Il professor Dino Bigongiari senza dubbio è una delle personalità versiliesi di maggior spicco in ambito culturale. Docente di italiano, medievalista ed esperto di Dante Alighieri, dal 1904 al 1955 insegnò presso la Columbia University di New York. Nato a Seravezza (Lucca) nel 1878, da ragazzino non amava molto studiare, preferiva di gran lunga lo sport, in particolare il pugilato e il nuoto.
Suo padre Anselmo, anche lui figlio della Versilia, già fervente garibaldino, fu commerciante di marmi e appassionato giornalista (fondò e diresse L’Eco della Versilia). I suoi affari lo portarono ad emigrare dapprima in India e poi in America, dove fondò alcune testate giornalistiche e fu corrispondente per il Resto del Carlino. Negli Stati Uniti nel 1893 fu raggiunto a New York dalla moglie Teresa e dal figlio, quando quest’ultimo aveva quindici anni. Anselmo spinse il figlio a fare il fattorino alle dipendenze della Western Union, la società del telegrafo. Dino, che da ragazzo conosceva già molto bene il latino, avendolo appreso da suo zio prete, crescendo si appassionò agli studi. Fu l’industriale Da Ponte, produttore di sigari, amico di Anselmo, che convinse Dino a dedicarsi all’insegnamento, proponendogli di guidare una fondazione di filologia romanza, da lui creata e finanziata presso la Columbia University. Ma l’ateneo obiettò che per ottenere questo incarico fosse necessario una laurea presso la Sorbona di Parigi e un altro prestigioso ateneo tedesco. Dino Bigongiari conseguì il titolo di studio in entrambe le università e, tornato in America, nel 1904 ottenne la cattedra alla Columbia, restandovi fino a metà anni Cinquanta.
Chi scrive frequentava la terza elementare quando sentì parlare per la prima volta di Dino Bigongiari. Non avvenne sui banchi di scuola, come poteva essere logico, bensì per strada, allorché un giorno, di ritorno da scuola con altri ragazzi del Ponticello e di Riomagno, passai davanti alla porta di ingresso della casa natale di Bigongiari, in una via a fianco della piazza centrale di Seravezza. Un compagno che camminava al mio fianco mi disse: “Qui abita la mamma del professor Bigongiari, da molto tempo sta in America, dove insegna all’università”. Questa notizia appresa in modo così casuale mi lasciò stupefatto: mi domandavo come fosse possibile che un seravezzino potesse insegnare addirittura in un’università americana. Facendo il chierichetto un giorno, con il monsignor Angelo Riccomini, andammo a benedire la casa dove abitava la mamma di Bigongiari, a letto inferma. Era emozionante sapere che nel Nuovo Continente scoperto da Cristoforo Colombo, risiedeva un uomo di grande cultura, nativo di Seravezza, che insegnava agli studenti universitari americani. Risale quindi agli anni della mia infanzia la mia ammirazione per Bigongiari, un sentimento rimasto immutato nel tempo anche se non ho avuto mai il piacere di conoscerlo personalmente. Fu un mito! Sì, per i ragazzi di Seravezza degli anni 30 rappresentò davvero un mito.
Posso raccontare, grazie ai ricordi di mia moglie quando era una bambina, alcuni episodi di vita trascorsa a Seravezza dalla signora Gladys Van Brunt, la sposa americana di Bigongiari nel periodo in cui “arando l’oceano”, per citare un’espressione da lui utilizzata, entrambi i coniugi facevano ritorno a Seravezza per trascorrervi le vacanze estive. La madre di mia moglie, Bruna Guerrini, fu in rapporti di grande amicizia con Gladys, un vincolo risalente verosimilmente agli anni antecedenti la seconda guerra mondiale, forse scaturito in seguito ad un incontro avvenuto nella casa della propria zia materna, Marta Falconi, quest’ultima comune amica sia dei coniugi Bigongiari che del famoso scrittore e giornalista Giuseppe Prezzolini. Nel dopoguerra la famiglia di mia moglie abitava in una modesta casetta di proprietà dei suoi nonni paterni, ubicata sopra le prime rampe della mulattiera che dal fondo della valle conduce sulla cima del monte Canala. Lassù Gladys saliva per salutare la sua amica e stare un po’ insieme anche con i figli della Bruna, ogni qual volta ritornava a Seravezza. Le visite avvenivano di pomeriggio in un clima di grande affettuosità. Questi incontri erano sempre arricchiti da alcune scenette teatrali e da qualche poesia di celebri autori italiani che Bruna faceva recitare alle sue due bambine e al figlioletto e i dolcetti fatti in casa dalla mamma della mia futura moglie allietavano ulteriormente quei momenti di festa. La signora Gladys, donna semplice e sensibile, dimostrava di apprezzare molto queste esibizioni espresse in un linguaggio che ella comprendeva bene perché era l’idioma che in America le aveva insegnato il suo Dino, l’uomo di cui si era innamorata, giovane studentessa, ascoltando le sue lezioni.
Dino, che per 50 anni fu il portabandiera della cultura italiana in America, con la moglie aiutò diverse famiglie seravezzine a far proseguire gli studi ai loro figli, fino al raggiungimento della laurea. Si spense a Seravezza il 5 settembre 1965, a 86 anni. Le sue spoglie mortali riposano nella cappella della famiglia eretta nel cimitero del paese, accanto a quelle della sua amata sposa Gladys.
Renato Sacchelli