 17 metri. Tombe di questo tipo hanno più finalità e tra le prime c’è il raccontare lo status gentilizio di chi le ha fatte costruire. Con le sue ceneri, raccolte in un contenitore di legno e bronzo poi inserito in un’arca d’argento finemente decorata con animali (veri e fantastici) che accompagnano lo stesso condottiero a cavallo, c’è anche il suo corredo funebre, tra cui un oggetto antico e di valore: una navicella sarda in bronzo di produzione nuragica. E poi armi, un incensiere decorato e tutto il necessario per godere di raffinati simposi anche dopo la morte. Rachu Kakanas, ora coperto da uno strato di terra, ha raggiunto gli altri membri della famiglia già defunti. La sua kotyle, il kantharos e le altre coppe ora giacciono accanto a quelle dell’altro principe che lo aveva preceduto e il cui corredo, di gusto diverso e meno esotico, aveva raccontato ancora un’altra storia che Isidoro Falchi nel 1886 ci avrebbe permesso di scoprire scavando questa tomba che, data la ricchezza, chiamò del Duce.
Arriviamo così all’ultimo capitolo di questo nostro racconto, un capitolo che ha per protagonisti tutti noi che possiamo vivere queste zone e le loro ricchezze ma soprattutto due istituzioni e i loro rappresentanti: il Museo Civico Archeologico “Isidoro Falchi” (MuVet) di Vetulonia con la sua direttrice Simona Rafanelli e il Museo Archeologico Nazionale di Firenze diretto da Daniele Federico Maras (di fresca nomina in un anno che ha visto tanti cambiamenti tra i dirigenti dei musei della città del giglio).
Grazie infatti al loro lavoro congiunto è stata inaugurata ieri la mostra “Il ritorno del condottiero”. Principi etruschi nella tomba del duce di Vetulonia, visitabile fino al 2 febbraio prossimo, che ha portato i corredi funebri nella città in cui erano stati trovati. Un ritorno che non è il primo ma che giunge a vent’anni da un’esposizione alla quale la stessa Rafanelli, già direttrice del museo, aveva lavorato.
Ad arricchirlo, con un contributo prezioso, l’Associazione Culturale Archeologica ancora una volta intitolata a Isidoro Falchi che guida i visitatori sui luoghi delle tombe. Un programma quello proposto dal MuVet ricco di incontri e visite guidate (anche gratuite) da consultare sul sito www.museoisidorofalchi.it o chiamando il 0564 927241.
Foto in alto: Vetulonia vista dal poggio della tomba (Poggio al Bello)